martedì 18 gennaio 2005

sinistra
due interviste di Bertinotti, sulla Stampa e su Liberazione
e Firenze

La Stampa 18 Gennaio 2005
PRIMA IL NOSTRO ERA UN DISCORSO DA SOGNATORI, ORA È DA VINCITORI»
LA MARGHERITA: UN FATTO POSITIVO, SPERIAMO CHE LA LEGGE CAMBI
Bertinotti: ora i Ds davanti al bivio
Noi pronti a costruire una nuova Rete

«Il voto tra Prodi e me? Segnali contrari non ne vedo, ma la tentazione di farsi del male nell’Alleanza è sempre forte». «Infiltrazioni? Qualche stupido guarda il dito, e non la luna»
di Fabio Martini


ROMA - SEGRETARIO Bertinotti, a questo punto le lasceranno fare le primarie a lei e a Prodi, unici tenori con gli altri a fare il coro?
«Penso di sì. Se proprio questa Alleanza democratica non è presa da un cupio dissolvi dovrebbe trarre un incoraggiamento dal fatto politico enorme accaduto in Puglia e farsi trascinare dal vento della democrazia. Segnali contrari non ne vedo, ma la tentazione a farsi del male nell’Alleanza è sempre forte».
Rutelli occupa lo spazio «non-socialista», Vendola e lei gli erodete l’elettorato: la Quercia non rischia un pericoloso accerchiamento?
«Non penso che i Ds abbiano problemi elettorali, nel congresso i numeri sono favorevoli al segretario, i voti ci saranno. Non è qui che va misurato l’impasse ds. Che è di natura strategica».
Strategica e contingente: fuori dalle primarie pugliesi e da quelle nazionali, quasi senza simbolo alle Regionali...
«Se qualcuno pensa che i Ds possano vivere una crisi per penuria di rappresentanza non sa di cosa parla. L’Italia è gremita di dirigenti ds: vedo sindaci, presidenti di Regione, per non parlare delle grandi organizzazioni di massa. Col pieno rispetto della loro autonomia, non si può non essere colpiti dall’ampiezza di questa rappresentanza. Piuttosto penso che abbiano un problema di definizione di identità».
Tradotto dal linguaggio per iniziati?
«Hanno pensato di cavarsela frettolosamente dicendosi riformisti e cercando una scorciatoia nell’ingegneria della Federazione. Ma uno e mille sono i riformismi e infatti i contrasti sono sotto gli occhi di tutti con le posizioni di Rutelli e poi di Prodi, Fassino, D’Alema, Mussi, Folena. Contrasti da portare alla luce del sole. Insomma, i Ds cosa vogliono essere? Dove vogliono andare?».
Cosa è accaduto in Puglia?
«Per la prima volta si è interrotta la tendenza della Seconda Repubblica a delegare tutto. Irrompe una partecipazione che cambia la rappresentanza politica e può inaugurare una stagione. E la sinistra radicale, per la prima volta dallo scioglimento del Pci, guadagna una pari dignità nella costituzione dell’Alleanza».
In Puglia gli iscritti ai partiti sono meno di 30.000, i votanti sono stati più di 80.000, la sorpresa è la gente «comune»?
«Il processo democratico non è fatto soltanto di regole, ma anche di un’anima e di una partecipazione che cresce quando la motivazione si fa forte. Ci sono momenti nei quali la partecipazione ha cambiato il rapporto tra la gente e la politica»
Quando è accaduto?
«Per esempio nel 1969: a Mirafiori per la prima volta andarono a votare anche i non iscritti ai sindacati e la penuria di iscritti alla Cgil fu immessa in una partecipazione straordinaria: andò a votare l’80% dei 55.000 dipendenti e la stragrande maggioranza dei delegati non avevano la tessera del sindacato. Oggi, come allora, c’è un moto appassionante che risveglie una domanda latente».
Qualcuno, come il segretario del Pdci Diliberto, ipotizza un’infiltrazione di elettori di destra...
«Questo mi pare ridicolo. Siamo ancora prima del dito e la luna. Lo stupido guarda il dito invece della luna? Qui non vede neppure il dito».
I recenti convegni romani della sinistra radicale dimostrano che il partito unico della sinistra alternativa non è ancora matura...
Bertinotti interrompe la domanda:
«No, no: è scartato. E’ un’ipotesi che troverei disastrosa, che disperde tutta la lezione del movimento, da Genova ad oggi: la sinistra è plurale. Non si può chiudere nell’orticello o nei vecchi lidi. Basta ricordare le presenze di sabato e domenica: Petrella, don Ciotti, Lisa Clark, Paolo Nerozzi. E’ un altra declinazione della sinistra italiana. Sabato, domenica e Nichi sono il nostro percorso».
Quindi Bertinotti non si mette in gioco: metterete assieme tanti indipendenti di (estrema) sinistra?
«Ma no! Abbiamo costruito una rete di relazioni. Non vogliamo costruire una piramide, ma sviluppare una Rete, che è la nuova coniugazione nel rapporto tra partiti e movimenti: riconoscere pari diginità ad un’associazione, ad un giornale, a un centro di ricerca che noi consideriamo importanti come un partito. Lavorare assieme tra storie diverse e organizzazioni di natura diversa. Prima delle Puglie poteva essere un discorso da sognatori, ora è un discorso da vincitori».

Liberazione 18.1.05
BERTINOTTI: "UN FATTO POLITICO ENORME"
di Rina Gagliardi


«Un fatto politico enorme chepuò cambiare la politica italiana». FaustoBertinotti vorrebbe festeggiare la vittoria di Nichi Vendola - di Rifondazione comunista, di una linea e di un'ispirazione alternativa, ma prima di tutto della democrazia - con parole sobrie, con lo stile «antiretorico» che gli è proprio. Ma, questa volta, proprio non ci riesce: trasuda di felicità da tutti i pori, e qualche aggettivo enfatico per forza gli scappa. Oggi ce lo possiamo permettere, del resto. Ma non per le ragioni in fondo banali che i nostri antipatizzanti e i nostri avversari ci attribuiscono: la soddisfazione è di quelle profonde, che connettono un risultato concreto a qualcosa che quel risultato trascende ed esalta. «Quand'è che in realtà la politica diventa una cosa alta, una cosa grande?» dice Bertinotti «Quando trasforma l'impossibile in possibile. Quando scova, recepisce e pratica una potenzialità e la fa diventar e un fatto reale. In Puglia è successo proprio questo: per la prima volta, in questo periodo grigio ed oscuro che viene chiamato «transizione alla Seconda repubblica», ha fatto irruzione la democrazia di massa».
Non è proprio la democrazia - la partecipazione alla politica delle persone e dei soggetti in carne ed ossa - la grande assente di questa fase storica? La dimensione manomessa, ridimensionata, atrofizzata anche in virtù della strategia delle classi dominanti e della natura regressiva di questo capitalismo? Ecco, ciò che rende straordinaria l'affermazione di Nichi è anzituttola partecipazione inedita ad un'occasione - le primarie - tanto finora criticato da destra, dal centro e da sinistra: sono andati a votare ottantamila pugliesi, per decidere chi guiderà la coalizione contro il governatore Fitto. Altro che New Hampshire! Ben oltre la "purezza" o l'efficacia dello strumento, questo vuol dire che forse qualcosa si sta muovendo nella società italiana, e nel rapporto tra politica e società. Proprio da questo tema prende le mossa la nostra intervista con il segretario di Rifondazione comunista.
L'espressione è impegnativa: democrazia di massa. Che cosa intendi dire?
Che in Puglia è successo qualcosa che non solo ridisegna la rappresentanza politica, ma cambia, in tendenza, la logica stessa della produzione di politica: l'irruzione, appunto, di un fattore "imprevisto" che si chiama democrazia di massa. Voglia di partecipare e decidere, oltre la delega tradizionale ai gruppi dirigenti dei partiti. Voglia di colmare l'abissale distanza tra palazzi e bisogni diffusi. Non voglio mischiare tra loro fatti che restano diversi e anche incomparabili. Ma in questo periodo, oltre alla vittoria di Nichi, c'è un'altra rondine che potrebbe far primavera: penso all'accordo tra Fim, Fiom e Uilm sul contratto metalmeccanico che restituisce ai lavoratori il diritto di decidere della propria sorte. Con la sua forza, l'evento pugliese spazza via molti scetticismi, preocupazioni e «profezie di sventura» della vigilia...
...sia quelli, da destra, che temevano la rottura della coalizione, sia quelli, da sinistra, che diffidavano di uno strumento nuovo, e per di più «americano»...
Esattamente. Il problema vero era - ed è - quello di rompere la gelata che in questi anni è scesa sulla partecipazione alla politica - e alla politica rappresentativa - insita nel meccanismo elettorale in vigore. È per questa ragione che ho accolto, fin dall'inizio, la proposta di Prodi di utilizzare questo metodo e che ho considerato un successo già la decisione di sperimentarlo in Puglia. Ed è anzitutto per questa ragione che l'esito va considerato straordinario: per la prima volta dallo scioglimento del Pci, un comunista - un leader politico della sinistra alternativa esce dalla condizione di minorità alla quale lo inchioda, appunto, il combinato disposto del sistema elettorale maggioritario e la sua collocazione politica (e ideale) radicale. Si dimostra che una personalità come questa può assumere la guida di tutta la coalizione e che, viceversa, non è vero che, per vincere, bisogna anzitutto spostare al centro la leadership. Come ha capito una forza politica come i Verdi - e tanti compagni della sinistra e dei Ds - che voglio ringraziare con grande calore per il sostegno concreto che ci hanno dato. Così come voglio ringraziare Riccardo Boccia per la generosità e la correttezza con la quale ha partecipato a questa "gara".
Tu credi che Nichi possa farcela, ora, a vincere la sfida con Fitto?
Penso proprio che possa farcela, e che sia comunque il candidato che ha le maggiori probabilità di mobilitare l'elettorato di sinistra e di centrosinistra, e quindi di battere il centrodestra. Perchè la sua nomina è il frutto di un nuovo patto tra leadership e popolo che si è realizzato sul campo, che ha travolto i vecchi equilibri. In questo senso il «modello Nichi» non è esportabile come tale, ma come lezione implicita. Specifica e generale.
Esaminiamo più da vicino queste nuove lezioni di produzione di politica. Prima di tutto, sembra quasi ovvio ribadirlo, questa è la vittoria di una persona.
Sì, questa è la vittoria di un «uomo giusto al posto giusto». Una figura di statura nazionale che si colloca dentro un territorio determinato. Qui c'è una scelta del Partito, il nostro, di valorizzare fino in fondo questo incrocio virtuoso, chiamiamolo così, tra un luogo - con la sua storia, il suo popolo, le sue lotte, il suo bisogno di mutamento - con un leader politico che invera tutto questo nella sua storia personale. Qui c'è Nichi, naturalmente, uomo della Puglia e dirigente del Prc. Nichi con il suo profilo sotto tanti aspetti eccezionale: quello, nell'insieme, di un nuovo intellettuale meridionale, erede della cultura politica migliore della sinistra - del Pci - e allo stesso tempo protagonista del suo rinnovamento. Né credo che si possa trascurare il ruolo concreto che ha svolto, in questi ultimi anni, nei movimenti sociali (Terlizzi, Scansano, Melfi), nei luoghi dell'emarginazione (i migranti), nella lotta contro la mafia. Non voglio apparire enfatico, ma certo questo profilo specifico è stato determinante, nel contesto pugliese...
Ma questa è anche la vittoria di una linea politica?
Certo che sì. Per un verso, questa linea l'abbiamo già ricordata - sta nelle cose che Nichi Vendola rappresenta, per quello che ha fatto, detto, scritto.Per un altro verso, essa sta nella rotta che ci siamo dati: l'aver insistito sulla candidatura di Nichi, cioè, non è stato il frutto di una brillante invenzione tattica, ma dell'impostazione generale che ci muove in questa fase. In questo caso, di fronte al disaccordo sul leader della coalizione, le alternative che avevamo di fronte erano due - o forse tre: accettare l'esclusione e andare incontro alla nostra sorte naturale di vittime. Oppure: cercare altrove una compensazione, in termini di nuovi equilibri a nostro vantaggio in qualche altra situazione. Oppure ancora: rompere e condannarci - anche in Puglia - alla marginalità politica. In tutti i casi, oscillavamo tra galleggiamento politicistico, mercantilismo, vittimismo, sucidio politico. Qui è intervenuta la "mossa del cavallo" che ha spiazzato tutti i giochi: spostare la contesa in un luogo diverso. Invece di decidere nei vertici dei partiti, o nell'equilibrio complessivo delle realtà regionali, abbiamo accettato la sfida di dare la parola agli elettori. Determinando la condizione nuova di un conflitto dal quale tutti, in ultima istanza, sarebbero usciti vincitori.
Vale un ragionamento analogo a livello nazionale?
Mi pare di poter dire che nella nostra scelta siamo stati premiato oltre ogni aspettativa. E un risultato come questo apre gli occhi anche ai non vedenti. A chi domanda che cosa è cambiato rispetto al '98, rispetto alla rottura con Prodi, per rendere possibile e politicamente fruttuoso un accordo col centrosinistra, oggi si può rispondere così: guarda la Puglia e guarda le primarie pugliesi. Ma c'è qualcuno che pensa che, cinque anni fa, Nichi Vendola avrebbe potuto vincere come oggi ha vinto? O che si sarebbero potute svolgere due grandi assemblee della sinistra radicale e d'opposizione come quelle che si sono svolte a Roma in questo week-end? Nel frattempo, è cambiata la costituzione materiale dell'opposizione. È cambiato il popolo. Sono cambiate le culture di base. Un mutamento che i movimenti, da Seattle e Genova in poi, hanno largamente determinato - il nostro merito reale, come partito, è di averci scommesso fino in fondo, di aver investito nella pratica (e "messa in valore") della contaminazione, di far pesare come possiamo le esperienze reali, ben oltre la tradizionale dimensione contrattuale. Appunto: questo mutamento non nasce dal nulla, non è un frutto della natura. Ma è esattamente questo che può spezzare la minorità e ci rende credibile la scommessa su una svolta politica generale, che non si limiti alla cacciata di Berlusconi.
Terza e ultima: questa è anche la vittoria di un'ispirazione, di una cultura politica? C'è chi ha parlato di Nichi Vendola come vincitore della "nonviolenza"
Chi lo ha detto, non ha tutti i torti. Nel senso che è stato riconosciuto, credo, il lavoro di innovazione che abbiamo tentato in questi anni e che l'opzione della nonviolenza incarna meglio di tante altre cose. La resistenza - che è sempre necessaria e che sempre richiede grande coraggio - non bastava, di per sé, a superare la diga che ci separava dai popoli di sinistra: per questo l'innovazione è stata necessaria, non certo per il gusto in sé del nuovo. Non avremmo potuto lavorare come pesci nell'acqua, se invece ci fossimo adattati alla pura gestione della resistenza, tanto più se ci fossimo rifugiati nell'orizzonte di un'ortodossia del passato da custodire e preservare
Una lezione d'insieme su questa vicenda. Che cosa cambia nella Gad, nel centrosinistra, nell'opposizione?
Io credo che si debba aprire una discussione di fondo sulla forza propulsiva della democrazia come risorsa essenziale dell'alleanza - di un'alleanza vincente non solo nella battaglia contro le destre, ma nella sua capacità di aprire una stagione nuova della politica. Forse, siamo alla vigilia di una "rivoluzione culturale" - nutrita di mille luoghi di rinascita, nelle forme più diverse, della partecipazione e dell'iniziativa autonoma di massa - che può mettere in crisi l'asfissia della politica "binaria", la sua impermeabilità, la sua lontananza. Arturo Parisi, non a caso, ha definito queste primarie "un evento storico e una vittoria della democrazia". Non credo proprio che si tratti solo di una questione di metodo.

Repubblica cronaca di Firenze 18.1.05
"L'atteggiamento di Domenici ostacola l'intesa per le regionali"


Il leader di Rifondazione Fausto Bertinotti attacca frontalmente il sindaco di Firenze Leonardo Domenici, che in una lunga intervista all'Unità uscita domenica aveva giudicato irrealizzabile l'intesa tra centrosinistra e Rifondazione in vista delle elezioni regionali.
«Sarei ipocrita se non dicessi che quell'intervista sembra intralciare il processo verso l'unità della sinistra, che nei fatti sta andando avanti»,
ha detto Bertinotti.
«Mi auguro che un atteggiamento così respingente venga superato».
Parole dure, pronunciate ieri sera proprio a Firenze, al teatro di Rifredi, dove era stato organizzato un incontro per discutere l'emendamento dei Giovani comunisti al documento congressuale che vede come primo firmatario proprio Fausto Bertinotti. Sul possibile accordo in vista delle regionali il segretario regionale di Rifondazione Mario Ricci ha invitato il presidente toscano Martini «a sciogliere ogni riserva» e a dire «un no o un sì». A Domenici replica così: «Quello è stato un intervento a gamba tesa. E poi, lui stavolta non è un diretto interessato».