Il Messaggero 5 gennaio 2004
LA BIOLOGIA NON È TUTTO
di ALBERTO OLIVERIO
UN GRUPPO di ricercatori delle Università del Michigan e del Maryland ha scoperto un gene che modifica la sensibilità al dolore: il gene esiste in due forme diverse, una in grado di attivare dei meccanismi di analgesia naturali, l’altra che è invece meno efficace. Le persone in cui predomina la prima forma sono meno sensibili al dolore, o meglio ad alcuni tipi di dolore, rispetto alle seconde: nel loro organismo viene infatti prodotta una maggiore quantità di oppioidi endogeni, degli analgesici naturali che hanno un’azione antidolorifica paragonabile a quella della morfina.
La scoperta è interessante, soprattutto per chi studia il cervello: il gene in questione, infatti, regola l’attività di alcuni neuroni che possono attivare o inibire la funzione di altri neuroni, quelli appunto che producono analgesici naturali. Il gene, però, non è il “gene del dolore”, come si potrebbe affermare frettolosamente, ma uno dei tanti che entrano a far parte di una catena di eventi che culminano in una maggiore o minore percezione della sofferenza fisica. Per di più, non tutti i dolori hanno dinamiche fisiologiche simili; tra quello che caratterizza una scottatura, un mal di pancia o una banale emicrania non ci sono solo differenze di quantità: sono tre tipi di dolore diversi.
Per una strana coincidenza, a distanza di 24 ore sono state date due notizie che hanno qualcosa in comune: oggi molti media parlano del “gene del dolore”, ieri del gene “della timidezza” che farebbe sì che alcuni bambini diventino rossi come peperoni se si rivolge loro la parola e altri siano invece sfrontati e indifferenti alle interazioni sociali. E poi ci sono stati il gene dell’ansia, della tossicodipendenza e via dicendo. Chi non è un biologo molecolare o un neuroscienziato può avere la falsa impressione che ci sia un gene per ogni aspetto della nostra fisiologia e della psiche: se si ha un tipo di gene ci si comporta in un dato modo, se non lo si ha si è qualcosa di diverso, un po’ come nel romanzo di Robert Stevenson Dr. Jekyll poteva trasformarsi in Mister Hyde e passare dalla bontà alla cattiveria. Ci si può quindi domandare perché mai, se è stato scoperto un particolare gene, non si possa, se lo si vuole, regolarne la funzione facendo ad esempio in modo che un ragazzino molto timido o ansioso smetta di arrossire, di essere retratto o preoccupato per un nulla.
La risposta è che, salvo alcune situazioni, nel nostro organismo non esiste un gene di un tipo o dell’altro ma una maggiore presenza di numerose forme geniche: per di più un gene può essere più o meno espresso, vale a dire modificare la biochimica del nostro corpo, a seconda degli organi, dell’età e della presenza di altri geni che, insieme, stabiliscono il modo in cui siamo fatti e ci comportiamo. In alcuni casi, inoltre, come in quello del “gene della timidezza” sono più o meno coinvolti dei recettori che hanno un ruolo anche in altri aspetti del comportamento, come l’ansia, la tendenza ad essere depressi, l’impulsività, la ricerca di stimoli e novità: difficile dire in che senso si orienterà la nostra psiche sulla base delle caratteristiche di un gene che agisce su tanti aspetti del funzionamento cerebrale. Si aggiunga poi il fatto che il nostro comportamento non è dettato soltanto dai geni: quanti di noi, ad esempio, erano timidi da ragazzini e sono oggi disinibiti ed estroversi? Gli anni e le esperienze possono modificare, per fortuna, il modo in cui ci comportiamo, trasformando alcuni aspetti della nostra personalità: conoscere il gioco dei geni è fondamentale ma non banalizziamone le caratteristiche.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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