domenica 6 marzo 2005

Pietro Ingrao, Giuliana Sgrena

liberazione.it 5 marzo 2005
la lettera di adesione al Prc
Pietro Ingrao

Care compagne e compagni, invio al vostro congresso e ad ognuno di voi un caldo, amichevole augurio di buon lavoro. Mi dispiace che l'età avanzata e impegni che non possa trascurare m'impediscano d'essere presente al vostro dibattito: in un momento, in cui il dialogo e la ricerca comune fra compagni sembrano così necessari e ineludibili.

Ma questa lettera non è di distanza. Anzi con essa io vi chiedo di accogliermi nella vostra organizzazione, per partecipare alla vostra lotta.

Tante volte - in questi decenni aspri, in cui abbiamo dolorosamente visto tornare la guerra - ci siamo incontrati nelle piazze, e tra i monumenti inauditi di Roma: per tutelare e rivendicare diritti del mondo proletario, o per invocare la pace violata dal nuovo imperialismo americano. Quante volte ho vissuto questa fratellanza che scavalca questioni di nomi e vincoli di tessere.

Abbiamo visto insieme con un groppo alla gola, piazze ricolme di una generazione a volte giovanissima, che balzava in testa ai cortei e dava vita a una nuova ricerca e a una lotta che traversava i continenti. Ne ha parlato il mondo.

Presto però, quasi contemporaneamente abbiamo veduto tornare - gestita dalla più grande potenza del mondo e addirittura esaltata nella sua capacità salutare e preventiva - la guerra nel mondo: tragicamente contrastata da un disperato e sanguinoso terrorismo. Mutavano, tragicamente, forme e dimensioni del conflitto sociale. Sorgeva la difficile domanda su come si poteva allargare la lotta per la liberazione degli oppressi e al tempo stesso difendere la pace del mondo anche dalla risposta terroristica.

E' qui che è tornata per me in modo nuovo ed urgente l'interrogativo sulla politica e sulle leggi.

E cioè: su come si poteva - e si doveva - incidere sui poteri e legittimati a comandare; a volte con la frode, ma pur sempre poggiando su un sistema giuridico, su una legittimazione a volte bassamente, cinicamente fraudolenta ma che dava poteri (e strumenti) con cui dirigere e controllare addirittura nazioni e continenti.

E' qui che risorgeva per me la domanda, assillante e insoddisfatta circa un agire politico, il quale incidesse su quel potere di Stati e di Imperi, che ora aveva nelle sue mani strumenti tanto terribili e nuovi circa la vita e la morte. E così - come il vostro segretario - ho incontrato nella mia riflessione la sete e la speranza della non violenza. E tutto il discorso e l'impegno sulla politica hanno preso un volto e dimensioni nuove e ineludibili.

Capite - spero - perché sono ora qui a chiedere la tessera del vostro partito: e torno a scegliere un vincolo così forte, che per lungo tempo già prese tanta parte della mia vita.

Buon lavoro a voi.


Il manifesto.it 6 febbraio 2005
Le verità di Giuliana
ALESSANDRO ROBECCHI

Ma insomma, cos'è successo a Falluja? Com'è che tutti quelli che si avvicinano troppo per sapere dei giorni spaventosi dell'assedio e della conquista si scottano o spariscono? Come la nostra Sgrena, come la collega francese Aubenas. Cos'è successo laggiù che è così delicato, così pericoloso raccontare? Può sembrare una domanda oziosa, ora, e come tutti i dettagli nel momento della paura e dello sgomento pare di sfiorare il cinismo. E però, se guardate bene, dentro questa domanda c'è il senso intero e compiuto di quel che Giuliana faceva lì. Falluja, naturalmente. Che vale Kandahar, che vale Mogadiscio, che vale Kabul. Che vale tutti i posti in cui l'accecamento delle fazioni non consente posizioni terze, visioni problematiche, volontà di capire e raccontare. Meglio non ci siano testimoni: la guerra è una faccenda piuttosto mafiosa, sarebbe gradito accettare le versioni ufficiali, non ficcare il naso. Nessuno che risolva le questioni a pistolettate, con i camion bomba o i bombardieri gradisce molto queste intrusioni di intelligenza che sono le domande, le richieste di spiegarzioni, le storie che raccontano la realtà. Amico/nemico è il sistema binario elementare - direi primitivo - che genera e alimenta la macchina della guerra. Incidentalmente, e con deplorevole tempismo, ce l'hanno ricordato poche ma significative schifezze comparse su alcuni giornali della destra.
Amica dei guerriglieri, ben ti sta, o cose simili. Come si vede, la logica troglodita della guerra fiorisce anche ben lontano dal fronte. Ogni falco gradisce un falco come nemico, e per le colombe sono tempi duri. E invece pare proprio il momento per dire chiaro e forte che è il contrario. Che la capacità di sfuggire a questa logica accecante è l'unico modo per uscirne. E cioè il guardare e il raccontare quel che accade, che vive o che tenta di vivere a dispetto di questa logica. Come fa Giuliana, appunto, come fanno quelli che non si accontentano delle versioni ufficiali, che vanno a fare domande, che ascoltano (cosa rara) le risposte. Così l'Iraq che ci racconta Sgrena non è esattamente quello che ci raccontano gli altri. Gli elettori disincantati e stanchi dei suoi reportages non sono quelli entusiasti e «liberati» che abbiamo visto e sentito in altri più accomodanti racconti. E dietro il dito indice sporco di inchiostro dei tanti votanti iracheni, lei sa dirci tutta la mesta complessità di una situazione, anche umana, anche privata, che compone il mosaico di un pezzo di storia che molti ci raccontano in un altro modo.
Sapere cos'è successo a Falluja, ora, vedete, non pare un'emergenza, forse un giorno lo sapremo e metteremo al suo posto un altro tassello del mosaico della barbarie dell'oggi. Ma, almeno in metafora, mai come oggi è doveroso saperlo. Perché non è solo la notizia qui che conta, ma la possibilità e la libertà di dirla, di cercarla e raccontarla a tutti. La rivendicazione di voler capire un po' di più, di non essere embedded nel cervello e il sacrosanto diritto di non essere arruolati a forza in una guerra sbagliata, folle e tanto dolorosa. Questa differenza, questa stonatura rispetto allo spartito ufficiale, questo guardare la guerra da dentro, ma da pacifista, è un punto di forza e non - come vorrebbero farci credere i soliti «armiamoci e partite» - una sconsiderata contraddizione.
E' in questa differenza, in questo modo di guardare le cose, che sta tutta - ma proprio tutta - la nostra lontananza da questa guerra e dalla logica che l'ha prodotta, e nessuno come Giuliana Sgrena sapeva raccontarlo, grazie alla scelta del suo angolo di visuale, alla sua speciale prospettiva di donna e pacifista e giornalista. Ovvio che deve tornare a casa al più presto, perché quel suo angolo di visuale è tanto prezioso quanto raro. E perché - tra le tante cose - deve raccontarci quel che c'è dietro questa guerra. E anche cosa è successo a Falluja.