domenica 6 marzo 2005

Schopenhauer

La Stampa TuttoLibri 5.3.05
Schopenhauer cova i lampi del pensiero
Nel terzo volume degli «Scritti postumi» aforismi che fanno più luce di un trattato e i densi taccuini dei viaggi in Italia
Anacleto Verrecchia

IL terzo volume degli Scritti postumi di Schopenhauer è così bello a vedersi che lo si accarezza con gli occhi. E' la vendetta postuma del filosofo, che in vita penò molto per trovare un editore. Capita sempre così con le opere geniali. Stordita dagli ottoni di Fichte, di Schelling e soprattutto di Hegel, questo tronfio assolutizzatore dello Stato nel trascendente, la Germania ignorò a lungo Schopenhauer. Dovettero passare oltre trent'anni prima che ci si accorgesse della grandezza del Mondo come volontà e rappresentazione, una specie di piramide di Cheope in chiave filosofica. Il riconoscimento tardivo stuzzicò la vena satirica del filosofo, che, alludendo alla propria canizie, soleva dire che il tempo aveva portato delle rose anche a lui, però «bianche». Oppure, dato che tutti si recavano da lui come in pellegrinaggio, sbottava: «Alla fine vengono con trombe e tamburi e credono che questo significhi qualche cosa». Ma qui dobbiamo occuparci del Nachlaß, che nell'edizione tedesca curata da Arthur Hübscher occupa sei volumi. Questi scritti postumi sono di grande importanza per chi voglia studiare il sorgere o il formarsi del sistema filosofico di Schopenhauer. Qui egli scrive di getto e per se stesso, prendendo appunti e annotando le idee che a mano a mano gli si affollano nella testa; ma è proprio questo che conferisce freschezza e immediatezza al Nachlaß. Come certi abbozzi di Michelangelo, ad esempio la Pietà Rondanini, sono ancora più eloquenti dell'opera finita e levigata, così i pensieri abbozzati sul momento da Schopenhauer fanno quasi più effetto della loro rielaborazione nelle opere sistematiche. Franco Volpi, nella premessa, dice molto bene che questi inediti «spalancano le porte dell'atelier di Schopenhauer». Ma ci permettono anche di seguirlo o almeno di immaginarlo mentre va a caccia di idee, soprattutto negli anni di Dresda, per costruire il superbo edificio del Mondo come volontà e rappresentazione. Credo di esser stato il primo, in Italia, a spulciare il Nachlaß e a tradurne circa duecento aforismi. Il lettore interessato li può trovare nelle opere di Schopenhauer che ho curato per la Bur: Metafisica dell'amore sessuale e O si pensa o si crede. Schopenhauer è un maestro insuperabile dell'aforisma, genere letterario che il mio vecchio amico Prezzolini considerava il colmo dell'espressione. Il Nachlaß è disseminato di aforismi. Alcuni suonano secchi come una schioppettata e lasciano odore di polvere bruciata. Un esempio: «Se un dio ha fatto questo mondo, io non vorrei essere quel dio, perché il dolore del mondo mi strazierebbe il cuore». Altri sono, per così dire, lampeggianti e fanno più luce di un trattato. Li chiamerei i funghi reali del suo pensiero. Gli strali più roventi hanno per bersaglio la religione che ha preso o cerca di prendere il posto della filosofia; e se Nietzsche, con l'enfasi che gli è abituale, proclama la morte di Dio, Schopenhauer, quel dio, lo uccide veramente perché toglie qualsiasi validità teoretica al teismo. Il volume raccoglie gli scritti che vanno dal 1818 al 1830, quindi ci sono anche i taccuini che il filosofo tenne durante i due lunghi soggiorni in Italia. Il lettore, però, non si aspetti di trovare i soliti taccuini di viaggio, con annotazioni minuziose di ciò che si è visto o fatto durante la giornata. Niente di ciò. Tutto proteso sui problemi di carattere generale o universale, Schopenhauer non parla mai di sé e delle sue cose personali. Non fa come Thomas Mann, che annota perfino il colore delle sue scarpe e la frequenza delle sue masturbazioni, come se la cosa fosse di capitale importanza per la posterità. Proprio perché Schopenhauer non parla mai di sé, è difficile ricostruire i suoi soggiorni italiani che pure segnarono una svolta nella sua vita. Basti dire che in Italia stava per sposarsi. Accarezzò addirittura l'idea di trasferirsi in Italia, dove, come dice lui stesso, non godette solo «il bello» ma anche «le belle». Siamo abituati a sentir parlare di Schopenhauer come del salice piangente della filosofia. Niente di più falso: egli era una natura tremendamente passionale che all'occasione sapeva cogliere i frutti della vita, dolci o amari che fossero. Un applauso al professor Giovanni Gurisatti per la fluente traduzione. E ora un auspicio. L’Adelphi si è resa universalmente benemerita per l’edizione critica di Nietzsche. Ci sarà un editore che vorrà fare un’edizione critica anche di Schopenhauer, il padre di Nietzsche? Jochen Stollberg, direttore dello Schopenhauer - Archiv di Francoforte, è un ottimo filologo e nessuno meglio di lui potrebbe stabilire il testo critico.