domenica 16 gennaio 2005

sinistra
«Laicità, una battaglia da fare»

il manifesto 15 GENNAIO
Laicità, una battaglia da fare
Crocifisso nelle scuole, procreazione assistita vietata, ma anche preti in televisione e santi dappertutto. Sono centinaia le occasioni per difendere la libertà di pensiero e di coscienza. Che è il migliore argine al fanatismo. Un tema che non può mancare nell'agenda della sinistra radicale
VERA PEGNA

Lo scorso ottobre i capi di stato e di governo dei 25 paesi membri dell'Unione europea hanno approvato all'unanimità la bozza di trattato costituzionale per l'Europa. In questo testo non esiste la parola «laicità». Né poteva esistere poiché sarebbe stata in contraddizione con l'articolo 52 che dà alle chiese le garanzie da esse richieste. La prima garanzia è l'impegno delle istituzioni comunitarie a non interferire nei rapporti esistenti fra stati e chiese. La seconda è contenuta nella frase«L'Unione mantiene un dialogo regolare con tali chiese ed organizzazioni, riconoscendone l'identità e il contributo specifico». Il significato di questa formula ambigua è precisato in un documento riservato del giugno 2002 che la Comece (Commissione episcopale europea) ha inviato al Gopa (Gruppo dei consiglieri politici del presidente della Commissione europea). Per dialogo regolare le chiese intendono la possibilità di intervenire in fase pre-legislativa sui progetti di legge e su ogni documento ufficiale che riguardi le questioni che le chiese reputano di loro interesse e che si riservano, volta per volta, di indicare; il documento indica altresì la necessità di istituire un ufficio di rappresentanza all'interno della Commissione, nonché un partenariato fra chiese e UE.

Per chi non l'avesse capito, si tratta di una forma di concordato.

Sono stati rarissimi i parlamentari che lo hanno denunciato, che hanno capito che prima di riguardare le religioni l'articolo 52 riguarda la laicità; che mentre la religiosità dei singoli va tutelata sempre e ovunque, il riconoscere alle chiese un ruolo ufficiale nel processo democratico europeo equivale a un'abdicazione, da parte del parlamento, di una parte del proprio ruolo. La medesima inerzia - o calcolo - rispetto alle questioni che riguardano la Chiesa cattolica, si riscontra nel comportamento degli eletti al parlamento italiano, i quali - generalizzo volutamente nonostante ci siano gradi diversi di acquiescenza verso il Vaticano - moltiplicano le loro attenzioni e i loro favori alle gerarchie ecclesiastiche mentre la società si secolarizza e i cittadini seguono sempre meno i precetti indicati dalle gerarchie ecclesiastiche. Scrive bene Gianni Ferrara sul manifesto del 7 gennaio che la questione della rappresentanza politica «si identifica con un pilastro della democrazia... (la quale) è proclamata ma non è verificata».

Alcuni esempi fra i tanti: gli insegnanti di religione stipendiati dallo stato ma confermabili e revocabili dalla diocesi, la legge sulla procreazione medicalmente assistita, quella sul divorzio breve, i finanziamenti ingenti alla Chiesa cattolica e al suo indotto, finanziamenti che non sono altro che la conferma del mercimonio esistente fra la Chiesa cattolica e i politici al potere, anche a livello locale, la presenza ubiquitaria e sempre più politicizzata delle gerarchie ecclesiastiche nella nostra vita politica (al funerale dei soldati caduti a Nassiriya, Ruini dichiara: in Iraq ci siamo e ci resteremo), la visita del papa al parlamento a camere riunite. È interessante la lettura che ne dà l'on. Giorgio Bogi al Convegno «Costituzione europea: la laicità indispensabile per l'uguaglianza dei cittadini davanti alle istituzioni», organizzato dall'Unione degli atei e degli agnostici razionalisti a Roma nel novembre 2003: «Non era mai accaduto prima d'ora che il capo della confessione religiosa parlasse a camere riunite in parlamento. Io ne do una lettura politica. In quel momento c'è un grande scontro politico sui problemi della pace e della guerra e il papa sta sul versante della pace. Naturalmente gli uomini politici che se ne servono prescindono dal fatto che la pace del papa è diversa dalla pace politica. Fare la pace politica è più difficile che enunciare l'esigenza della pace. Ma lo scontro politico fa usare strumentalmente anche la posizione del papa. Per cui perfino le componenti che tradizionalmente avevano atteggiamenti di difesa della laicità delle istituzioni accettano strumentalmente la visita del pontefice, come è accaduto nel 45-46 per l'articolo 7 della Costituzione che accoglie i Patti lateranensi... e l'accoglienza è anche imbarazzante, tanto era l'entusiasmo. E gli applausi cominciavano in un settore, quello più interessato, e si estendeva agli altri. Io l'ho visto dalla tribuna. Ancora una volta la presenza del pontefice veniva accolta come fatto strumentalmente utilizzabile, indipendentemente dal fatto che si creava un precedente di portata gigantesca. Perché non è immaginabile che il capo di una confessione religiosa parli senza dibattito, dando un suo messaggio al parlamento italiano convocato a camere riunite».

La responsabilità è di tutta la classe politica? Si, ma soprattutto di quella di sinistra che troppo raramente si distingue dal centro e dalla destra quando si tratta di difendere la laicità dello stato e di dispiacere alle gerarchie ecclesiastiche. E che troppo fa, anche a livello personale, per ingraziarsele (vedi un Rutelli che, eletto sindaco di Roma, risposa - ma in chiesa - la stessa moglie o un D'Alema che va in piazza S. Pietro alla canonizzazione di Escrivà de Balaguer). Sono fatti gravi che ottundono il senso stesso della laicità e contribuiscono allo sbandamento dei cittadini laici. Sono convinta che è qui, a questo varco dove si gioca la rettitudine morale e la coerenza fra pensiero e azione, che ci aspetta la maggioranza dei cittadini, compresi quelli cattolici che i partiti di centro sinistra certo non dimostrano di rispettare se pensano di ottenere i loro voti compiacendo alle gerarchie ecclesiastiche.

Per noi sinistra alternativa questo tema è qualificante e richiede che ci si rifletta a fondo incominciando col decidere, quando parliamo del consenso cattolico, da quale principio partiamo. Se da quello della rappresentanza democratica e della ragione o da quello della religione e della fede per la quale cattolico è colui cui è stato imposto il battesimo alla nascita. Chiarito che partiamo dal principio della rappresentanza democratica, diremo chiaramente due cose: la prima è che la Chiesa cattolica, papa compreso, non rappresenta i cattolici ma solo se stessa poiché non ha ricevuto nessuna delega da parte dei suoi fedeli. Ne consegue, per quanto riguarda il discorso sulla laicità, che il rapporto con le istituzioni, in primo luogo quello finanziario, va rimesso in questione. Iniziamo a parlarne come ha fatto Zapatero affinché, come dice un grande filosofo francese, il pensabile diventi dicibile e il dicibile fattibile.

La seconda cosa che diremo chiaramente è che sappiamo di non piacere a chi, cattolico o non, accetta la definizione di laicità data ufficialmente dal Vaticano, la quale dice sì alla separazione della sfera statale da quella ecclesiastica «in tutto salvo per le questioni morali» (Nota dottrinale della Congregazione per la dottrina della fede, novembre 2002). Perché è proprio sulle questioni morali che ciascuno deve sentirsi libero di ascoltare la propria coscienza per decidere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, anziché accettare che altri annuncino ciò che è permesso e ciò che è proibito. In questo secondo caso la coerenza fra pensiero e azione è ancora più difficile da raggiungere.

Sgombriamo il campo da possibili malintesi: non si tratta di fare dell'anticlericalismo che non riguarda noi atei e agnostici. La nostra battaglia ha un orizzonte diverso. Noi difendiamo la laicità dello stato, consapevoli che ogni concessione fatta dalle istituzione alla rappresentanze religiose mina lo stato di diritto, erode la democrazia. Non è accettabile che lo stato deleghi la morale alla Chiesa come fa quando il ministro della pubblica istruzione nomina un cardinale come consulente per le questioni etiche, o che il presidente della Repubblica nel suo discorso di capodanno saluti «Sua Santità, il Santo Padre», né che dica «Non possiamo non dirci cristiani». Non è accettabile che, per una circolare del 1929 che imponeva l'esposizione del crocifisso nelle scuole accanto all'effigie del re e di cui nessuno osa chiedere l'abrogazione neanche dopo che il cattolicesimo non è più religione di stato, si continui ad avere ovunque dei crocifissi. Ma l'esempio peggiore, anche perché quotidiano e incessante, ci è dato dalla televisione di stato la quale ci informa dei miracoli di Fatima o di padre Pio come se fossero fatti veri, alla stessa stregua di uno sciopero dei metalmeccanici. E soprattutto che fa passare in trasmissioni popolari come Domenica In il messaggio che credere è bello e giusto. Mai che si chiami un ateo o un agnostico o un libero pensatore o un indifferente alla religione per dimostrare che chi non crede in Dio può avere valori altrettanto alti e vivere altrettanto serenamente.

Io credo che se cogliessimo le istanze laiche che esistono in molte lotte portate avanti da associazioni, gruppi, singoli cittadini, ci accorgeremmo che esiste un ampio fronte laico. Penso alla lotta dell'Arcidonna di Palermo affinché si possa abortire negli ospedali pubblici, alla iniziativa della famiglia Albertin di Padova disposta ad andare in tribunale pur di rimuovere il crocifisso dalle classi dei figli, o dallo scrutatore che chiede sia tolto dal seggio. Sono centinaia le associazioni che si occupano di eutanasia, di Ivg, di contraccezione, che lottano contro l'ora di religione nella scuola, per dei libri di testo laici, che contestano la presenza di ecclesiastici e la messa nelle aziende ecc. ecc. Sono lotte che dobbiamo imparare a chiamare con il loro nome: lotte per la laicità dello stato. Per farlo, dobbiamo essere convinti che il messaggio della laicità ha una valenza profonda che va oltre la separazione fra chiesa e stato, sua imprescindibile condizione e garanzia.

Laicità significa libertà di coscienza e di pensiero quindi l'argine migliore contro l'oscurantismo e il fanatismo, significa non discriminazione e rispetto di tutte le concezioni del mondo, di quelle dei credenti come di quelle degli atei, degli agnostici e degli indifferenti alle religioni, significa uguaglianza e costituisce dunque la base più sicura e duratura della convivenza civile e l'essenza dello stato di diritto. Legare la lotta per la laicità alle lotte sociali ci farebbe fare un bel passo avanti nell'attuazione della nostra democrazia.