Corriere della Sera 17.1.05
Per la sua posizione riformista finì in disgrazia: quindici anni agli arresti domiciliari. Era in coma da giorni
Addio a Zhao Ziyang, difese gli studenti
È morto l’ex segretario del partito comunista cinese. Non voleva la strage di Tienanmen
dal nostro corrispondente Fabio Cavalera
PECHINO - L'uomo stempiato in lacrime con gli occhialoni da miope che gli scendono un po' sul naso e il megafono impugnato nella mano destra. E attorno gli studenti del movimento e della rivolta democratica che lo ascoltano con le facce stordite.
Nella storia di ogni Paese ci sono immagini che diventano documenti perché fermano per un istante un dramma che è lì, dietro l'angolo.
Nella storia della Cina il volto di Zhao Ziyang stampato in bianco e nero con il dolore negli occhi che nasconde quanto solo lui sa e cioè che il leader della modernizzazione Deng Xiaoping sta per applicare la legge marziale e sta per ordinare all'esercito di sparare sui giovani della pacifica protesta di piazza Tienanmen, quel volto è una pagina che la censura dell'apparato comunista non è mai riuscita a cancellare. Ed è rimasta per quasi sedici anni, dall'aprile del 1989, e per sempre rimarrà a testimoniare i tormenti, le spaccature, la vergogna di un vecchio regime autoritario che non voleva ascoltare le ragioni di chi rivendicava libertà e democrazia e scambiava queste ragioni per un attentato al potere assoluto del partito e dello Stato.
Zhao Ziyang, che è morto ieri vecchio di 85 anni, ammalato al cuore e ai polmoni (da giorni era in coma all’ospedale), costretto fino all'ultimo al silenzio e all’emarginazione degli arresti domiciliari sia pure in una bella casa di Pechino, all'epoca dei fatti di Tienanmen era già un corpo quasi estraneo a quel regime. Capiva che il suo spazio si era ridotto al minimo schiacciato dalla prepotenza dei conservatori. Ma tentò invano di convincere quei ragazzi a desistere dall'occupare la piazza; ché se non lo avessero seguito le speranze di innovare il sistema si sarebbero azzerate e si sarebbe scatenata l'ira della restaurazione.
Zhao era stato nominato a capo del Consiglio di Stato, il governo, nel 1980 ma costretto a dimettersi nel 1987 in quanto le sue fughe in avanti sul riformismo economico e politico avevano irritato e sconvolto sia l'ortodossia comunista sia le cautele e le prudenze dei modernizzatori. Aveva mantenuto la carica di segretario del partito comunista eppure non rappresentava ormai che se stesso o poco più. Il premier che gli era succeduto, Li Peng, e il capo della commissione per la pianificazione di Stato, Yao Yilin, erano riusciti a portare dalla loro parte Deng Xiaoping che a sua volta aveva il controllo delle forze armate e della sicurezza. Zhao doveva essere neutralizzato e l'entusiasmo con il quale stava seguendo il passaggio dalla economia collettivista alla economia di mercato andava fortemente ridimensionato.
La sorte di quell'uomo, segretario del partito comunista, che piange davanti agli studenti e li implora era in verità segnata. Nessuno può dire se una diversa decisione del movimento, se il movimento si fosse ritirato davanti alla minaccia della forza, avrebbe cambiato il corso degli eventi. Nell'aprile del 1989 la parola fine fu pronunciata dai carri armati che schiacciarono la protesta dei giovani e piegarono le illusioni di chi oltre al riformismo economico aveva ipotizzato una timida liberalizzazione nel campo politico. Da lì a poco, dopo il sangue di Tienanmen, Zhao Ziyang sarebbe sparito. Inghiottito dal silenzio.
Umiliato dagli arresti e dalla espulsione dal partito. E pensare che al partito aveva dedicato la sua vita. Ne aveva ricevuto gloria, fatiche e dolori. Figlio di una famiglia della provincia dello Henan si era unito alla gioventù comunista fin dal 1932 ma il primo incarico importante, segretario del Guangdong, gli fu attribuito nel 1960. Non era il funzionario zelante e indottrinato. Piuttosto un marxista attento ai turbamenti sociali, un precursore della modernizzazione e un dirigente equilibrato, per questo apprezzato, che cominciava allora a intuire la necessità di svoltare rispetto al modello sovietico della pianificazione e del totalitarismo. Non è certamente un caso che gli orrori e le purghe del fanatismo propri della rivoluzione culturale caddero anche sulla sua persona. Zhao Ziyang fu preso dalle guardie rosse, costretto a sfilare per Guangzhou con un cappuccio sulla testa, poi accusato di revisionismo e spedito nella Mongolia Interna. Da dove qualche tempo più tardi, nel 1973, Zhou Enlai lo riabilitò. Riprese il suo posto e morto Mao, nel 1977 Deng Xiaoping lo chiamò nel comitato centrale e successivamente nel politburo, il vertice del partito. Fu un riformista ante litteram ma accelerò troppo e pagò.
La Cina ufficiale ha tentato invano di cancellare Zhao Ziyang dalla sua storia. Anche la Cina di oggi, imbarazzata e ingessata, timorosa di chissà quali conseguenze potesse provocare una seconda riabilitazione.
Lo ha abbandonato nella speranza che il ricordo affievolisse e sparisse. Ma quella foto nessuno è riuscito a cancellarla. E' un documento che continua a parlare. Zhao Ziyang era in piazza Tienanmen con le lacrime che gli scendevano e il megafono in mano. «Vi supplico...» Al suo fianco, a sinistra, un uomo, che ancora pochi conoscevano. Era Wen Jiabao che sarebbe diventato, tredici anni dopo il massacro in piazza, il premier della Cina del libero mercato. Nemmeno lui in questo periodo ha avuto il coraggio di manifestare un gesto di riconciliazione con quel vecchio compagno che ben prima si era battuto per un Cina più aperta e moderna.
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