domenica 6 marzo 2005

sul Congresso del Prc

Il Foglio 5.3.05
Il comunismo casual di Bertinotti attira diessini e sindacalisti
Reclutamenti in Toscana e Lombardia.
Un giottino segretario. Per Folena, Prc ha un programma, i Ds no

Roma. Qualcuno già la chiama "grande Rifondazione", partito comunista che celebra un congresso largamente identificato con il proprio leader, Fausto Bertinotti. Partito in trasformazione che il segretario intende allargare prima di cedere il posto - auspica lui - a un giovane della "generazione giottina genovese" (la cosa fa sussultare una forte opposizione interna di ex cossuttiani e trotzkisti preoccupati per lo snaturamento del partito). Partito che di concerto con Romano Prodi detta la linea politica estera dell'Unione; che si candida a rappresentare il volto istituzionale del movimento dei movimenti new o no global e intanto attrae frammenti della sinistra diessina. Quando non li recluta direttamente. È avvenuto in Toscana con Luca Ciabatti, area correntone, segretario toscano della Cgil - funzione pubblica e neocandidato di Rifondazione alla presidenza della Regione contro Claudio Martini. È avvenuto in Lombardia con un altro diessino, l'ex segretario regionale della Cgil Mario Agostinelli, arruolato dal Prc in qualità di capolista e presente anche nel listino di Riccardo Sarfatti. Quello esercitato da Bertinotti è al momento un fascino che si trasforma in successi politici e d'immagine, persino lessicali. Lo prova anche l'articolo con cui uno dei maggiori protagonisti del correntone, Pietro Folena, sull'Unità di ieri celebrava il realismo del programma di Rifondazione, un misto di neoantagonismo e di sfida al liberismo sfrenato, di pacifismo sostenibile e radicalismo post comunista. Qualcosa che luccica molto soprattutto accanto al "riformismo pallido" dei Ds. Così lo definisce Folena. Non è l'annuncio di un trasloco dalla Quercia ma l'ammissione che a sinistra Rifondazione s'impone e grandeggia e ha meno bisogno di reclutare ceto politico dalla sua destra che di gestirne il flusso costante dei consensi. "Parliamo di un partito con visibilità notevole" dice al Foglio Angelo Panebianco, editorialista del Corriere della Sera "guidato da un signore che si avvale del reciproco sostegno con Prodi e che ha un fondamentale punto di forza: mentre il programma dell'Unione è ancora in aria, lui un programma ce l'ha in politica estera, economica e sul welfare, e sa comunicarlo con idee chiare e un effetto calamita sul personale politico dei Ds". Il diessino Folena dice: "Di là c'è un progetto, di qua no, però esiste una minoranza interna, la nostra, che fa da pontiere con Rifondazione. Quindi sta bene dov'è. E che abbia ragione lui lo dimostra Prodi quando sostiene che anche Bertinotti è interno al progetto riformista. Dal momento che la parola riformista è amorfa e significa tutto e niente".
La rottura con la tradizione stalinista
Quella di Bertinotti è un'identità offerta in modo sapiente, un comunismo casual informale nella proposizione e aggiornato nel linguaggio con cui si mescolano altermondismo e battaglie contro la proprietà privata. "Bertinotti attrae - prosegue Panebianco - perché dice: 'noi siamo quelli di sempre ma il vestito che indossiamo va cambiato'. Il vestito nuovo è anche nelle novità lessicali di questo strano comunismo che ho definito libertario e depurato, e che cattura umori anticapitalistici presenti in una società a cui non possono essere vendute icone del passato. Bertinotti non dissimula, è in genuina in contrapposizione con la tradizione stalinista che ancora nel 1989 distingueva tra il grande e degno ideale, e il suo tradimento storico nell'esito totalitario". Secondo Panebianco esiste tuttavia un punto debole nella strategia bertinottiana. "Un'obiezione di fondo: quando decidi di eliminare la proprietà, con la proprietà elimini necessariamente anche la libertà. E dimostri così che qualsiasi progetto comunista di eliminazione del mercato non ha esiti totalitari per sbaglio: il totalitarismo è intrinseco al progetto. Questa debolezza teorica diventa più visibile perché Bertinotti non espone il suo programma da posizioni marginali, adesso ha un ruolo centrale e la sua non credibilità teorica è più fortemente avvertita". Il meccanismo bertinottiano, ammettono i dirigenti di Rifondazione, funziona dunque come contrappeso virtuoso della crisi identitaria dei Ds. I quali Ds - conclude Panebianco - "si espongono a tutte le incursioni possibili da parte delle minoranze più connotate, dai cattolici ai comunisti". Ma questa crisi non si sa quanto durerà e, particolare non irrilevante, la poca fretta di cui parla Bertinotti quando promette la sua rivoluzione mal si concilia con la certezza che lui solo può rifondare un partito ancora pieno di comunisti.