lunedì 10 gennaio 2005

da AVVENIMENTI adesso nelle edicole
dentro lo tsunami

di Simona Maggiorelli

Avvenimenti
Fini, il ministro della leggerezza

di Simona Maggiorelli


Lally scrive: Simona....sono Laura, per favore rispondi
simon scrive:
Come state? Siete feriti?
simon scrive:
Laura sono Simona ( nessuna risposta)
Lally scrive:
male..io sono quella messa meglio, ho una fattura alla caviglia e tagli ovunque.
Lally scrive:
Andrea non so dove sia
Lally scrive:
mamma ha perso un dito e babbo ha la spalla fracassata.
Comincia così la conversazione in chat con mia nipote, di 15 anni, la sera del 26 dicembre. Era il primo contatto, le prime notizie che avevamo dell’intera famiglia in vacanza a Phuket. Dopo aver saputo del maremoto. Lo tsunami li ha sorpresi mentre giocavano a beach volley. Appena il tempo di mettere il più piccolo, Andrea, sopra il tetto di un bungalow, dopo il primo urto. I genitori e Laura vengono portati in ospedale. Di Andrea, il bambino di dieci anni, non si sa più niente. Una storia drammatica, come tante altre. Storia di ore e ore di ansia, di ricerca disperata, di tentativi a vuoto di mettersi in contatto con l’unità di crisi della Farnesina. Le linee perennemente occupate. Solo dopo molte ore una voce femminile risponde: è lei che chiede informazioni a me. La famiglia di mia sorella non risulta in nessuna delle loro liste. Turisti fai da te? Insinua. Come se chi non andasse con viaggio organizzato, fosse un clandestino, non all’estero con visto e regolare passaporto. L’impreparazione e il pressappochismo nella gestione della crisi, comincia a farsi spettro tangibile . Il ministro degli Esteri, Gianfranco Fini, ammette il 28 dicembre: “Potremmo anche potenziare le linee di emergenza, ma abbiamo deciso di non farlo, prima vogliamo essere certi delle notizie che diamo”. Leggo: “Non sapremmo cosa dire”. Nel frattempo Laura era riuscita a contattarmi dall’internet point dell’ospedale Phang-Nga, il più vicino alla spiaggia, quello dove erano stati trasportati i feriti più gravi. Attraverso questo esile filo, è riuscita a far sapere di sé e di altri italiani ricoverati, manda continui messaggi all’ambasciata italiana a Bangkok, cerca aiuto dalla Farnesina, invano. Finché, finalmente, un messaggio le arriva dall’ambasciata italiana in Thailandia: “Gentile signorina – dice- potrà mettersi in contatto con il Console onorario di Phuket, Sig.Franco Cavaliere che sta organizzando il raduno di tutti gli italiani al Central Department Store di Phuket...Vogliamo anche informarla che il Ministero degli Affari Esteri italiano sta inviando un aereo per l'evacuazione degli italiani che volessero rimpatriare. Ci auguriamo che sia già riuscita a rintracciare suo fratello. La preghiamo di assicuraci in merito. Distinti saluti Gianluca Greco Incaricato d'Affari a.i.”. Come dire, si arrangi. Questa la risposta della nostra ambasciata a una ragazzina in cerca di aiuto. In Italia, intanto, in tv rimbalzano i sorrisi stereotipati di Fini, le risposte preconfezionate. Collegata al sito della Rai, Laura continua a segnalarmi che nelle immagini delle tv italiani non si dice la verità. La gravità della situazione è ben altra. I giornali, da La Stampa, a Libero, al Giornale, suonano la gran cassa, sulla magnifica gestione della crisi da parte del governo. Certo, il maremoto era, forse, difficile da prevedere. Ma perché in un paese come la Thailandia, dove il turismo italiano è massiccio, non c’è un’ambasciata dotata di strutture e personale adeguati? Si domanda e mi domando. La Farnesina ammetterà giorni dopo: “Il 90 per cento degli italiani scomparsi si trovava in Thailandia”. Gli aiuti mandati dal governo sono arrivati, nonostante quello che si è detto e scritto, solo diversi giorni dopo. Nel frattempo, anche in Italia, si veniva a sapere che della spiaggia di Khao Lak rimaneva ben poco e che un intero albergo era crollato con ottocento morti sul colpo, che gli atolli circostanti erano stati sommersi dall’acqua. Di chi c’era sopra, nessuna notizia. Intanto il nostro Console si faceva sentire con gli italiani ricoverati al Phang-Nga hospital, consigliando loro di prendere un taxi per andare a un raduno a Phuket per essere rimpatriati. Come avrebbe potuto, gente portata all’ospedale con pronta solidarietà dai thailandesi a bordo di carri di cipolle, furgoncini e quello che potevano, persone che non potevano camminare, narcotizzate dagli anestetici, in attesa del proprio turno in affollatissime sale operatorie salire su un taxi (ammesso di trovarne) ed andarsene? "Se solo il console e gli altri avessero fatto un giro in ospedale, come facevano i loro colleghi svedesi o britannici, si sarebbero potuti rendere conto". Mi dirà poi mia sorella al ritorno. È grazie a un servizio televisivo di una rete locale thailandese e all’intervento di un amico thailandese, se poi Andrea, stordito, in amnesia, è stato ritrovato in un centro di accoglienza di a una trentina di chilometri di distanza. Era lì insieme ad altri bambini sgraffiati e sbuccicati, ma per fortuna senza ferite gravi. L’ultimo dell’anno lo rivedo disteso in un’ambulanza della Pubblica Assistenza della Toscana che è venuta a prendere tutta la famiglia a Fiumicino per riportarli a casa. Ha la febbre, l’espressione stranita. Pelle e ossa, naviga nella sgargiante tutina Dolce&Gabbana che Berlusconi gli ha spedito insieme a zainetti griffati, Levi’s, scarpe da ginnastica ultimo grido. Una volta il regime, distribuiva pane e sacchi di grano, scherziamo con mia sorella Silvia. “Certo – dice lei, tenendosi la mano ferita –, se invece di farci tornare a casa impacchettati come caramelle luccicanti, avessero mandato là più farmaci e aiuti…”