lunedì 17 gennaio 2005

i referendum sulla fecondazione

www.liberazione.it
L’embrione entra in politica
di Ritanna Armeni


Chi ha paura dei referendum? Chi vuole cancellarli, edulcorarli, far perdere loro la carica politica e innovativa? Chi vuole ridurli ad adempimento burocratico per poi archiviarli e fare come se niente fosse? Chi vuole evitare schieramenti e prese di posizione troppo precise?
E’ stato chiaro, già dopo qualche ora dalla decisione della Corte costituzionale di respingere il referendum abrogativo della legge sulla procreazione assistita, che il partito di coloro che avrebbero voluto eliminare i referendum, anche quelli promossi dalla Consulta, era vasto e giustamente i promotori, a cominciare dai radicali, hanno lanciato un grido di allarme sulla possibilità di un inciucio in Parlamento. I buonisti del Polo da una parte, i comprensivi e i preoccupati delle opposizioni dell’altro, hanno rilasciato dichiarazioni e lanciato accattivanti esche. I referendum possono essere evitati, hanno detto, basta un po’ di buona volontà e qualche ritocco qua e là alla legge.
Non ci riusciranno. Le questioni poste dai quattro referendum sono difficilmente riducibili ad emendamenti della legge. Una nuova discussione in Parlamento provocherebbe discussioni e divisioni che le forze politiche della maggioranza e dell’opposizione non possono permettersi a tre mesi dalle elezioni regionali.
Oggi il pericolo per i referendum è un altro. Viene da quel fronte ampio che va da Berlusconi a Prodi (Romano e Paolo) che riduce il voto del referendum ad “un voto di coscienza” e mette in guardia contro una politicizzazione che dividerebbe e lacererebbe i cittadini.
Affermare che bisogna votare secondo coscienza è ovvio fino ad essere banale. Se lo si dice e lo si ripete oggi è perché si vuole dire un’altra cosa. Non si vuole un referendum politico e si vuole evitare uno scontro - anch’esso tutto politico - su temi che dalla politica si vorrebbero estromettere e che invece nella politica, proprio grazie ai quesiti referendari, stanno rientrando: la famiglia, la procreazione, la maternità, il ruolo della donna. I valori della vita, della solidarietà e della compassione. Il rapporto con la scienza, l’idea di responsabilità del singolo e della collettività.
Sono queste questioni che riguardano la coscienza? Certamente: proprio per questo riguardano la politica. Possono due o più schieramenti o partiti scontrarsi alle elezioni, proporre una loro idea di società e quindi di rapporti fra gli uomini e le donne e fra questi e lo Stato senza dire la loro su questi temi?
La legge sulla fecondazione medicalmente assistita approvata nel febbraio scorso dalla maggioranza di centro destra possiede un’intima e terribile coerenza. Il corpo della donna è contenitore e veicolo neutro e inconsapevole. La famiglia è tradizione e sicurezza prima che amore e solidarietà. La maternità e la paternità sono riconosciuti solo all’interno di questa tradizione e sicurezza. Chi, per scelta o per disgrazia, non ne fa parte, è escluso. Come è escluso dalla compassione e dalla solidarietà della comunità chi, malato, non può neppure affidare le sue speranze ad una ricerca scientifica che pensi di alleviare il suo male. Quel che conta per questa legge è salvare i cosiddetti valori: la famiglia, l’embrione riconosciuto come persona fin dal concepimento, e naturalmente quel Dio che - secondo i legislatori - cerca il sacrificio della donna e di chiunque abbia avuto la disgrazia di non poter essere curato con gli attuali ritrovati scientifici.
Dire di sì a questa legge è un atto politico. E’ dire di sì ad un sistema di valori. Dire di no è un altro atto altrettanto politico. Che poi possano dire di sì uomini e donne che non fanno parte dello schieramento politico che ha voluto la legge, è un altro discorso che non si può esorcizzare depoliticizzando lo scontro. La politica non è solo buona o cattiva amministrazione. Non è solo legge finanziaria e ordinamento giudiziario. Non è solo Prodi e Berlusconi. Per le donne e gli uomini che vanno a votare non solo è questo, ma anche molto, molto altro. E’ anche tutto quello che i quattro referendum propongono alla discussione. Andare a votare, fare la campagna elettorale, significa scegliere secondo coscienza non una società senza valori, ma altri importanti valori. Non una società senza responsabilità, ma con una responsabilità più ampia e non delegata. Per la sinistra e per chi ne fa parte attivamente il sì ai quattro quesiti referendari ha un valore aggiunto enorme. Significa portare nel proprio schieramento un’idea della politica ben più ricca, complessa, difficile e affascinante di quella che finora gli addetti ai lavori pensano di proporre. I referendum sono un’occasione straordinaria e importante per una battaglia culturale dentro e fuori il proprio schieramento. Anche nelle opposizioni - per intenderci - finora preoccupate solo di non destabilizzare un sistema di valori e di consuetudini, di non scuotere e turbare i propri elettori prima delle elezioni regionali e politiche. E invece è bene provocare e destabilizzare. Questi referendum sono un’opportunità. Possono essere una fortuna.