mercoledì 9 febbraio 2005

vita

Le Scienze Febbraio 2005
editoriale
La parola «vita»: istruzioni per l’uso
Enrico Bellone


Grandi idee condivise regolano da sempre la cultura umana. A volte accade che una di esse venga messa in discussione, e ciò suscita, com’è naturale, controversie e resistenze. È questo il caso, nei tempi nostri, della parola «vita». Per generazioni abbiamo infatti accettato che esistesse un confine preciso tra ciò che è vivo, e ciò che vivo non è. E abbiamo altresì accettato, durante i secoli, che il vivente fosse suddiviso in tre distinti regni: mondo vegetale, mondo animale e uomo. Nella seconda metà dell’Ottocento, grazie all’evoluzionismo, caddero le barriere che la tradizione aveva edificato tra l’uomo e gli altri animali. Con gli ultimissimi anni, altre gloriose barriere si sono incrinate, e si aprono ora domande nuove sul significato di «vita». Alcune di queste domande s’incrociano tra le righe di tre articoli che trovate in questo numero della rivista. Una prima questione è posta in un articolo, a pagina 60, su una sostanza elaborata da un vegetale, la marijuana. Gli autori ricordano che il nostro cervello ne fabbrica naturalmente una forma specifica, sottolineano la presenza di recettori cerebrali per i cannabinoidi, e si chiedono «per quale ragione il sistema di segnali del nostro cervello comprende un recettore per un composto prodotto da una pianta». Curiosa domanda, questa: dove passa la barriera doganale tra l’uomo e il vegetale? Ma la domanda si complica ancora di più se la confrontiamo con quella che, a pagina 38, propone Luis Villareal: «I virus sono vivi?». La complicazione nasce in quanto una risposta plausibile richiede una ridefinizione globale del nome «vita». Ovvero, richiede che esista un’ampia gamma di stati intermedi tra ciò che è vivo e ciò che ci appare invece come materia inerte e priva di vita. A lungo si è creduto che i virus fossero privi di caratteristiche tipicamente vitali. Ora, invece, si sta facendo strada l’ipotesi secondo cui essi potrebbero addirittura essere «la fonte principale di innovazione genetica» sul pianeta. Il che vorrebbe dire che i virus colonizzano sia i batteri, sia i vertebrati: inventando nuovi geni, inserendoli in altri organismi e, di fatto, premendo sui cambiamenti evolutivi di tutto il vivente. Un’idea, questa, che già era stata esposta dal Nobel Salvador Luria, il quale si chiedeva se, osservando i virus, non stessimo in realtà osservando le radici stesse dei processi evolutivi grazie ai quali si erano creati gli schemi genetici vincenti che stanno oggi alla base di tutte le cellule viventi. Forse, come suggerisce Villareal, il nucleo delle cellule è il risultato di un’evoluzione innescata da un virus. Le domande sul significato di «vita» stanno insomma proliferando. Ce ne rendiamo conto leggendo le pagine di Cristina Valsecchi sulla vita sociale dei batteri. Sociale? Certo. C’è un batterio che fabbrica e usa antibiotici per eliminare altri microrganismi dalle zone da colonizzare. Utilizza molecole che svolgono funzioni linguistiche e gli permettono di dialogare con altri batteri. Ebbene, capire questi linguaggi è allora fondamentale per tutelare anche le nostre vite. Nella scala della natura, quella che abbiamo battezzato come «vita umana» non è separata dalle altre modalità vitali grazie alle quali l’intero mondo vivente, non più suddiviso in regni incomunicanti, cerca di sopravvivere sul nostro pianeta.

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