lunedì 10 gennaio 2005

da AVVENIMENTI adesso nelle edicole
«L'ARTE ABBANDONATA»

di Simona Maggiorelli

Sul numero di Avvenimenti in edicola c'è un dossier su tutte le malefatte di questo governo rispetto all'arte. Qui di seguito l'intervista che lo apre. La signora in questione Jadranka Bentini, è una figura importante nel panorama della tutela in Italia, che di recente, un anno prima della pensione, ha deciso di rinunciare al proprio ruolo in polemica con questo governo, ma la notizia è stata riportata solo in un trafiletto dal Resto del Carlino!
A seguire, acquistando il settimanale si può leggere un pezzo molto duro di Italia Nostra, firmato dalla presidente Desideria Pasolini dall'Onda e intitolato "Beni culturali lo Stato si suicida" e poi un pezzo che ricapitola tutte le decisioni del ministero dei Beni culturali, fra vendite della Patrimonio Spa, inadempienze e scippi - come sempre - perpretati a fine anno. Quando l'opinione pubblica è distratta dalle vacanze.
Avvenimenti
L’arte abbandonata

“Tutelare il nostro patrimonio è diventato un compito impossibile”. La dolorosa scelta della soprintendente emiliana Jadranka Bentini. Che si è dimessa. Per protesta
di Simona Maggiorelli

Avrebbe potuto rimanere un anno ancora, nel ruolo di soprintedente, che ha ricoperto per molti anni, a Bologna, a Modena, Ferrara e altrove. Ma Jadranka Bentini, cresciuta nella grande lezione di Gnudi e Emiliani, dopo il recente successo della mostra ferrarese dedicata ai tesori degli Este, ha deciso di abbandonare . “Avendo scelto, molti anni fa, la strada della tutela – racconta – per me è stato un dolore immenso lasciare”.
Che cosa l’ha spinta a farlo?
Nella situazione in cui versano le soprintendenze, non mi sentivo più utile. Ho pensato che avrei potuto meglio dare il mio contributo lavorando dall’esterno. Negli ultimi cinque anni, il lavoro in soprintendenza era diventato impossibile. Un’enorme e paralizzante ingegneria di procedure. Eravamo subissati a tal punto che, gran parte del nostro tempo, lo passavamo a confezionare tabelle. Una cosa alienante e assolutamente stupida.
Insomma, non poteva più fare il suo lavoro?
Mi sono trovata a vivere un periodo di grande umiliazione delle nostre discipline, di qual patrimonio di tutela, che al contrario ha elevato il nostro paese a livello mondiale. Un livello che non andava assolutamente né deluso, né appannato. Nel secolo scorso gli uffici di tutela, anche con poche risorse hanno fatto cose straordinarie, ma oggi non è più possibile.
La crisi delle soprintendenze quando è cominciata?
Già con il testo unico di riforma varato dal ministro Meandri era cominciato questo processo di burocratizzazione e di crescita delle strutture solo a livello di vertice che il ministro Urbani ha portato a livello esorbitante.
Italia Nostra sostiene che non si sia mai assistito a un attacco alla struttura pubblica della tutela di questa portata…
Sono assolutamente d’accordo. Ma vede i danni più grossi non vengono solo dal condono, dalla norma del silenzio- assenso alla vendita del patrimonio, questioni che giustamente hanno fatto scandalo, ma anche dal fatto che gli uffici della tutela, specie quelle più decentrati, sono soggetti oggi a un’ingegneria amministrativa che ne paralizza del tutto l’attività.
Quali prospettive ci sono per i giovani ricercatori?
Pochissime, purtroppo. È un aspetto per me molto doloroso. Non si sono più fatti concorsi, non c’è stato ricambio generazionale, né a livello di dirigenti né di funzionari. Per noi i giovani sono i cinquantenni. È mancato il rapporto fra università e musei, anche a livello gestionale. Si sono ingaggiati dei manager qualunque e si è preteso che venissero a fare miracoli..
Che cosa ha determinato questa situazione?
Il nodo è la mancanza di prospettiva e soprattutto la scarsa considerazione del patrimonio italiano. Una gran bella parola, contiene tesori inestimabili di cui la maggior parte degli italiani possiede una cognizione come di Araba fenice, di cosa straordinaria. Di fatto però ci si dedica ben poco. Il patrimonio ha sempre ricevuto risorse insufficienti, ma negli ultimi dieci anni è stato interpretato come un volano di tipo economicistico e non come un patrimonio da salvaguardare, come una storia da identificare e studiare. Il nodo è questo il patrimonio non è da sfruttare ma da far fruttare.
Dunque non è vero quello che diceva De Michelis: “L’arte come giacimento da sfruttare”?
Ma quale petrolio? Quale giacimento? De Michelis ha inventato una terminologia sbagliata. Lo ha fatto in modo provocatorio. Ma poi tutto questo è entrato nell’uso comune. Mi capita ancora oggi di sentire questo tipo di paragoni. Invece bisognerebbe riflettere su un’altra cosa, che il patrimonio ripaga in termini di crescita culturale, ma mai in termini di profitto economico.
Dunque non servono privatizzazioni a imitazione dei loro modelli museali americani, delle loro fondazioni?
Su questo Salvatore Settis che a lungo ha lavorato al Getty Museum è intervenuto con chiarezza. Lui conosce bene quella realtà e ha sempre detto che non bisognava prenderle a modello, perché la nostra storia è del tutto diversa, non funzionerebbe.
Ma non servono neanche le minacciose proposte del ministro Urbani: chiudiamo gli Uffizi…
Queste sue esternazioni lasciano sempre il tempo che trovano. Ma quello che è grave e che le abbia accompagnate anche con offese ai tecnici, a chi ci lavora.
Allora da dove si può ripartire?
Non credo sia semplice. Anche perché non si tratta solo dei musei, c’è anche quel museo diffuso che il nostro paesaggio. Quello che è certo è che bisogna rimettere in campo un parco di idee, bisogna ridare dignità alle nostre discipline, all’archeologia, alla storia dell’arte, alla storia. Non come la si sta facendo oggi. I temi della ricerca, della progettualità, della conoscenza devono essere riportati in primo piano. Bisogna riprendere a investire sulla cultura per i giovani che oggi si trovano a che fare con discipline meccanizzate e banalizzate.
Lei, nel frattempo come proseguirà il suo lavoro?
Mi occuperò del museo internazionale della ceramica di Faenza, non smetterò di organizzare mostre, ma soprattutto vorrei rimettermi a studiare. Ma c’è una cosa che vorrei dire ai giovani, vorrei dire loro che quello della tutela è il più bel mestiere al mondo.
Nonostante il dolore di vedere svendite, cartolarizzazioni?
Assolutamente sì, perché è un lavoro in perenne ebollizione, non c’è mai nulla di scontato, bisogna sempre conquistare le cose con una certa lotta. L’importante è che ci siano le armi per lottare. Ma quando sono così spuntate e non è rimasto che una trincea, diventa difficile andare avanti.