lunedì 10 gennaio 2005

neo-romanticismo
gli accordi pre-matrimoniali

La Stampa 10.1.05
Prevenire è meglio che bisticciare

di Elena Loewenthal
«Accordi sulla crisi della famiglia e autonomia coniugale» è il titolo del convegno che si terrà a Verona il 14-15 gennaio presso la Facoltà di Giurisprudenza, con il patrocinio dell'Ordine degli Avvocati di Verona, dell'Osservatorio sul diritto di famiglia e con il contributo di Società Cattolica di Assicurazioni. Intervengono: Francesco Ruscllo, Pasquale Stanzione, Gabriella Autorino, Luigi Balestra, Giacomo Oberto, Massimo Dogliotti, Agnese Di Girolamo, Ernesto Capobianco, per un esame a tutto campo della questione. Segreteria organizzativa: Barbara Maria Lanza (0458005782) e Alessandra Cordiano (0458028828)
IN principio, come per molte altre cose, era assai più semplice: il mondo si divideva in due precise metà. Quella di chi per avere una moglie pagava un prezzo - magari in natura di pecore o cammelli -, e quella di chi era disposto a prendersi una moglie a condizione che questa gli arrivasse in casa fornita di adeguata dote. Amene e ironiche divagazioni a parte, questi due modi diversi di concepire e praticare il matrimonio sono lo spartiacque delle antiche civiltà. Nella Bibbia, ad esempio, una sposa può costare molto cara, come capitò a Giacobbe che lavorò quattordici anni pur di averla (e si ritrovò peraltro con due consorti al prezzo di una, ma questa è un'altra storia).
Al giorno d'oggi, possiamo indubbiamente andar fieri del fatto che sposarsi sia diventato più un affare di cuori che di portafogli. Ma, anche e soprattutto in considerazione degli sviluppi sociali più recenti, non si può negare che il matrimonio rappresenti un vasto insieme di fattori e implicazioni, non ultimo quello economico. Soppesando valori d'acquisto e convenienze finanziarie, in sostanza, i nostri antenati non erano necessariamente più primitivi di noi: si limitavano a prendere in considerazione solo uno degli aspetti dello sposarsi. Tornato purtroppo alla ribalta negli ultimi decenni, insieme al precipitoso disgregarsi dell'istituzione matrimoniale.
Nel decennio trascorso fra il 1985 e il 1995, ad esempio, il tasso di scioglimento delle unioni per separazione è passato gradualmente da 97,9 a 158,4 ogni mille matrimoni celebrati. E la tendenza, negli anni successivi, è rimasta invariata: le crisi coniugali sono in costante aumento, e per di più ci si sposa sempre meno. Quest'evidenza non piace probabilmente a nessuno, ma va presa tal quale è: con lucidità e coscienza. Andrebbe presa anche con gli strumenti adatti, se questi fossero sempre disponibili, ma non sempre è così. Sia sul piano sociale sia su quello giuridico: quest'ultimo in particolare fatica, come spesso capita, a stare al passo con i tempi che cambiano. Pensare che già il diritto romano, lungi dal considerare il matrimonio un sacramento indissolubile, prevedeva forme di «regolamentazione in via preventiva» di svariati aspetti patrimoniali del matrimonio. E la base del matrimonio ebraico è da sempre la ketubbah, (alla lettera: «scrittura»), un vero e proprio contratto concepito al fine di fornire alcune garanzie di base alla parte debole (la moglie) nel caso di scioglimento del legame.
Alla spinosa questione del matrimonio a rotoli Giacomo Oberto, magistrato di Cassazione, giudice del tribunale di Torino e professore a contratto presso l'Università di Torino, ha dedicato qualche anno fa due ponderosi tomi: un totale di circa 1660 pagine intitolate I contratti della crisi coniugale (pubblicato dall'ditore Giuffré). Al di là della trattazione giuridica, queste pagine sono uno spaccato sociale che desta interesse e preoccupazione in eguale misura.
La competenza degli addetti ai lavori si cimenta negli ultimi tempi con sfide che rispondono a sempre più complesse esigenze sociali: come mai, si domanda ancora Giacomo Oberto, le nuove coppie, specie nelle regioni settentrionali, optano in massa per il regime di separazione dei beni? «Cos'altro può significare ciò, se non una scelta compiuta in contemplation of divorce?». «Il fenomeno non può trovare una spiegazione se non nella crescente consapevolezza, da parte di vasti strati della popolazione, del serio rischio che corre oggi la famiglia italiana di andare incontro (e, in molti casi, assai presto) ad una crisi, e nel timore di dover venire un giorno a “fare i conti” con i complessi meccanismi giuridici legati allo scioglimento del regime legale», prosegue il magistrato in un suo studio dedicato, per l'appunto ai «Prenuptial agreements in contemplation of divorce e disponibilità in via preventiva dei diritti connessi alla crisi coniugale».
Al di là delle questioni giuridiche, il messaggio è molto chiaro: prevenire è meglio che bisticciare. Certo, gli accordi prematrimoniali sono ancora visti, qui da noi, come materia per scandali d'alta società. Siamo abituati a sentirne parlare dentro i film americani, ai piani alti di grattacieli lucidi, fra le pareti ovattate di lussuosi studi legali. O in casi non meno eclatanti come quella spartizione di un eventuale premio Nobel pattuita preventivamente, e poi attribuito al marito pochi giorni prima della scadenza della relativa clausola (… si tratta dell'economista Robert Lucas, premio Nobel per l'economia nel 1995). La realtà sociale ci invita invece a considerare con autentico spirito pratico l'eventualità di un accordo prematrimoniale che eviti, in caso di crisi coniugale, sfiancanti e spesso inconcludenti trattative. Giacomo Oberto presenta nel suo studio il caso di altri paesi - non solo gli Usa ma anche la Germania e la Francia - in cui gli accordi prematrimoniali non sono più un tabù. E invita a infrangere questo tabù anche nel nostro paese. All'imminente convegno di Verona si parlerà di questa istanza sociale ormai pressante.
Soprattutto per la parte debole della coppia (quasi sempre, ma non necessariamente donna), la cui giusta tutela risulta spesso difficile da praticare, una garanzia preventiva, un «accordo» all'atto del matrimonio, rappresenterebbe in molti casi la via per un percorso più semplice e sicuro, in caso di futuro scioglimento. L'obiezione di ordine culturale che si pone nel nostro paese alla pratica e alla regolamentazione giuridica degli accordi prematrimoniali è che essi potrebbero costituire un elemento di disgregazione nel matrimonio: in parole povere, sarebbe deprimente e anche rischioso, nel magico momento in cui ci si accinge a costituire una famiglia, mettersi a tavolino a parlare dell'assai meno magico (e solo probabile) momento in cui tutto andrà a catafascio. Ma «se la preoccupazione del legislatore fosse veramente quella di salvare la libertà del consenso sullo stato personale... andrebbe allora bandita ogni contrattazione sull'assegno che precedesse anche solo di un minuto la sentenza di divorzio», spiega Oberto. Questa obiezione, insomma, dovrebbe valere per ogni trattativa giudiziaria antecedente la rottura del matrimonio, creando una sorta di paradosso impraticabile. Sia moralmente sia giuridicamente, dunque, l'accordo prematrimoniale è cosa ammissibile, a prescindere dalla certezza che si prospetti una crisi coniugale. Una volta siglato, potrebbe diventare utile (anche se si spera che ciò non avvenga). In caso contrario, basterà riderci sopra con un sorriso, dopo una vita trascorsa felicemente insieme.