Corriere della Sera 18.1.05
Primarie, il successo della sinistra radicale
LA VOCE FLEBILE DEI RIFORMISTI
di PAOLO FRANCHI
Magari non sarà proprio «enorme» come sostiene Fausto Bertinotti. Ma di sicuro la vittoria di Nichi Vendola nelle primarie pugliesi del centrosinistra è un evento politico di grandissimo rilievo che va assai oltre la Puglia. In primo luogo perché segnala nel modo più clamoroso alcune evidenze sin qui sottaciute o sottovalutate, ponendo i riformisti della coalizione - in primo luogo i Ds che stanno per riunirsi a congresso - di fronte a questioni non più rinviabili. Piaccia o no, i 40mila e passa elettori di centrosinistra che hanno decretato di misura la vittoria di Vendola sul moderato Francesco Boccia testimoniano dell’esistenza in Italia, e non soltanto in Puglia, di una realtà ben più significativa, più diffusa e più radicata di quanto lascino intendere espressioni come "sinistra radicale" o "sinistra antagonista"; o di quanto dicano le sole percentuali elettorali di Rifondazione comunista. Esiste cioè il popolo assai più vasto e più variegato (così vasto e variegato da comprendere anche molti militanti ed elettori della Quercia, poco o per nulla inclini al radicalismo e all’antagonismo) di una «sinistra sinistra» che, nonostante tutte le divisioni, su alcune questioni fondamentali parla lo stesso linguaggio, coltiva gli stessi sentimenti, nutre le stesse passioni. In una parola, trova una sua identità comune.
Questa «sinistra sinistra», radicata e identitaria, fatica a pesare fin quando il luogo della decisione resta circoscritto nei partiti e tra i partiti. Ma se la scelta viene demandata a quello che potremmo definire l’elettorato attivo dell’Alleanza, chiamandolo a scegliere non solo tra diverse persone, ma tra diverse concezioni dell’Alleanza medesima, il suo peso si fa sentire, eccome. È successo in Puglia con Nichi Vendola, che non è affatto un improvvisato estremista, ma un professionista politico che ha fatto studi regolari in una scuola seria quale fu il Pci. Succederà, o è assai probabile che succeda, in altre e più importanti primarie, quelle per incoronare il candidato premier della coalizione, alle quali Bertinotti si è iscritto da mesi. Non per vincere, certo, ma per far pesare i (molti) consensi che raccoglierà. Non da segretario di partito, ma da leader di una componente decisiva della coalizione.
Romano Prodi, al suo ritorno in Italia, è stato criticato neanche troppo implicitamente da vari esponenti moderati del centrosinistra per aver dato quanto meno l’impressione di considerare Bertinotti un suo interlocutore previlegiato, o forse addirittura il suo interlocutore più importante. Queste primarie pugliesi confermano che si è trattato di critiche tanto comprensibili quanto infondate. Prodi, semmai, è stato lucido: questa sinistra c’è, conta, non mette in discussione in alcun modo la sua leadership, anzi, la investe del compito di rappresentare in prima persona il punto di vista dei moderati. Semmai sono gli altri leader riformisti e i loro partiti a farsi sentire flebilmente. Come se la ricomparsa della «sinistra sinistra» avesse svelato tutta la debolezza dell’identità politica e culturale di un riformismo, quello italiano, da sempre restio a dare battaglia in campo aperto, quasi che la primazia nell’Alleanza gli toccasse di diritto.
Ha posto e continua a porre la questione Francesco Rutelli: a modo suo, tirando qualche calcio negli stinchi e parecchi sassi in piccionaia. E Piero Fassino teme che ogni uscita di Rutelli dia un aiuto, di fatto, a Bertinotti e compagni, perché radicalizza, per reazione, l’elettorato di sinistra. In parte è anche vero. Per far valere le sue ragioni riformiste, se lo vuole, ha però la migliore delle occasioni, il congresso. Non sarà facile. I numeri congressuali sono tutti dalla sua. Ma il maggior partito della coalizione comincia a sentirsi un po’ stretto.
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