mercoledì 16 marzo 2005

ancora su Munch

L'Eco di Bergamo 16.3.05
Munch, l'onda anomala dei sentimenti del '900

Il suo quadro più famoso, «L'Urlo», considerato l'icona del '900, non c'è, neanche nelle versioni successive a quella rubata lo scorso agosto, ma la mostra che riporta Munch a Roma dopo vent'anni e che si apre domani al Vittoriano è una delle più attese della stagione.
Oltre cento opere tra dipinti e grafiche, che raccontano i decenni cruciali del padre dell'espressionismo moderno. La mostra, presentata nei giorni scorsi a Roma, tra gli altri, dall'ambasciatore di Norvegia Eva Bugge e dai curatori Oivind Storm Bjerke e Achille Bonito Oliva e promossa dal Comune e dalla Provincia di Roma e dalla Regione Lazio, vanta i numerosi prestiti del Munch-Museet e della Nasjonalgalleriet di Oslo.
Nel 1940, ha detto il sindaco della capitale norvegese Per Ditlev-Simonsen, Munch donò la maggior parte delle sue opere alla città dove visse per moltissimi anni. All'estero, infatti i musei che possono esporre i suoi lavori sono pochi, ha aggiunto Bjerke, basti pensare che a New York ce n'è uno solo.
È stato quindi molto difficile organizzare la mostra romana, dal momento che in allestimento in tutto il mondo ce ne sono numerose altre (fra cui quella a Chicago del 2006), ma i curatori sono riusciti a portare opere importanti realizzate tra il 1890 e il 1908, una sessantina di dipinti e cinquanta grafiche, nonché un nucleo di immagini fotografiche dello stesso Munch, una serie di autoscatti che lo ritraggono in diversi momenti della sua vita travagliata.
La rassegna del Vittoriano, ha detto Bjerke alla presentazione la scorsa settimana, non riguarda un periodo specifico della produzione dell'artista norvegese, bensì ha l'obiettivo di mostrare l'ampiezza della sua arte. Arte che – ha aggiunto Achille Bonito Oliva – anticipa l'espressionismo e si trascina dietro l'Art Nouveau, ma anche Van Gogh e Gauguin.
«È un coagulo, una sintesi linguistica che si fa forma», ha spiegato il critico riferendosi alla molte affinità con tutto il pensiero nordico, da Kierkegaard a Bergman, a lui precedente e successivo. Un Munch che quindi non sarebbe solo l'artista nazionale della Norvegia, ma di tutta la Scandinavia, che, prima di Freud, ha saputo scandagliare i labirinti dell'inconscio.
Sofferenza e angoscia trasudano da tele come «Disperazione» o «Melanconia» e persino nei bellissimi paesaggi al chiaro di luna, dove sempre la sensazione è di una chiusura su se stesso.
Per le opere di Munch, ha detto Bonito Oliva, si può parlare di «tsunami dell'anima, di onda anomala dei sentimenti, della proiezione di una dissociazione irreversibile», che si traduce in volti trasformati in maschere silenziose e nei colori di fuoco che ritraggono «l'immenso grido della natura».
Natura matrigna (e non quella solare degli impressionisti), a cui Munch sottoponeva persino le sue tele, quando, una volta terminate, le lasciava fuori casa, nella notte e nel gelo.
I quadri di Munch hanno sempre appassionato la cultura contemporanea non soltanto per la capacità di dare voce all'interiorità travaglia dell'animo umano ma anche per quella sorta di universailità del dolore e del disagio che è un tratto tipo dell'arte contemporanea. A Munch è spesso debitrice.