domenica 6 marzo 2005

Munch all'ospedale della Salpètriere

Il Tempo Domenica 6 Marzo 2005
MUNCH
I suoi diari dall’ospedale psichiatrico
Tra morte e follia con Freud e Jung

di VALENTINA CORRER

CI SARÀ un quadro in mostra al Vittoriano dal 10 marzo, molto meno famoso del rubato «Urlo», ma che grida anche più. Si chiama «Donne in ospedale», ed è un'opera che Munch ha dipinto probabilmente riferendosi all'ospedale psichiatrico Salpètriere di Parigi, un ex ricovero per poveri. La sofferenza vista in ospedale non era un dolore nuovo per il pittore perché l'aveva vissuta da vicino, in famiglia. Tutti siamo pronti ad immaginare sua madre o meglio ancora sua sorella Sophie, l'eterna dipinta con ciclicità sul letto di morte, entrambe portate via dalla tubercolosi sotto i colpi di tosse soffocati nel sangue, nel freddo gelido della Norvegia. Sophie non era l'unica sorella di Munch. L'altra, che si chiamava Laura come la madre, era malata anche lei. Morì in un ospedale psichiatrico. Un male diverso dalla tisi, un male che non si cura, di cui si parla sottovoce. Cosa che lo stesso Munch faceva. Per quanto si ostinasse a dipingere continuamente quelle scene di dolorosi lutti, portò sempre con sé quegli spettri. La sofferenza legata alla perdita della madre rimase soffocata dal comportamento paterno e della famiglia in generale che cercarono di distrarre i piccoli fratelli a colpi di dolci e giocattoli. Questo influì sull'adolescenza di Munch lasciando tracce nella formazione del suo carattere. Il padre, pietista, medico, gli urlava che si sarebbe un giorno trovato di fronte al suo giudice che lo avrebbe giudicato per l'eternità. Una personalità bipolare capace di giocare e allo stesso tempo infuriarsi allo stremo. Una sagoma inquietante che incomberà sempre su di lui. E che forse portò anche sua sorella a soggiornare in un posto simile alla Salpètriere. Un ospedale in cui gravitarono nomi illustri, tra cui Freud e Jung. Nomi legati ad un epoca che nasceva dalla crisi del positivismo e volgeva lo sguardo al simbolismo, al decadentismo. Che si preparava alla guerra. Il disagio, l'angoscia, l'insofferenza di fronte a certi stereotipi che imponeva la borghesia, erano comuni all'arte, alla letteratura e al teatro. Così le sensazioni, soggetto dell'opera munchiana, l'incomunicabilità del dolore, si traducevano sul palcoscenico dell'ammirato Ibsen. Non a caso Munch disegnò per lui proprio le scene di Spettri. Contemporaneamente l'appartenenza a un certo mondo bohemien, l'amicizia del poeta Przybyszewski e dello scrittore Jaeger, conferivano a Munch una certa aura di immoralità. Più di una le relazioni che ha avuto con donne sposate, la prima proprio con la moglie di Przybyszewski, soggetto ritratto nei quadri e nelle incisioni intitolate «Gelosia». La seconda di queste relazioni gli procurò invece un grande dolore, come pure quella fatale con Tulla Larsen da cui Munch uscì con una mano ferita da un colpo di pistola, alcolista e ricoverato dopo una crisi di nervi in una clinica con il dottor Jacobson. Tutta questa decantata libertà sessuale, si traduceva nel pittore in una difficoltà alla relazione amorosa, in un latente moralismo. Questa indagine nasce dalla lettura dei suoi diari, il cui approfondimento fa da corollario alla mostra del Vittoriano. Un progetto a cura di Maurizio Bertolucci e Tiziana Biolghini basato sulla rappresentazione teatrale de «I diari di Munch» a cura del regista Gianluca Bottoni (11 aprile Teatro Piccolo Eliseo). Il lavoro, assistito dal prezioso contributo scientifico di Psichiatria Democratica, sarà presentato nel locale romano Extra (17,18,19 marzo). E come per il grande pittore norvegese l'arte fu la terapia del suo dolore, saranno mostrate opere di pazienti psichiatrici, a ricordare come dietro un quadro c'è sempre il desiderio di comunicare qualcosa, di urlare.