sabato 30 aprile 2005

la biologa RAFFAELLA NICOLAI
citata sul Corriere della Sera del 24 Aprile

Corriere della Sera 24.4.05
Il filosofo Berti: sì alla ricerca, ma andava aggiunto il divieto di produrne altri embrioni
Lite sul parere dei Lincei


MILANO - Era inevitabile. Il «sì» dei Lincei alla ricerca sulle cellule staminali embrionali (58 voti favorevoli, otto contrari e quattordici astenuti) ha suscitato perplessità e reazioni polemiche. Dentro e fuori l’Accademia. Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita, è il più duro. Dice: «Il testo sembra avere lo scopo di influire sull’opinione pubblica e non di promuovere la scienza». E parla di «strategia unitaria dei referendari». Anche Riccardo Pedrizzi (An), presidente della Consulta etico religiosa, prende le distanze: «Il documento non è condivisibile. La proposta di usare gli embrioni già prodotti e crioconservati, con l’argomentazione che altrimenti sarebbero destinati a morte certa, parte da un presupposto sbagliato. Non è vero: quegli embrioni si potrebbero adottare». Il tema divide gli accademici. Più di quanto non dica l’esito della votazione, difficile e tesa, come quando tra i presenti è volato un «nazisti!». «Non c’ero, mi trovavo a Catania per un convegno. Ma certamente non avrei votato un documento senza una indicazione precisa scritta e inequivocabile sul divieto di produrre in futuro embrioni destinati alla ricerca. L’epiteto nazista? Non approvo questi eccessi, accuse di questo tipo non rientrano nelle mie abitudini», spiega Enrico Berti, professore di Storia della filosofia all’Università di Padova. E Paolo Prodi, docente di Storia moderna all’ateneo bolognese, ammette: «Non ho potuto partecipare alla votazione. Ma il discorso sull’uso o meno degli embrioni diventa tecnico e molto limitato. Il tema centrale, di interesse per tutti, è quello della vita stessa». Giuseppe Zerbi, ordinario di Scienza e tecnologia dei materiali al Politecnico di Milano, è uno degli otto «no». «Io ero presente - dice - e ho votato contro il documento sulle cellule staminali ricavate dagli embrioni congelati. Ho detto no a un testo blindato e ambiguo che non tutela l’essere vivente».
Ciascun no ha motivazioni articolate e precise. Enrico Berti parla dal punto di vista filosofico. Spiega: «Acconsento in linea di principio, per fini scientifici e terapeutici, all’uso degli embrioni già esistenti e dei quali si sa con certezza che non potranno mai essere messi nelle condizioni di potersi sviluppare. Sarebbe senza senso opporsi». Però: «L’impiego di embrioni umani per scopi diversi dallo sviluppo e dal bene degli embrioni stessi contraddice un principio fondamentale dell’etica kantiana: "Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro uomo, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo". E l’embrione è in potenza una persona».
Il sì degli accademici di fatto arriva a poche settimane dall’appuntamento referendario del 12 e 13 giugno, quando gli italiani saranno chiamati a rispondere ai quattro quesiti sulla legge che regola la procreazione assistita. E, letto dai referendari, l’intervento dei Lincei appare di sostegno. Così Marco Cappato, segretario dell’associazione Luca Coscioni, assicura: «Il voto dell’altroieri è un pronunciamento di buon senso. Una conferma della distanza tra la gran parte della comunità scientifica e il legislatore che ha partorito la legge 40. Gli accademici hanno sottolineato con semplicità la contraddizione di una legge che, sacralizzando l’embrione, preferisce che i trentamila embrioni soprannumerari esistenti oggi in Italia marciscano nei congelatori, piuttosto che essere utilizzati per cercare la cura contro malattie».
Per la biologa Raffaella Nicolai la presa di posizione dell’Accademia rispecchia in pieno «l’evidenza scientifica e anche medica: l’embrione non è persona umana». Su questo, però, tra gli accademici non c’è unanimità.


il documento
dell'Accademia dei Lincei:


ansa.it Venerdì 22 Aprile 2005
STAMINALI: LINCEI, SI' A USO EMBRIONI ABBANDONATI

(ANSA) - ROMA, 22 APR - Sì dall'Accademia dei Lincei all'uso degli embrioni congelati in sovrannumero per ottenere cellule staminali a fini di ricerca. E' quanto emerge dal documento sulle cellule staminali approvato oggi nell'adunanza delle Classi riunite dell'Accademia con 58 voti favorevoli, 8 contrari e 14 astenuti.
''L'Accademia Nazionale dei Lincei - si legge nel documento - si augura che sia evitata la perdita o l'eliminazione, invece dell'utilizzazione, degli embrioni soprannumerari congelati attualmente esistenti, e che il Parlamento approvi rapidamente leggi che consentano, in condizioni severe, controllate e protette da abusi, la donazione dei suddetti embrioni soprannumerari''. Secondo gli esperti dei Lincei ''verranno in tal modo accresciute le conoscenze scientifiche e, di conseguenza, alleviate le gravi sofferenze prodotte dalle malattie degenerative''.
Nel documento, in tre punti, si rileva che ''non è ancora noto in quale misura le cellule staminali derivate dai tessuti adulti e dai cordoni ombelicali potranno sostituire, in tutto o in parte, quelle derivate dalle cellule fetali ed embrionali'' e che ''in seguito alle critiche sviluppatesi in numerose sedi, la ricerca con le cellule staminali derivate da embrioni soprannumerari congelati è oggi di fatto vietata in Italia''. Ma secondo gli accademici ''esistono tuttavia validi argomenti in favore della rimozione di tali divieti''.
In primo luogo, si osserva nel documento, il divieto dell'uso degli embrioni congelati ''non sembra giustificabile dal momento che gli embrioni in questione sono comunque destinati a essere eliminati, e che lo scopo dell'uso e' quello di curare le malattie e cioe' di diminuire le sofferenze umane''. Inoltre gli studiosi osservano che il no alla sperimentazione con cellule staminali derivate da embrioni soprannumerari ''e' in conflitto con due dispositivi gia'esistenti nella legislazione italiana relativi all'interruzione della gravidanza e alla vendita, dietro prescrizione medica, della cosiddetta ''pillola del giorno dopo''. In terzo luogo il documento rileva che la Convenzione di Oviedo approvata dal Consiglio d'Europa nel 1997 e ratificata dal Parlamento italiano nel 2001 vieta la produzione di embrioni umani esclusivamente a fini di ricerca, ma non la produzione di embrioni a fini fecondativi nè il loro uso a fini di ricerca di base ''nel caso il fine fecondativo divenga superfluo e gli embrioni siano destinati alla eliminazione''.
Il terzo punto del documento riguarda, infine, le ricadute positive della ricerca sulle cellule staminali e della medicina rigenerativa in generale per la terapia di malattie degenerative come quelle cardiovascolari e autoimmuni, diabete, osteoporosi, tumori, morbo di Alzheimer e di Parkinson.(ANSA).
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venerdì 29 aprile 2005

Gandhi con Lenin?

una egnalazione di Roberto Altamura

Liberazione, 28.4.05 pag. 3
Gandhi incontra Lenin, la nuova sfida della politica
Nell’ultimo numero della rivista “Alternative” Etienne Balibar mette insieme le due importanti figure del Novecento e ragiona su comunismo e nonviolenza. «Linfa vitale per l’idea della rivoluzione»
la recensione
di Aldo Meccariello

Si può definire la concezione della politica, provando a far interagire due figure gigantesche del Novecento, Lenin e Gandhi? O in termini più semplificati, comunismo e nonviolenza? E’ la domanda che si pone in maniera non retorica Etienne Balibar in un saggio suggestivo e denso che apre il nuovo numero di “Alternative * (2/2005, edizioni Ponte alle Grazie, euro 8,00).
Il filosofo francese ritiene che riflettere su questo incontro mancato tra leninismo e gandhismo non sia tanto un’operazione meramente teorica quanto piuttosto si tratti di afferrare una linfa vitale per rianimare e civilizzare, oggi, parole in disuso come “politica” e “rivoluzione”. Oggi il bisogno di civilizzare e reinventare la politica è più che mai urgente, specie nel nostro paese, dove il berlusconismo, sia pure agonizzante, continua a lasciare cocci acuminati lungo la strada della democrazia e della giustizia sociale.
Domenico Jervolino in una nota introduttiva ricorda come la rivista, in collaborazione con altre testate, sia impegnata a dare vita ad un vero cantiere per le alternative, (un appuntamento importante è già fissato per il 6 e il 7 maggio), capace di coniugare conoscenza aggiornata e strategie di trasformazione della realtà. Il dossier del numero è del resto dedicato al tema della conoscenza come bene comune dell’umanità, “come l’acqua, l’aria, come l’ambiente e la salute” e si avvale di contributi di filosofi e scienziati autorevoli (Marcello Buratti, Marcello Cini, Elena del Grosso, Giuseppe Prestipino e Domenico Jervolino). Il taglio dei vari interventi non è solo informativo-descrittivo, ma chiama in causa una responsabilità etico-politica, necessaria alla costruzione di un’alternativa di sistema e di società. (…)

* Rivista bimestrale di politica e cultura, dell’area di Rifondazione Comunista, diretta dal filosofo Domenico Jervolino.

Giovanni Semerano

una segnalazione di Dina Battioni

Repubblica 28 Aprile 2005

Cultura
L'ORIENTE CI INSEGNÒ A PARLARE
Intervista
Il filologo Giovanni Semerano e la favola dell'indoeuropeo

A 94 anni lo studioso fa il punto sulla lingua che sarebbe all'origine della cultura europea e smonta una tesi molto forte
Non esiste alcun documento reale che provi l´esistenza di quella lingua

FIRENZE. La voce di Giovanni Semerano è flebile, come un soffio cantato che dà alle parole una strana leggerezza. Siede nel suo studio: il volto asciutto e glabro sembra scavare l´aria e si protende davanti al visitatore. L´abito che indossa è scuro rigato, porta la sciarpa al collo, e il fazzoletto candido nel taschino dà un tocco di civetteria a questo mirabile maestro dell´etimologia che, come in una scena di altri tempi, si è vestito "per l´occasione". E l´occasione è il nostro incontro nella sua casa fiorentina. Qui tutto appare sobrio ed essenziale, perfino dimesso. La libreria che lo sovrasta alle spalle raccoglie i suoi lavori. Ma non vi si coglie il gusto dell´esibizione, il lavoro ordinato del collocare le proprie opere al punto giusto, in armonia con l´occhio del visitatore. C´è semmai una docile casualità che governa lo spazio e ciò che vi è contenuto. È singolare come quest´uomo, giunto alla età di 94 anni, abbia fatto della propria vita un gigantesco esercizio linguistico per smontare la tesi (apparentemente indistruttibile) che l´indoeuropeo sia alle origini della nostra cultura europea. E ora che è uscito per Bruno Mondadori La favola dell´indoeuropeo (curato da Maria Felicia Iarossi, pagg. 117, euro 12), viene voglia di tornarci sopra.
In una storiella africana si racconta che gli uomini non hanno un vero scopo, ma se lo trovano devono perseguirlo con tenacia, altrimenti si trasformeranno in pietre. Le suggerisce qualcosa?
«Non conosco questa storia. Ma so che in ogni storia che si presenta come un apologo c´è un fondo minaccioso, oscuro, che affiora allorché siamo in presenza di una regola non rispettata, o di un divieto trasgredito. Per quanto mi riguarda, più che di scopi parlerei di missione del dotto. Il dotto è colui che porta una conoscenza, o che smaschera una insolente fandonia, nella mia vita ho cercato di fare entrambe le cose».
La sua missione è stata di aver destituito di senso l´idea che alla base delle lingue che oggi parliamo ci sia l´indoeuropeo. Come è nata la leggenda di una lingua così forte da condizionare tutte le altre?
«Storicamente fu il giudice inglese William Jones a fornire nel XVII secolo un apporto decisivo, immaginando di aver scoperto una lingua affine alle lingue europee. Ma già nel Cinquecento Filippo Sassetti, un mercante fiorentino non privo di estro, in una lettera a Bernardo Davanzati, sottolineò la somiglianza di alcune parole sanscrite con la nostra lingua».
Il sanscrito per lungo tempo è stato la lingua ufficiale dell´India. Aver trovato delle parentele con il latino, il germanico e il persiano quali conseguenze ha avuto?
«Faremmo prima a chiederci che cos´è l´indoeuropeo: una lingua interamente ricostruita. Il primo che si cimentò a utilizzarla per una narrazione fu il comparativista August Schleicher».
Quando dice interamente ricostruita cosa intende?
«Che siamo in presenza di una lingua ipotetica, non fondata su alcun documento reale».
Ma allora a che cosa si deve il suo successo? Perché i più grandi linguisti, dal Settecento in poi, ne hanno accreditato l´immagine vincente?
«L´espressione "vincente" può rendere l´idea. Nella formazione dell´indoeuropeo ha giocato un ruolo dominante l´ideologia eurocentrica. Se proviamo a gettare uno sguardo nell´antichità dei millenni, non ci imbattiamo in lingue indoeuropee. Quello che ci è dato incontrare semmai sono le lingue sumera, accadica, babilonese, assira. Lingue da cui è dipesa la nascita della nostra cultura occidentale».
Che idea ha dell´Occidente?
«L´Occidente deve tutto alle grandi civiltà del Vicino Oriente. E soprattutto, lo ripeto, alle civiltà sumera, accadica e babilonese. Di esempi se ne possono fare tanti. Matematica, geometria, astronomia, medicina, diritto e musica - i cui influssi sono giunti inequivocabilmente fino a noi - fiorirono nella fertile Mezzaluna. E qui nacquero anche le prime biblioteche, alcune istituzioni che meglio qualificano la civiltà di un popolo. C´è un vincolo che risale a cinquemila anni fa tra l´Europa e l´antica Mesopotamia».
Ma storicamente questo vincolo fra Occidente e Oriente come si manifesta?
Al centro della storia antica vi è Sargon il Grande, fondatore della dinastia di Akkad nel terzo millennio avanti Cristo. È questo condottiero a spingersi con il suo esercito fino al Mediterraneo. In una stele che vergò per i suoi sudditi si presenta così: "Io sono Sargon. Non conobbi mio padre. Mia madre era una sacerdotessa; mi concepì, mi produsse, mi pose in una cesta sigillata con pece; mi depose sul fiume che non mi sommerse e fui fluitato a casa dell´innaffiatore Aqqui". Tra l´altro tutto questo evoca anche la storia di Romolo e Remo».
Ci sono delle analogie?
«Anch´essi non conobbero il padre, erano figli di una sacerdotessa, posti in una cesta, lasciati sul fiume e spinti nella casa del pastore Faustolo».
Le origini di una civiltà quasi sempre si ricoprono di un velo mitico. Che ruolo riveste il mito nella lingua?
«Ogni parola è un mito. Originariamente, infatti, mito significa "parola". E ogni parola ha la sua dinamica creatrice».
Anche la religione è una componente fondamentale nella nascita della civiltà. Che rapporto ha con la lingua?
«Anche in questo caso "religione" ci riporta alle origini. Infatti la parola religio significa vincolo culturale, ciò che unisce una comunità».
Lei crede in Dio?
«Sì».
Chi sono stati i suoi maestri?
«A Roma, prima di trasferirmi a Firenze, ho seguito i corsi di Gaetano De Sanctis e Giulio Bertoni. A Firenze ho avuto come professori Ettore Bignone e Giorgio Pasquali».
Ha mai conosciuto Dumézil e Lévi-Strauss?
«No, ma conosco bene le loro opere. Nessuno di questi ha la solidità storica di Jean Bottéro. Dumézil, ad esempio, nel suo testo La religione romana arcaica si impiglia in una serie di voci che alitano attorno a Quirinus quale attributo di Romolo, di Marte. Quirinus, che è della stessa base di quiris, è titolo solenne. Da principio significa "borghese" e deriva dall´accadico kirhu (cittadella, area fortificata). Detto di Marte, che deambula in questo mondo delle origini, vien fuori una divinità poliade, protettrice del borgo».
Un appassionato di lingue antiche che rapporto ha con il viaggio?
«Emozionante per quel tanto o quel poco che il viaggio riporta ai propri studi. Sono stato in Cina e in Egitto. Ma i miei viaggi più belli li ho fatti attraverso i libri».
Fuori dai suoi studi quali letture ama fare?
«Adoro le poesie, mi piace leggere gli autori classici latini e greci. A volte mi sorprendo a ripetere i versi, per me forse i più belli della lirica greca».
Quali?
«Sono quelli di Alcmane. Arieggiano il mito del vecchio alcione che, non potendo più volare, è preso sulle ali dalle giovani alcionesse che lo recano in volo sul mare. Mi piacciono inoltre le epopee sorte in ambito mesopotamico. Sono espressioni di un´umanità ricca di stimoli e insegnamenti. Frequentando gli antichi si trova saggezza e serenità. Amo, altresì, gli scrittori francesi, inglesi, tedeschi. Se non mi fossi laureato in greco, lo avrei fatto certamente in tedesco, era una delle mie passioni. Durante gli anni ‘50, su invito di un germanista dell´Università di Trieste, ho tradotto numerose poesie di Hermann Hesse».
Le piacciono anche i romanzi?
«Soprattutto quelli storici».
Si ritiene soddisfatto per le cose che ha realizzato?
«Sì, credo di non aver fallito le cose importanti nelle quali ho creduto».
Che cosa avrebbe voluto fare che non ha fatto?
«Avrei fatto le stesse cose. E questo le può suggerire fin dove si è spinta la passione per i miei studi».
Se non fosse vissuto a Firenze quale altra città avrebbe scelto per vivere?
«Roma, a cui sono molto legato perché vi iniziai gli studi universitari».
Il suo lavoro più importante è unanimemente considerato il Dizionario etimologico. Che cosa ha rappresentato per lei quell´impresa?
«Cinquant´anni di lavoro. Ancora adesso appunto e correggo. La ricerca è un costante girar di pagine. Ricordo ancora la disperazione che mi avvolse quando durante l´alluvione di Firenze persi centinaia di schede di lavoro».
Che cosa rappresenta la filologia per lei?
«Per me è storia, anzi linguistica storica. In questa disciplina ho trovato la mia soddisfazione».
I suoi lavori non sempre hanno avuto il giusto riconoscimento da parte dell´accademia. Che giudizio dà sull´università?
«Le accademie e le università sono delle istituzioni restie a mutare gli indirizzi, a recepire nuove idee, anche solo per discuterne, magari per confutarle. È il loro limite».

Dulbecco si schiera: quattro Sì

L'Unità 29 Aprile 2005
Il Premio Nobel: «Proibire la diagnosi precoce è un insulto alla scienza».
Referendum, Dulbecco si schiera: quattro Sì
Turci: «La Rai deve dare spazio al referendum»

ROMA Anche il Nobel Renato Dulbecco non ha dubbi su quello che voterebbe se fosse in Italia nel prossimo referendum sulla legge 40 che regola la procreazione assistita: quattro «sì», uno per ogni quesito, «per combattere i grandi killer», le malattie che mietono più vittime, ed è questa la scelta che consiglia agli italiani che andranno alle urne. Le ragioni, spiega egli stesso nel corso di una intervista pubblicata oggi dall’Espresso, sono di ordine strettamente scientifico. Uno dei quesiti propone agli elettori di abolire la norma che vieta qualsiasi tipo di ricerca scientifica sugli embrioni a qualsiasi livello di sviluppo, estendendo il divieto non solo agli embrioni che si produrranno in futuro durante i cicli di fecondazione assistita, ma anche quelli fino ad ora congelati. «Sappiamo ben poco - spiega Dulbecco - di queste cellule. Ma ciò ci indica chiaramente che possono essere la strada per battere i grandi killer del nostro tempo, dall'Alzheimer, al Parkinson al cancro».
Ed il Nobel aggiunge anche che «sappiamo che non c'è paragone fra quanto si può fare con le cellule adulte, e già oggi spesso si fa per fortuna, e quello che si farà con le cellule embrionali».
«Penso che dobbiamo cercare di fare bene il nostro mestiere - dice il premio Nobel -, cercare terapie per le malattie che affliggono l'uomo. E per fare questo è necessario che ci diano i mezzi per farlo. Impedirci di lavorare sugli embrioni non ci mette nelle condizioni migliori». Accettando anche un limite alle sperimentazioni: «In molti paesi ci sono limitazioni all'uso degli embrioni umani per la ricerca biomedica che stabiliscono il limite dei 14 giorni dalla fertilizzazione femminile, oltre i quali scatta il divieto. Mi pare un limite scientificamente ragionevole ed accettabile».
Non solo. Proibire la diagnosi precoce è un insulto alla medicina, dice Dulbecco. «Mettiamoci davanti a questo piccolo numero di cellule che viene chiamato embrione: potergli prelevare una cellula per sapere se è affetto da malattie gravi a me pare un grande progresso medico, molto utile per l'uomo. Proibirlo è un insulto alla medicina».
«Noi lavoriamo per battere le patologie che affliggono l'umanità - ha dichiarato Dulbecco - e molto del lavoro dei genetisti ha proprio come immediata applicazione la possibilità di scoprire le malattie ereditarie. Se la legge impedisce di mettere in pratica questo lavoro, io francamente non capisco perché si continui a fare ricerca scientifica. Pensiamo - ha indicato - alla possibilità che ci offre la terapia genetica sull'embrione: prelevare qualche cellula e curare molte malattie terribili che affligeranno il bambino e l'adulto. Senza il lavoro scientifico sull'embrione questo non sarà mai possibile».
Pronta la risposta del comitato Scienza e Vita, che è contro ilr eferendum: «Sulle cellule staminali adulte, come su quelle da cordone ombelicale, esistono una serie di dati scientifici assolutamente certi, ottenuti da scienziati di qualunque orientamento. Non è così per le staminali embrionali la cui equivalenza non è provata e che dunque non sono già spendibili sul piano clinico¸ sostiene la prof. Paola Binetti.
Intanto ieri il Comitato promotere ha fatto un sit- in di protesta davanti alla sede RAi di viale Mazzini, a Roma, affinché «La Rai applichi il regolamento della commissione di Vigilanza, dia spazio all'informazione sul voto di giugno».
«Abbiamo voluto questo sit-in -spiega il senatore dei Ds, Lanfranco Turci- per ricordare che le elezioni regionali sono finite, i funerali del Papa sono finiti, l'elezione del nuovo pontefice anche. Tutti questi grandi eventi hanno, giustamente, monopolizzato l'attenzione del servizio pubblico. Adesso, però, è il momento che la Rai si occupi della scadenza del 12 e 13 giugno».

«c'è un giudice a... Roma»
la legge È uguale per tutti!

Repubblica on line 29.4.05
Incostituzionali gli addebiti contro l'esponente islamico Adel Smith
Era accusato di offese contro la Chiesa, il cardinal Biffi e il Papa
Consulta, parità tra le religioni

Pene uguali per chi offende
La legge dovrà essere equiparata a quanto stabilito per altre confessioni

ROMA - Chi offende il cattolicesimo va punito con una pena non superiore a quella prevista per le altre religioni. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo l'articolo 403 del codice penale nella parte in cui stabilisce un trattamento sanzionatorio più severo per le offese alla religione cattolica rispetto alla diminuzione della pena disposta dall'articolo 406 per le offese contro altri culti "ammessi" nello Stato italiano.
I giudici costituzionali erano stati chiamati in causa dal tribunale di Verona che avevano sospeso, in attesa del pronunciamento della Corte, un procedimento a carico di Adel Smith. Il presidente dell'Unione musulmani d'Italia era accusato di aver gravemente offeso, nel corso di una trasmissione televisiva, la Chiesa, il cardinale Giacomo Biffi e Papa Giovanni Paolo II.
Con la sentenza di illegittimità depositata oggi in cancelleria (n.168, scritta dal vicepresidente Guido Neppi Modona), la Corte ha così cancellato una "inammissibile discriminazione" sanzionatoria tra religione cattolica e le altre confessioni religiose. L'incostituzionalità è limitata alla norma del codice penale (art.403, primo e secondo comma) che per le offese al cattolicesimo prevede la pena della reclusione fino a due anni se avviene mediante vilipendio di chi la professa, e da un anno a tre anni se la vittima è un ministro del culto. D'ora innanzi la pena dovrà essere diminuita, così come stabilito dal codice per le altre religioni.
Secondo la Corte "le esigenze costituzionali di eguale protezione del sentimento religioso che stanno alla equiparazione del trattamento sanzionatorio per le offese recate sia alla religione cattolica, sia alle altre confessioni religiose", sono "riconducibili, da un lato, al principio di eguaglianza davanti alla legge senza distinzione di religione sancito dall'art.3 della Costituzione, dall'altro dal principio di laicità o non-confessionalità dello Stato che implica, tra l'altro, equidistanza e imparzialità verso tutte le religioni, secondo quanto disposto dall'art. 8 della Costituzione. Ove è appunto sancita l'eguale libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla legge".

il manifesto: psicofarmaci e follia
...ma sempre coi fantasmi di Basaglia e di Lacan addosso...

il manifesto 28.4.05
Dolori irriducibili a un sintomo
MARIA GRAZIA GIANNICHEDDA

In questi giorni molti neuropsichiatri dell'infanzia vivono un grande sconcerto e imbarazzo: il 25 aprile infatti l'Emea - European Agency for the Evaluation of Medicinal Products - l'agenzia europea che valuta i farmaci, ha diffuso la decisione del suo comitato scientifico a proposito di due particolari classi di farmaci antidepressivi, che hanno la funzione di bloccare il riassorbimento della serotonina e sono oggi prescritti in Italia a circa trentamila giovanissimi, tre ogni mille. Test clinici, sostiene l'Emea «hanno dimostrato che i tentati suicidi ... e i comportamenti aggressivi sono più frequenti tra i bambini e gli adolescenti trattati con questi farmaci», che i ragazzi sono raccomandati, perciò, di non usare. Forti sospetti erano diffusi già da diversi anni, specie da quando era venuto alla luce il fatto che la potente multinazionale Glaxo aveva nascosto l'evidenza di questi non banali «controeffetti» della somministrazione di antidepressivi ai minori. Eppure proprio negli ultimi cinque anni in Italia si è triplicato l'uso di questi farmaci, prescritti in prevalenza a ragazze tra il quattordici e i diciassette anni. Certo, siamo ancora lontani dalle cifre sull'abuso di psicofarmaci documentato negli Stati Uniti e in Canada, ma non si deve trascurare il consistente «sommerso» rappresentato dall'uso di altri psicofarmaci come le benzodiazepine, che il nostro servizio sanitario nazionale non rimborsa e che quindi sfuggono al lavoro di monitoraggio delle prescrizioni farmacologiche ai minori, che l'istituto Mario Negri e il consorzio interuniversitario di Bologna stanno conducendo da oltre cinque anni, sul campione di un milione di bambini e di adolescenti. Le cifre citate sin qui fanno parte del «terzo rapporto sulle prescrizioni dei farmaci rimborsabili dal servizio sanitario nazionale ai bambini non ricoverati in ospedale», presentato alla fine dello scorso anno, e segnato dalla previsione di un ulteriore aumento delle prescrizioni in coincidenza con l'arrivo in farmacia, al primo gennaio di quest'anno, del Ritalin, uno psicostimolante su cui è accesa da tempo, negli Stati Uniti, quasi una guerra di religione tra chi ne propaganda gli effetti benefici sui quasi dieci milioni di bambini trattati, e chi viceversa mette in questione l'esistenza stessa della «sindrome del bambino iperattivo» che questo farmaco dovrebbe trattare.
C'è da attendersi, nei prossimi giorni, insieme al plauso anche una ondata di reazioni critiche alla decisione dell'Emea, probabilmente giocate, come da tempo è nella strategia comunicativa delle multinazionali farmaceutiche, sul tema della diffusione delle malattie mentali, in particolare delle depressioni, che sembrerebbe aver raggiunto livelli allarmanti, tra i bambini come tra gli adulti. Si riproporrà il problema di interpretare i dati che ciclicamente ci arrivano attraverso i grandi media, spesso senza alcuna citazione delle fonti di informazione e dei finanziatori delle ricerche e degli screening, che in gran parte sono le stesse case farmaceutiche produttrici dei rimedi alle malattie che fanno rilevare.
Ma cosa significa allora il fatto che siano prescritti oggi antidepressivi a un così alto numero di adolescenti, in particolare ragazze? Proprio nel momento in cui si vive, com'è noto, una delle fasi più complesse della vita, in cui tutto è fluido e si trasforma, dal corpo alle relazioni con sé e il mondo? Certo alla base c'è una sofferenza, che arriva al medico come domanda, verosimilmente generica, di aiuto da parte dei genitori e anche degli insegnanti. Questa domanda oggi incontra sempre più spesso una risposta chimica, che ha il vantaggio di convalidare il medico come esperto e di rassicurare gli utenti senza mettere in questione equilibri consolidati, in attesa che «passi la nottata», cioè quel dolore che vorrebbe dire qualcosa cui nessuno presta orecchio. C'è anche questo elemento, e forse ha il maggior peso, dietro al triplicarsi della depressione tra gli adolescenti. Che fare allora? È meglio rivolgersi allo psicoterapeuta che non usa i farmaci e si offre all'adolescente e magari alla famiglia nello spazio separato e ancora una volta tecnico del suo ambulatorio? Credo che dovremmo, innanzi tutto, allargare il ventaglio del possibile, di ciò che possiamo immaginare e chiedere per la nostra vita. Dovremmo quindi ricominciare a discutere tutti, esperti e non esperti, sui fatti della vita, sul dolore e i conflitti che possono accompagnarli, nell'adolescenza come nella menopausa, per citare un altro periodo che rende le donne più degli uomini oggetto di definizioni diagnostiche e di prescrizioni farmacologiche. Dovremmo discuterne negli spazi della convivenza, tra amici, in famiglia e anche a scuola, opponendo resistenza alla crescente tecnicizzazione di ogni spazio, che fa ad esempio dell'insegnante sempre più un fornitore di informazioni per preparare i giovani al mercato e sempre meno una persona che con altri suoi simili convive e crea cultura e società.
Franco Basaglia scriveva nel Concetto di salute e malattia del 1975, un tempo che sembra molto lontano, «che l'ideologia medica assume per sé l'esperienza della malattia, neutralizzandola fino a ridurla a puro oggetto di sua competenza», inducendo la persona che sta male «a vivere la malattia come puro accidente oggettivabile dalla scienza e non come esperienza personale». Resta questa la questione chiave, su cui troppo poco si discute e si lavora e che non entra affatto nella formazione dei medici: la questione del sapere/potere del medico, il suo rapporto col mercato e con la società, la medicalizzazione che aliena, che impoverisce l'esistenza, che restituisce il dolore e la sua complessità come puro insieme di sintomi.
La scelta tra farmaco e colloquio può essere una falsa alternativa se in entrambi i casi si lavora su diagnosi, in spazi separati, con linguaggi esoterici che fanno sentire poveri e deboli se non si ha, come nei film di Woody Allen, la pillola giusta per la propria angoscia o il numero di telefono del terapeuta.

il manifesto 28.4.05
Bambini liquidati con la logica degli psicofarmaci
MASSIMO RECALCATI
Incontro con François Ansermet, psicoanalista e psichiatra dell'età evolutiva. Non si può incontrare la sofferenza - dice - sulla base di un pret à porter terapeutico, che esclude l'individualità e l'inatteso in ciascuno di noi. Fare fronte con un farmaco al dolore dei bambini è un modo per evitare di ascoltarli e sbarazzarsi di loro
La enorme diffusione degli psicofarmaci nelle cosiddette società del benessere ha ormai raggiunto un livello di guardia. Il loro uso clinico sembra sempre più sconfinare in un abuso patologico. Negli ultimi anni questo consumo compulsivo ha travolto anche i bambini, ai quali vengono troppo spesso somministrati psicofarmaci per curare l'iperattività, il deficit di attenzione, l'ansia, i fenomeni psicosomatici, i disturbi del comportamento alimentare, del sonno, dell'umore, e così via. La pedagogia repressiva di stampo disciplinare sembra dunque rinnovarsi chimicamente nel nome di un igenismo scientista che tende a ridurre i sintomi del bambino a disordini da normalizzare, anziché assumerli - così ci ha insegnato la psicoanalisi - come manifestazioni particolari del loro inconscio. Per affrontare questi problemi abbiamo incontrato François Ansermet, psicoanalista e professore di psichiatria dell'età evolutiva all'università di Losanna, il cui lavoro clinico e teorico si è sempre mosso sul confine difficile e incerto che separa e unisce psicoanalisi e medicina, nell'intento di tenere insieme creatività e rigore. Ciò che lo orienta è il principio etico secondo il quale la nostra soggettività è irriducibile a ogni forma di determinismo. Principio che resta valido anche quando l'esperienza clinica coi bambini ci pone di fronte a casi limite: il rifiuto precoce e innaturale della vita, le malformazioni costituzionali, i fenomeni psicosomatici gravi, la rianimazione neonatale, l'abbandono o l'autismo. Nemmeno l'estrema traumaticità di queste situazioni cancella mai la singolarità di ogni persona, afferma con insistenza Ansermet. La particolarità di ogni soggetto è una costante ineliminabile, il luogo, per usare le parole di Lacan, di una «insondabile decisione».
Attualmente gli psicofarmaci sono propagandati come il rimedio più adeguato per rispondere a una esigenza di utilità immediata, che orienta non solo la domanda di cura ma, più in generale, la dimensione stessa dell'esistenza e dei legami sociali contemporanei. Lei cosa ne pensa?
Una tra le costanti della mentalità contemporanea è modellata sul bisogno indotto di oggetti che si suppone possano soddisfare tutti i desideri, in modo utilitario e immediato: anche gli psicofarmaci rientrano in questa prospettiva. Ansietà, turbe del sonno, dell'umore, e altri disturbi si vuole «guarirli» in modo rapido e soprattutto senza implicare l'unicità delle persone coinvolte. Sbarazzandosi del loro sintomo ci si sbarazza, in un solo colpo, anche di loro stessi. Allo stesso modo con i bambini, fare fronte farmacologicamente alle manifestazioni della loro sofferenza significa anche, in un certa misura, liquidare la complessità delle loro persone e il dolore mentale che ci impongono. Si pensa di agire in modo concentrato sul sintomo-bersaglio, si vogliono fare sparire i disturbi che infastidiscono i genitori, la scuola, la società, come il comportamento iperattivo, il deficit d'attenzione, l'aggressività, la violenza. Si isola un disturbo, ci si mette d'accordo sulla sua definizione e poi si cerca una sostanza che sarebbe supposta agire in maniera esclusiva sul comportamento, al di là della storia del bambino, del suo funzionamento psichico e della dinamica interna alla sua famiglia. Non ci si domanda più chi è il bambino, che cosa esprime attraverso quel disturbo, non ci si interroga sulla sua disperazione o sulla sua speranza, non ci si chiede quali questioni siano trattenute in ciò che il sintomo manifesta. È così che lo psicofarmaco può escludere la personalità del soggetto in questione. Tutto ciò non significa che i farmaci non vadano mai usati: non bisogna nemmeno rischiare un atteggiamento oscurantista.
Normalizzare è, attualmente, l'obiettivo terapeutico che orienta non solo la prescrizione farmacologica ma più in generale le procedure delle cosiddette terapie cognitivo-comportamentali. Foucault aveva insistito sul carattere repressivo-disciplinare di questa finalità. Cosa significa dunque normalizzare un bambino?
Non si può normalizzare un bambino. La norma è ciò che c'è di più antinomico alla particolarità individuale. Tuttavia le terapie cognitivo-comportamentali, che pretendono di fare a meno della soggettività, di ignorarne la storia, hanno come unica mira proprio la modificazione del comportamento, la sua normalizzazione, dunque una deriva «repressivo-discilplinare». Forse il fatto che oggi proprio questa prospettiva sia la più diffusa è anche la conseguenza di un declino della clinica, ovvero di quella disposizione terapeutica che fa esperienza della singolarità in quanto tale, che rovescia l'appiattimento universalizzante degli individui sul quale si fonda l'intervento cognitivo-comportamentale. Non si può incontrare l'altro sulla base di un prêt-à-porter terapeutico che rigetta l'unicità e l'inatteso, dimensioni che costituiscono ciò che è più proprio dell'essere umano. Noi tutti siamo fondamentalmente caratterizzati dal fatto di non essere comparabili, programmabili, universalizzabili...
Gli psicofarmaci sembrano allinearsi a quella stessa cultura del rimedio al dolore di esistere che ritroviamo anche nelle diverse forme di tossicomania. E più in generale, sembra rispondere alle stesse esigenze anche l'offerta maniacale di oggetti di consumo che caratterizza quello che Lacan ha chiamato il «discorso del capitalista»: ovvero, un tipo di legame sociale che pretenderebbe di escludere la dimensione della mancanza e del desiderio in nome di un consumo compulsivo di oggetti. Un consumo indotto costantemente dalla produzione di pseudomancanze, che questi oggetti avrebbero il compito di colmare...
Ha ragione. Tutto accade, nel mercato contemporaneo, come se si potesse trovare l'oggetto del proprio desiderio nell'oggetto di consumo, a condizione di porgli un prezzo. Si pensa che si possa avere tutto subito per nutrire una soddisfazione immediata. La rappresentazione che si dà degli psicofarmaci è completamente intrappolata in questa logica. Si pensa di avere a disposizione un oggetto il cui potere è quello di ridurre la propria insoddisfazione o quella dell'altro. È così che la logica del farmaco si congiunge, in un certo modo, alla logica della tossicomania: il tossicomane non troverà mai sollievo nella sostanza dalla quale dipende e che, paradossalmente, lo lascerà all'infinito in preda alla sua avidità. La psicoanalisi, al contrario, si orienta a partire dalla questione del desiderio, del suo oggetto oscuro che ella riconosce come inafferrabile, dunque come il contrario dell'oggetto di consumo. L'idea di un farmaco che verrebbe a modificare il comportamento rimanda effettivamente a ciò che Lacan chiama il «discorso del capitalista», nel quale ci si trova attaccati all'oggetto illudendosi di essere padroni di ciò che si consuma. Tutto questo avviene in un totale misconoscimento, che conduce il soggetto stesso a confondersi con l'ordine sociale nel quale s'inscrive; ordine sociale alla cui riproduzione egli partecipa senza averne la minima coscienza.
Iperattivismo, panico, anoressie, bulimie, obesità, fenomeni psicosomatici: la sensazione è che il quadro dei sintomi che affliggono il bambino occidentale diventi sempre più drammatico. È una sensazione giustificata? E se lo è qual è la sua causa?
È vero che questi disturbi assumono oggi un aspetto drammatico. Sono come delle storie senza parole che ricercano i loro spettatori, fanno appello a un intervento dell'altro; di un altro a cui ci si rivolge disperatamente perché intervenga. Il bambino si trova allora, in una certa misura, medico di se stesso, si cura attraverso il suo disturbo. Si potrebbe anche aggiungere il problema della violenza, che è un tentativo di restaurazione soggettiva, una ricerca vitale giocata all'insaputa di chi la mette in atto, il quale si ritrova lui stesso oggetto di una violenza che gli rimbalza contro sino al limite estremo del suicido. La violenza diventa così un disturbo del comportamento fissato e desoggettivato, attorno al quale tutto si cristallizza; sia per il bambino violento che per tutti coloro che lo circondano. Per uscire da questo circolo vizioso si tratta di creare le condizioni di un incontro dove sia possibile rimettere in gioco ciò che tormenta il bambino, per andare oltre il disturbo che patisce e che rappresentava, sino a quel momento, la sola soluzione che egli era riuscito a trovare per far fronte alla sua sofferenza.
Un bambino, affermava Lacan, è un sintomo o un oggetto del desiderio dell'Altro. Le sembra una affermazione ancora attuale? E come la si potrebbe spiegare?
Con il fatto che tutto ciò che il bambino manifesta può in effetti essere il sintomo delle dinamiche giocate nella famiglia o nella coppia dei genitori, e cioè essere il risultato del fatto che egli si ritrova a avere a che fare con i loro fantasmi. In questo caso, più il bambino è assoggettato e meno esiste come soggetto. E questo vale anche per le strategie sociali nelle quali il bambino rimane preso quando lo si vuole educare, normalizzare, ridurlo alle coordinate iscritte in quelle che dovrebbe essere le tappe prefissate dal suo sviluppo, piuttosto che ricercare la singolarità di ciò che egli manifesta. Il bambino emerge come individuo solo liberandosi dagli effetti delle dinamiche che lo rendono oggetto di ciò che, appunto, si mette in gioco attorno a lui. È una contraddizione difficile da accettare nelle strategie educative o nei programmi terapeutici fondati su degli apriori, applicati in maniera sistematica e indistinta. Le affermazioni di Lacan che lei ricorda sono centrali per orientarsi nella clinica. Si tratta di slegare il bambino dalla presa dell'altro perché possa percorrere il suo proprio cammino.
Lei ha scritto nel suo Clinica dell'origine che un bambino «obbliga coloro che lo hanno concepito, o che lo accolgono, a confrontarsi con una dimensione inabbordabile, con qualcosa d'impensabile, d'irrappresentabile che, può persino provocare, in alcuni, un effetto traumatico». Gli psicofarmaci non sono forse un modo, per i genitori, di evitare il confronto con questo trauma?
Il bambino è sempre al di là di ciò che si vuol fare di lui, compreso quando lo si tratta con dei farmaci. È altrove da dove si pensa che lui sia. Non si lascia afferrare. Già fin dalla sua origine, che è irrappresentabile, come la morte. Il confronto con questo dato di realtà può effettivamente essere traumatico. Ma il vuoto dal quale il bambino proviene è anche l'occasione di una libertà potenziale: tocca a lui diventare l'interprete del suo proprio desiderio di esistere. Se la psicoanalisi ha una funzione non è certo quella di ricondurre il bambino ai disturbi che lo affliggono, ma piuttosto quella di aprire il campo del possibile per lasciare che il bambino possa inventare se stesso. Non si può sapere cosa sia bene per l'altro, ciascuno si inventa a suo modo, fa le sue scelte, trova le proprie risposte che non possono essere conosciute in anticipo. È così che lo psicoanalista, piuttosto che essere un corvo nero del determinismo, è innanzitutto un praticante dell'imprevedibile.
François Ansermet:
Psicoanalista di orientamento lacaniano, vive e lavora a Losanna, dove è professore ordinario di psichiatria del bambino e dell'adolescente. Da anni si dedica allo studio delle possibili connessioni tra psicoanalisi e pediatria e, in particolare, alla medicina perinatale. Il suo ultimo libro, scritto con Pierre Magistretti, è titolato À chacun son cerveau. Plasticité neuronale et inconscient, e sta sollevando un grande dibattito tra gli specialisti. Di Ansermet il lettore italiano può trovare Clinica dell'origine. Il bambino tra medicina e psicoanalisi, Franco Angeli, 2004.

Marco Bellocchio a Pesaro

Il Corriere Adriatico 29.4.05
Mostra del Nuovo Cinema
Il concorso “L’attimo fuggente”

PESARO - La Fondazione Pesaro Nuovo Cinema organizza, in occasione della 41^ edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema (25 giugno - 2 luglio), la sesta edizione del Concorso “L’attimo fuggente”, riservato agli studenti di tutte le scuole (elementari, medie, superiori, università), per la realizzazione di un cortometraggio della durata massima di 3 minuti realizzato in video, in digitale o in pellicola (ma comunque riversato in Vhs). Possono partecipare al concorso cortometraggi di ogni genere realizzati con qualsiasi tecnica (fiction, documentari, animazione, sperimentali). I lavori dovranno essere recapitati all’Ufficio Teatri Comunali del Comune di Pesaro (Piazza Albani, 2 - Pesaro - tel 0721 387511) entro e non oltre il 10 giugno. La selezione delle opere presentate verrà effettuata da una giuria qualificata di esperti, critici e autori. I cortometraggi meritevoli verranno presentati nell’ambito della 41^ edizione della Mostra del Cinema. Nella serata del 2 luglio verranno premiati e proiettati in Piazza del Popolo, a Pesaro, i cortometraggi vincitori del concorso, alla presenza del regista Marco Bellocchio, al quale la Mostra del Cinema di quest’anno dedicherà l’Evento Speciale. Sono previsti un Primo, un Secondo e un Terzo Premio. I premi saranno offerti dagli sponsor della manifestazione. Per informazioni: tel 0721 387511.

Gran Bretagna:
le neuroscienze si propongono il pieno controllo della mente altrui

La Repubblica 26.4.05
Londra, studio di un gruppo di ricercatori. Possibile sondare il subconscio
"Una super tac leggerà i pensieri" così il cervello non avrà più segreti

LONDRA - Il nostro cervello si avvia a non avere più segreti, per gli scienziati. Un team di studiosi dell'University College di Londra ha infatti annunciato che con una risonanza magnetica al cervello si possono vedere i pensieri nascosti, reconditi, di cui neppure il soggetto sotto esame è cosciente. Già da tempo viene studiata l'attività del cervello esaminando i flussi sanguigni nelle diverse aeree, ma la scoperta ora pubblicata su "Nature Neuroscience" sembra offrire la possibilità di sondare il subconscio. Nell'ultimo esperimento inglese è stata misurata l'attività della corteccia cerebrale che elabora le informazioni inviate dagli occhi, mentre i volontari guardavano differenti oggetti sul computer. Leggendo i risultati della risonanza magnetica, gli scienziati erano in grado di dire quali immagini erano state mostrate sul video meglio ancora dei volontari che andavano in confusione se le immagini erano state mandate in successione troppo veloce. Secondo il dottor Rees questo sistema di analisi «potrebbe portarci a capire cosa uno pensa solamente guardando alla sua attività cerebrale e potrebbe essere usato per scoprire attitudini latenti e pensieri inconsci».

Il Mattino 26.4.05
«Un grande aiuto alla psichiatria»
ROMEO BASSOLI
La risonanza magnetica funzionale per immagini apre le porte alla scoperta delle visioni dell’inconscio
«Il futuro della diagnosi psichiatrica appartiene senza dubbio a queste macchine». Ne è sicuro Gaetano Di Chiara, neuropsicofarmacologo dell'Università di Cagliari. Professor Di Chiara, l'esperimento sembra proporre una macchina capace di diagnosi anche psichiatriche. Avremo gli "psichiatri meccanici"? «I ricercatori che lavorano con queste macchine sono sempre più in grado di leggere nella mente dell'uomo. Finora, le applicazioni si sono limitate alle malattie neurologiche come l'Alzheimer, perché lì si sa con certezza dove sono i danni e quali sono le reazioni chimiche del cervello. Per le patologie psichiatriche il discorso è più complesso. Ma ci si sta arrivando. Tra qualche tempo saranno queste macchine a darci certezze o a farci scoprire in anticipo malattie». Quali malattie? «Già sappiamo che parti del cervello si attivano quando una persona depressa ha quelle che si chiamano "ruminazioni depressive". Cioè quel girare attorno ad un problema trascurabile o a un non problema per trovare i lati negativi. Se una persone in preda a queste ruminazioni viene messa in una macchina fMRI, si vede subito un'attività della corteccia cerebrale». Perché la risonanza magnetica e in genere tutto questo modo di indagare il cervello che si chiama "imaging", sono così efficienti? «Perché si riesce a farle lavorare in modo tale da scomporre e analizzare con precisione l'attività cerebrale. Le macchine ci dicono quali stimoli arrivano al cervello, che cosa una persona sente o vede nel profondo. Noi tutti abbiamo la possibilità di percepire con il cervello cose che a volte provocano uno stimolo così basso da non riuscire ad attivare la coscienza». Quello che una volta si chiamava stimolo subliminare «Sì, sono stimoli, emozioni che non arrivano a colpire il nostro livello cosciente. Ma il cervello le percepisce. E reagisce. È proprio questa reazione che la macchina vede e registra». Si potrà davvero leggere nella mente come in una potentissima macchina della verità? «Credo che si potrà capire la tipologia delle emozioni, il piacere, la paura. Ma non si potranno conoscere i contenuti del pensiero, almeno per ora».

Il Mattino 26.4.05
Con una macchina si leggerà nel pensiero
PAOLA MARIANO

Leggere nel pensiero, scrutare i meandri inconsci e più reconditi della mente umana, scoprire fobie, pregiudizi e brutti ricordi rimossi dalla coscienza ma presenti nel subconscio a rosicchiare la stabilità dell'individuo: tutto ciò sarà possibile con la risonanza magnetica funzionale per immagini (fMRI). Almeno è quanto sostengono due studi indipendenti, rispettivamente condotti nel Centro di neuroscienze di Keihanna in Giappone da Frank Tong e all'Università College di Londra da Geraint Rees, entrambi apparsi sulla rivista Nature Neuroscience. I ricercatori hanno dimostrato di poter "leggere nella mente" di individui nell'atto di osservare immagini in movimento su uno schermo, indovinando che cosa stanno guardando. Nel confronto tra i ricordi degli individui e il responso della fMRI, questa risulta addirittura più precisa dei soggetti medesimi, registrando anche le immagini che, passate "invisibili" negli occhi degli osservatori, sono arrivate alla loro mente senza che ne avessero preso coscienza. La fMRI è una tecnica piuttosto nuova che dal suo ingresso nei laboratori di neuroscienze ha dato preziosissime informazioni sui ruoli di cui sono investite le differenti aree cerebrali. In pratica col tempo la fMRI ha permesso di tracciare una mappa delle funzioni di ciascun "spicchio" di cervello, scoprendo ad esempio il centro delle emozioni, piuttosto che quello della paura e così via. La macchina funziona rilevando l'attività cerebrale attraverso misure del flusso di sangue che irrora una certa regione nervosa mentre l'individuo in esame compie un'azione. Più il flusso è abbondante più quell'area è in piena "corrente creativa". L'area che mostra un picco di attività è di certo connessa con lo svolgimento dell'azione in corso. Oggi però questi lavori, che i neurologi hanno definito il primo passo per leggere nella mente umana e per provare l'esistenza del subconscio, attribuiscono alla fMRI il potere di scrutare almeno in parte i pensieri inconsci di una persona mediante la registrazione dettagliata dell'attività cerebrale. Gli esperti giapponesi hanno chiesto ai partecipanti allo studio di guardar scorrere su uno schermo strisce di testo, che entravano da destra o da sinistra. I ricercatori hanno visto che i modelli di attività della corteccia visiva dei partecipanti sono distinguibili in base al lato di ingresso del testo. Poi, guardando il responso della fMRI i neurologi hanno dimostrato di poter leggere direttamente nella mente dei soggetti la direzione della striscia. Infine gli esperti hanno complicato l'esame lasciando scorrere il testo da entrambe le direzioni dello schermo: questa volta gli osservatori dovevano scegliere una striscia su cui concentrarsi. Nello studio britannico, invece, sullo schermo passavano in rapida sequenza coppie di immagini. Il passaggio era così rapido che anche l'osservatore più attento, interrogato su ciò che aveva visto, non menzionava mai il primo oggetto. Questo però, invisibile ai suoi occhi, era stato archiviato dalla sua mente come "visto". Infatti, hanno spiegato i ricercatori, le scansioni con la fMRI registravano anche la percezione del passaggio del primo oggetto. È come avere una visione inconscia dell'oggetto, hanno spiegato gli esperti, gli occhi cioè passano l'informazione alla corteccia ma l'individuo non se ne avvede. «Se il nostro approccio fosse esportabile ad altre ricerche - ha dichiarato Rees - sarebbe possibile prevedere che cosa sta pensando o guardando un individuo, limitandosi ad osservare l'attività del suo cervello».

follia americana

ua segnalazione di Andrea Ventura

Repubblica, 28 Aprile 2005

Una nuova legge autorizza i cittadini a sparare non appena si sentano "minacciati", anche fuori casa
"Licenza d´uccidere" in Florida la guerra al crimine di Jeb Bush
Lobby delle armi soddisfatta, il capo della polizia di Miami: "Misura pericolosa"
Vttorio Zucconi

WASHINGTON - Attenti a quel nonno, turisti in viaggio per la Florida, in guardia da Topolino e Minnie. Da ieri hanno la licenza di uccidere, hanno ricevuto dallo Stato governato dal fratello di Bush il permesso legale di spararvi senza fare domande, se si sentono minacciati, stile Bagdad. La Florida è diventata il primo Stato americano, e forse l´unico al mondo, nel quale il principio universalmente accettato della «legittima difesa» si è esteso al legittimo sospetto e ora, non sorprendentemente trattandosi della famiglia Bush, i singoli cittadini possono condurre la propria «guerra preventiva» al crimine.
Tra l´entusiasmo e i generosi finanziamenti della National Rifle Association, la lobby dell´arsenale privato che arma l´America, la Camera e il Senato della Florida hanno approvato, addirittura senza opposizione nel caso del Senato, la legge che autorizza i cittadini a sparare su aggressori, rapinatori, malviventi, maleintenzionati, chiunque li guardi storto e sia percepito come una «minaccia», senza perdere tempo a chiedere aiuto o a tentare di fuggire e a farlo per strada, nei supermercati, nei luoghi pubblici, ovunque. Poiché già da tempo la Florida permette il trasporto di armi nascoste, in una borsetta, sotto la giacca, in automobile, ovunque, ogni uomo, ogni donna, ogni pupazzo di peluche, è divenuto automaticamente lo sceriffo di sé stesso. Mezzogiorno di Fuoco a Disneyworld.
La «dottrina del castello», come era stata chiamata la legge che già autorizzava a sparare contro ogni intruso che tentasse di entrare in casa propria, secondo il detto «la mia casa è il mio castello», si è allargata alla nuova legge detta dello stand your ground, del restare a piè fermo e fare fuoco subito, senza scappare o dibattersi. Spaghetti western a Miami. «L´idea che per essere giustificata un´autodifesa dovesse essere preceduta da un tentativo di fuga era insensata» ha commentato Jeb Bush, il governatore fratello. «Una donna che capisca di trovarsi davanti un violentatore, può ora estrarre la rivoltella e sparare, senza timore di essere incriminata per eccesso di difesa».
Il problema, ovviamente, è avere una ragionevole certezza, nei momenti di panico davanti a una possibile aggressione, che l´attaccante abbia davvero l´intenzione di nuocere, ma la nuova legge del «piè fermo» non sottilizza. Ogni guerra preventiva, privata o nazionale, è sempre costruita su un processo alla intenzioni. La persona che si sente in pericolo e che porta un revolver con sé diviene agente di polizia, pubblico ministero, giudice, giuria e giustiziere, sotto la protezione dello Stato. «La tragedia di questa nuova legge sta nel senso di immunità che rischia di produrre nei cittadini e non oso pensare a che cosa potrà accadere all´uscita, per esempio, di uno stadio, se un tifoso si sentisse minacciato da un altro tifoso ubriaco e manesco» ha commentato qualcuno che di pubblica sicurezza e di violenza sa qualcosa, il capo della polizia di Miami, John Timoney. «Questa è una legge irresponsabile, demagogica e pericolosa».
Ma anche molto popolare, come dimostra il voto entusiastico nelle due Camere dello Stato dove non è la solita «destra repubblicana» ad avere la maggioranza, ma sono i democratici, il partito di opposizione al governatore repubblicano Bush. Sull´onda di questa popolarità trasversale, la lobby delle armi, non soddisfatta di quei 192 milioni di armi da fuoco nelle mani dei cittadini americani, ha già annunciato che presenterà leggi simili negli altri 49 Stati, per dare a tutti la stessa «licenza di uccidere». Neppure la costante caduta del numero dei crimini violenti in tutto il Paese o il puntuale ricorrere di stragi, quelle sì insensate, dal liceo di Columbine in Colorado al massacro nella riserva indiana del Minnesota poche settimane or sono, scuote l´illusione che una popolazione civile armata come i gunslingers, i pistoleri del vecchio West sia una protezione contro il crimine.
E neppure i dati statistici inconfutabili, sul rapporto diretto tra armi da fuoco e morti violente scuote la protervia insaziabile della lobby o la passione nazionale per pistole e fucili. Nelle nazioni dove il porto d´armi è strettamente controllato, il numero di morti da pallottola è minuscolo, 9 all´anno in Nuova Zelanda, 15 in Giappone, 30 in Gran Bretagna, 109 in Canada, contro i 30.708 negli Stati Uniti, tra omicidi, suicidi e morti accidentali, spesso di bambini in casa. Una cifra annuale, questi 30 mila, che sfiora il totale dei soldati caduti nei tre anni di guerra in Corea (33 mila) e avvicina il numero complessivo dei morti nei 15 anni di conflitto in Indocina, 58 mila.
Naturalmente, e inutilmente, le lobby anti armi hanno tentato di opporsi, guidate sempre da quella fondazione Brady intitolata al nome del portavoce di Reagan, paralizzato dai colpi dell´attentatore che ferì il presidente. Il diritto a portare armi sembra, ai sostenitori, garantito dalla stessa Costituzione e dove non arriva la Costituzione arrivano i legislatori della Florida, rincorrendo la popolarità e i sondaggi. E pensando a quelle elezioni presidenziali del 2008 alle quali Jeb guarda, pistola pronta nella fondina.

tempo e materia

Repubblica Napoli 29 APRILE 2005
L'ENIGMA DEL TEMPO
Sossio Giametta

L´incontro sul tema del tempo avvenuto il 22 aprile nella chiesa della Croce di Lucca tra lo scienziato Boncinelli e il filosofo Galimberti si è chiuso con un nulla di fatto, nel senso che il tempo è rimasto alla fine l´enigma che era all´inizio, anzi che era già per Sant´Agostino, il quale, come si sa, diceva che se uno non glielo chiedeva, sapeva benissimo cos´era il tempo, ma se uno glielo chiedeva, non sapeva rispondere. Questo, dice Boncinelli, vale per tutte le cose: se ci si accontenta dell´approssimazione, si può dire di sapere quasi tutto, ma se si vuole conoscere con esattezza, tutto diventa difficile.
Sant´Agostino credeva di sapere, ma non sapeva che cosa fosse il tempo. Non lo si sa neanche oggi. Anzi oggi c´è qualcuno, in particolare lo scienziato italiano Carlo Rovelli - ha detto Boncinelli - che sostiene che il tempo non esiste. Ma è già dal tempo di Kant che la filosofia ha stabilito che il tempo non esiste in sé, in quanto è una delle due forme soggettive a priori - il tempo e lo spazio - in cui si inquadra in noi l´esperienza, legata dalla causalità.
Non è la prima volta che la filosofia anticipa anche di secoli la scienza. Anche che la materia non esistesse in sé ma fosse "spirito", cioè energia, era stato detto, prima che da Einstein, dal filosofo irlandese Berkeley e poi da Schopenhauer. La materia, apparentemente la cosa più evidente e solida che esiste, è solo pensabile astrattamente, non è intuibile, essendo intuibile solo come materia specifica, come legno, ferro (in tedesco non come Materie ma come Stoff). Certo Einstein l´ha poi sostenuto con precisione scientifica, riassumendolo nella famosa formula E=mc2, cioè energia è uguale alla massa per la velocità della luce al quadrato. E ciò significa che un grammo di materia contiene energia equivalente all´esplosione di 20 mila kg di tritolo.
Anche la meccanica quantistica, che ha introdotto nella scienza la possibilità e la probabilità, cioè la causalità, il "nobile" von Ohngefaehr (per caso) di Zarathustra, si avvicina sempre più alla teoria della volontà di potenza di Nietzsche, che prima che una teoria metafisica è una teoria fisica, nel senso che è la rilevazione ultima di tutti i fenomeni del mondo. Quanto al tempo: esso non esiste ed esiste. Non esiste come entità a sé; esistono solo i processi naturali; ma esiste come astrazione, come concetto convenzionale che unifica, semplifica e simboleggia i processi naturali dal punto di vista della successione, mentre lo spazio li unifica, semplifica e simboleggia dal punto di vista dell´adiacenza. Tempo e spazio dunque sono come il denaro, che in sé non esiste: è carta o metallo, che di per sé sono o non sono valore come tutte le altre cose del mondo; ma diventa valore come strumento convenzionale che unifica, semplifica e simboleggia tutti i processi economici.

rendersi conto
Silvia Vegetti Finzi... !

Corriere della Sera 29.4.05
Fornari e il mondo nel cerchio madre-neonato
Silvia Vegetti Finzi.

Nel corso della gravidanza, la madre dialoga inconsciamente con la propria madre e con il feto, allacciando così, come rivelano i sogni, il passato al futuro. Durante il parto vive poi contrastanti emozioni perché nel periodo dilatante si sente aggredita dal figlio, mentre in quello espulsivo avverte impulsi violenti nei suoi confronti. Per bonificare l'area perinatale che sta all'origine dello sviluppo psichico del nuovo nato, il padre assume su di sé la violenza materna. Per poi riversarla sulla società ove trova l'espressione più pregnante nella guerra. In questa dinamica, il nemico non è soltanto una presenza reale ma un bersaglio mentale su cui proiettare vissuti persecutori che diverrebbero altrimenti minacce interne. Negli anni della guerra fredda, Fornari impegna la psicoanalisi anche a curare la follia del mondo. Nel 1967 fonda l'Istituto Italiano di Polemologia. Nel 1980, con il ginecologo Ferruccio Miraglia, organizza presso l'ospedale Buzzi di Milano un progetto di psicoprofilassi del parto, ora proseguito da Marisa Farinet, direttrice della rivista Nascere . Nel 1985 apre con Gustavo Pietropolli Charmet «Il Minotauro», Istituto di analisi dei codici affettivi.
Il programma complessivo di Fornari si basa sulla convinzione che, se riuscissimo a depurare il primo rapporto madre-figlio dalle componenti di distruzione e di angoscia, avremmo ottenuto individui migliori e la pace sociale. Un'utopia radicata in un preciso momento storico ma non certo priva di temi attuali: in primo luogo la convinzione che non è più possibile distruggere il nemico senza coinvolgere l'amico, infine «se il diritto in origine era violenza, proprio per questo si potrebbe pensare che il diritto possa avere le carte in regola per misurarsi con la violenza stessa».
Silvia Vegetti Finzi

uno "speciale fratellino"

Il Messaggero 29.4.05
Gran Bretagna
Sì a fratellini “su misura” per curare figli malati


LONDRA Zain Hashmi ha sei anni e vive in Gran Bretagna. La sua vita è minacciata dalla beta-talassemia, una malattia che frena la riproduzione dei globuli rossi. Per salvarlo occorrerebbe uno “speciale fratellino” e l’unico modo per ottenerlo è con la fecondazione in provetta attraverso un procedimento che garantisca la possibilità di prelevare cellule staminali ad hoc. Ieri i Laws Lord, corrispondenti ai giudici della nostra Cassazione, hanno deciso che sì, il tentativo di creare un “bambino su misura” è legale, rigettando il ricorso di Josephine Quintavalle, presidente di un’associazione in difesa dell’embrione.
Lo stesso avevano pensato in precedenza, nel 2003, i giudici dell’Alta Corte quando, rovesciando una prima sentenza del 2002, avevano concesso a Raj e Shahana, i genitori di Zain, di utilizzare la tecnica nota come diagnosi genetica pre-impianto per selezionare un embrione in grado di generare un bimbo con gli stessi tessuti del loro primo figlio.
Una volta ottenuto lo “speciale fratellino” Zain verrebbe curato con cellule staminali ottenute dal suo cordone ombelicale. Infatti solamente attraverso la selezione dell’embrione è possibile rendere compatibili i tessuti di donatore e ricevente.
Insomma, ci si avvicina sempre più alla, una volta fantascientifica, ipotesi di creare per ognuno di noi un “armadio” con ricambi umani. Una rivoluzione che non può non spaccare il mondo: inchinarsi alla scienza o alla coscienza?

Corriere della Sera 29.4.05
Passo avanti britannico nelle terapie su base genetica
Londra, sì ai «neonati su misura»

Si potranno selezionare embrioni con le caratteristiche necessarie a favorire le cure dei familiari
Paola De Carolis

LONDRA – Niente più ostacoli alla creazione di bebé su misura per salvare fratellini o sorelline malati. I giudici della Camera dei Lord, ultima istanza giudiziaria del Regno Unito, hanno dato ieri il nullaosta all’utilizzo della «diagnosi genetica pre-impianto», una tecnica che a coppie che ricorrono alla provetta permette di scegliere un embrione sano geneticamente compatibile con il familiare da curare. La decisione segue una sentenza della Corte d’appello di Londra che nel 2003 si era espressa in termini simili e che, per una famiglia in particolare, aveva rappresentato la speranza di un futuro migliore. I coniugi Hashmi si battono da cinque anni per trovare una cura per il figlio Zain, affetto da un raro disturbo sanguigno.
Il ricorso alla Camera dei Lord era stato presentato dal gruppo Comment on Reproductive Ethics, un’organizzazione contraria all’aborto e a ogni intervento genetico che ai giudici aveva chiesto di riesaminare la legge sull’Embriologia umana del 1990 e di decidere se la diagnosi basata sul Dna poteva essere dichiarata legale. Dopo la decisione della Corte d’Appello i coniugi avevano provato varie volte ad avere un altro figlio, un bimbo geneticamente in grado di salvare Zain con un trapianto di cellule staminali prelevate dal cordone ombelicale, ma senza riuscirci. Diversi aborti spontanei avevano messo fine al sogno. Se la Camera dei Lord avesse detto no, gli Hashmi sarebbero stati costretti a smettere di provare. Ieri, il sollievo: «Per noi la sentenza odierna segna l’inizio di una nuova era. Speriamo ora solo di riuscire ad ottenere ciò di cui Zain ha bisogno». Il bimbo al momento viene sottoposto a una trasfusione a settimana e, per dodici ore al giorno, quotidianamente, è attaccato a una flebo. La sentenza di ieri non equivale comunque a un via libera assoluto per la selezione genetica dei nascituri. L’utilizzo della tecnica è soggetto all’approvazione dell’Associazione per l’embriologia umana e la fecondazione assistita (HFEA), che al momento tratta ogni caso separatamente.

sinistra

L'Unità 29.4.05
Bertinotti: facciamo il programma con i movimenti

ROMA L'Unione deve strutturarsi e darsi forme di democrazia stabili, soprattutto sul programma.
Lo strumento? un'assemblea composta per un terzo dai partiti, un terzo da rappresentati dei governi locali, un terzo da movimenti, associazioni e sindacati. Fausto Bertinotti indica questa necessità anche se non si impicca a un nome: le primarie sul programma? «Sto attentissimo a non usare termini su cui poi si discute per settimane. È una discussione fuorviante».
L'analisi del segretario del Prc è che- stante la crisi della cdl- «all'opposizione è richiesto un salto di qualità. L'Unione deve organizzare la democrazia al suo interno per costruire in maniera convincente delle proposte di programma». Secondo Bertinotti «la fabbrica di Prodi, che finora ha visto un'interessante partecipazione e confronto, ora deve organizzare la democrazia, riempirsi di democrazia». Bisogna, cioè, «costruire un'assemblea per la costruzione del programma che dia dei risultati trasparenti, in modo che la gente li possa consocere, e che su ogni proposta si possa avviare una discussione approfondita coinvolgendo esperienza come quella dei lavoratori impegnati nelle lotte contrattuali».

Corriere della Sera 29.4.05
IL FONDATORE DEL PDS
«Fausto non mi chiede abiure, lo apprezzo»

ROMA - (M.Gu.) «Bertinotti mi chiede di ammettere che la svolta ebbe esiti moderati? Non solo sono disposto a riconoscerlo, ma dico che tutto quello che sto facendo da un anno a questa parte altro non è che la considerazione razionale e fredda che la Bolognina ha avuto esiti moderati e non, come molti pensano, il frutto di chissà quale rancore». Ora Achille Occhetto parla la stessa lingua di Bertinotti, legge nell’intervista al Corriere «un’importante apertura» e chiede al segretario del Prc un incontro per la prossima settimana, come farà in seguito con Diliberto e Pecoraro Scanio. Qualcosa, a sinistra dell’Ulivo, si muove. «Bertinotti riconosce che quando fondai il Pds pensavo a una fuoriuscita da sinistra dal comunismo e non mi chiede abiure, come io non chiedo a lui di riconoscere che la mia svolta fu giusta. Questo per me è centrale, ma Bertinotti sbaglia quando dice che io non me ne rendo conto, perché il mio travaglio morale e politico nasce proprio da questa consapevolezza. L’importante è riconoscere la collocazione comune al di là degli errori e delle tragedie dello stalinismo». Il passato non lo abbandona mai, ma Occhetto ha ancora tanta voglia di guardare avanti e la sintonia con il partito nato contro di lui da una costola del Pci è il nuovo terreno di azione. Non chiedetegli se davvero aspira a entrare nel Prc, vi dirà che un’idea simile «non ha nessun senso», mentre ha senso lavorare insieme a un progetto culturale e politico: non una Fed radicale da contrapporre a quella moderata, quel che Occhetto vuole è mettere insieme pezzi di società, associazioni e movimenti per dar vita a una grande convenzione delle idee. «Il problema non è dare continue dimostrazioni di moderatismo per entrare nel salotto buono, ma ripensare le categorie della sinistra perché tre milioni di voti non vadano dispersi».

Corriere della Sera 29.4.05
LA LETTERA Folena:
Achille fa bene Ds lontani dalla Svolta
Pietro Folena

Caro direttore, conosco Achille Occhetto da molto tempo. Sono stupito da quanti si stupiscono del suo avvicinamento alla sinistra radicale e, in particolare, della sua «simpatia politica» per il progetto di Fausto Bertinotti e di Rifondazione comunista.
Ho fatto parte del gruppo dirigente che sostenne la svolta dell'89. Anch'io vedevo due possibilità di uscita dalla crisi del comunismo. Una, quella che Achille definisce «uscita da destra» (diciamo l'opzione «liberale») prendeva semplicemente atto di una sconfitta storica ed è poi giunta ad un approdo che lo stesso Massimo D'Alema ha definito succube del neo-liberismo. Una volta perso il sistema di idee e valori del Pci, il Pds è rimasto sguarnito di idee-guida e ha pian piano assimilato una concezione riduttiva del ruolo di un grande partito socialista, limitandosi spesso alla mera selezione delle classi dirigenti. Ha sfidato il centrodestra sul suo terreno (le riforme istituzionali, la riduzione delle imposte, l'esportazione della democrazia) con un'impostazione non alternativa nell'impianto culturale e politico. Alla base di ciò la concezione dell'Italia come Paese moderato, tendenzialmente di destra.
L'altra via di uscita, quella «da sinistra», presupponeva non tanto il cambiamento di nome e simbolo del Pci, ma la fondazione di un nuovo soggetto politico del quale facessero parte pezzi significativi del «ceto medio riflessivo». Se la «svolta» avesse dato pienamente i suoi frutti, forse non ci sarebbe stata la stagione dei girotondi fuori e in una certa misura contro i partiti. I girotondi li avrebbero fatti i Ds. Così, se la stagione di rinnovamento avviata dalla segreteria di Walter Veltroni, con cui ho collaborato con grandi responsabilità, non si fosse interrotta, oggi forse i movimenti no-global non sarebbero tanto distanti dalla politica dei partiti.
Non voglio però rivangare il passato, ma guardare avanti. Occhetto, come molti, e tra questi il sottoscritto, è stanco di una sinistra che si divide ancora usando le vecchie categorie novecentesche. La crisi dei partiti è soprattutto qui: le primarie pugliesi hanno dimostrato la distanza tra gli elettori e il ceto politico. Al popolo del centrosinistra e della sinistra non interessano etichette e certificazioni. Interessa molto di più sapere cosa propone il centrosinistra su temi come la pace, le privatizzazioni dei servizi pubblici, la scuola, le pensioni...
Credo quindi che dovremmo smetterla di parlare del «riformismo» come spartiacque tra due sinistre. Nessuno propone la rivoluzione con annessa presa del palazzo d'inverno. Il tema è quali riforme. «Riforme di struttura» si diceva all'epoca del primo centrosinistra. Per me, socialista di sinistra, il vero riformismo o è radicale o non è. Elementi radicali (a partire dal pacifismo e dalla gestione pubblica dei cosiddetti «beni comuni») devono divenire patrimonio di tutto il centrosinistra. In Spagna il riformista Zapatero sta cambiando radicalmente il suo Paese. Ecco un esempio di riformismo radicale che nella nostra sinistra è pressoché inesistente.
Tutto ciò per dire una cosa semplice (a dirsi, non a farsi). In Italia serve costruire una sinistra post-novecentesca: pacifista, libertaria, comunitaria. Una sinistra che affondi le sue radici più nel movimento nato a Seattle e nel movimento pacifista, che non nella rivoluzione di Ottobre, o nella socialdemocrazia classica.
Mi rendo conto che è una cosa difficile e nuova. Qualcuno in Europa ci sta provando, pur tra ritardi e contraddizioni. In Italia l'unico partito che tenta un percorso del genere è Rifondazione. Ma non basta. Serve che altri si mettano a lavorare per costruire un solido ponte tra il metodo del riformismo e i contenuti della radicalità. Per quel che mi compete proverò a farlo insieme a molte compagne e compagni. Quanto dice Achille Occhetto mi conforta e scorgo molti punti di possibile ricerca comune che mi inducono a chiedere a lui e ai suoi compagni di unire i nostri sforzi. Più operai lavorano nel cantiere, prima il ponte sarà finito.

Aprileonline.info 29.4.05
Occhetto smuove le acque, Bertinotti vuole il programma e la Fed litiga sul listone
Rive gauche. Folena ad Akel: ''Lavoriamo insieme''. Mussi: ''Margherita e Ds sono diversi''. Rizzo: ''C’è una questione comunista''
G.I.

Il ritorno di Akel. Nei Ds Achille Occhetto è vittima di un ostracismo da anni. Ha lasciato il partito che ha fatto nascere oramai da tempo, ma la “sua” Quercia non lo riconosce come fondatore. Forse per questo, oggi, guarda con attenzione alla sinistra radicale. O forse perché lui radicale lo è sempre stato. Sul “Corriere della Sera” ha lanciato un appello: “Occorre un progetto di rinascita, di rifondazione della sinistra” in cui far confluire non solo i partiti ma soprattutto “associazioni e movimenti”, la galassia “pacifista, nonviolenta, ecologista”. Appello raccolto, pur con qualche prudenza sugli sbocchi organizzativi, da Fausto Bertinotti, che ieri, sempre sul Corriere, riconosceva all’ex segretario del Pds di aver tentato di uscire “da sinistra” dalla crisi del comunismo.
“Le sue posizioni di oggi non sono una novità – ci dice Fabio Mussi, coordinatore del Correntone – e sono interessanti perché puntano a stabilire ponti, relazioni, reti, tra le componenti della sinistra”. Un’attenzione, quella del Correntone, che si ferma un passo prima delle scelte organizzative: “La dialettica interna dei Ds sarà molto interessante nei prossimi mesi”, prevede Mussi.
Chi invece fa un passo in più è Pietro Folena che ha recentemente lasciato la Quercia proprio per andare verso la sinistra radicale. “Serve che mettersi a lavorare per costruire un solido ponte tra il metodo del riformismo e i contenuti della radicalità – dice il deputato indipendente di Rifondazione - per quel che mi compete proverò a farlo insieme a molte compagne e compagni. Quanto dice Achille Occhetto mi conforta e scorgo molti punti di possibile ricerca comune che mi inducono a chiedere a lui e ai suoi compagni di unire i nostri sforzi. Più operai lavorano nel cantiere, prima il ponte sarà finito. E la svolta del Prc riapre la possibilità di una rifondazione della sinistra”.
E’ ben comprensibile che, dalle parti di Rifondazione, si guardi con attenzione alle mosse dell’ultimo segretario del Pci. Dopo l’iscrizione di Ingrao e la scelta di Folena, un collegamento con il “Cantiere” di Occhetto sarebbe un fatto di straordinaria portata. Ma Bertinotti non vuole precipitare gli eventi, lavora più sul lungo termine. Per ora niente liste comuni della sinistra fuori dalla Fed, ma un lavoro sulla “Sinistra Europea” che si candida a divenire, almeno in Italia, il contenitore di quanti non vogliono stare dentro Rifondazione ma guardano con interesse alla “svolta” del segretario comunista. E Bertinotti pare insistere su due punti: il programma dell’Unione e la “formazione di una cultura politica della sinistra radicale”.
Un percorso non condiviso dal Pdci, che invece rilancia la Camera di consultazione di Asor Rosa ed è guardingo rispetto ai movimenti di questi giorni. Marco Rizzo, capogruppo dei Comunisti Italiani al Parlamento europeo è esplicito: “Mai come oggi in Italia il «mondo dei lavori» ha avuto una così scarsa rappresentanza politica. La questione del lavoro, unita alla questione comunista, si ripropone sia di grande attualità. Questa è la falsariga su cui porsi”, ci dice. Nodi complicati da sciogliere prima delle elezioni politiche.

La Fabbrica. Ieri Bertinotti è tornato a chiedere un percorso partecipato per la formazione del programma dell’Unione. Non gli piace il metodo della “Fabbrica”, troppo chiuso, troppo elitario, poco democratico. Per Mussi “la Fabbrica è stata una bella idea che ha fatto un utile inventario di questioni”. Anche per il leader della minoranza diessina però serve molto di più: “Ora bisogna definire una procedura per far quagliare analisi, principi e risposte programmatiche – ci dice. E aggiunge: “Vedo altri soggetti in moto: il 3 maggio Italianieuropei(la fondazione di D’Alema e Amato) tiene un convegno sul ‘programma riformista’. Il 6 e 7 le riviste della sinistra (Aprile, Carta, Alternative, Ecoradio, Quaderni Laburisti e altre, ndr) promuovono un seminario con Prodi, anch’esso con vocazione programmatica”. Anche il Correntone avrà il suo momento di elaborazione il 13 e 14 maggio, a Firenze. “Ora – sostiene Mussi - bisogna trovare forme partecipate per stringere”. E, facendo un po’ il verso a D’Alema, sottolinea che “c’è solo un anno” prima delle elezioni (al presidente Ds pare molto, a Mussi poco).
Bertinotti propone una convenzione programmatica formata in parti uguali da partiti, movimenti e eletti nelle amministrazioni locali. Folena è d’accordo: “La formazione del programma non può essere elitaria e decorativa per il candidato premier. Tempo fa avevo avanzanto anch’io l’idea di una convenzione che elaborasse il programma e poi, sui punti più importanti, occorrerebbe fare delle primarie-referendum per far scegliere agli elettori. Se non facciamo così può venir meno la coesione della coalizione quando sarà al governo”.
Rizzo, invece, mette le mani nel piatto dei contenuti: “Parto da un presupposto: discontinuità rispetto a Berlusconi”. E abbozza un programma dei primi 100 giorni: “Bisognerà promuovere una seria legge sul conflitto di interessi e abolire (non modificare) la legge Moratti, la legge 30 sul mercato del lavoro e la Bossi-Fini. Su questo il programma prende fiato. E agli elettori bisogna che lo diciamo prima”. Chissà se il convegno di “Italianieuropei” avrà le stesse conclusioni…

La Fed in ambasce. Che il presidente della Margherita non voglia la lista unitaria alle politiche è cosa nota. Chiediamo a Fabio Mussi se si può ipotizzare un asse Mussi-Rutelli su questo punto. “Asse Mussi-Rutelli? – domanda divertito – Ma quale asse!”. Mussi sposta abilmente la conversazione su un altro piano: “Rutelli dice cose legittime ma da me niente affatto condivise sulle politiche economiche, sul welfare e sulla politica estera”. E aggiunge sarcastico: “Ciò che dice mi tocca da vicino: è uno degli esponenti della Fed a cui noi Ds abbiamo ceduto sovranità, non è più solo il presidente della Margherita”. Il coordinatore del Correntone fa le pulci al progetto del listone: “Noto che dopo le elezioni regionali si è riaperta competizione tra Ds e Margherita e una competizione al centro tra Margherita e Udeur. Non mi sorprende. Nella società italiana Margherita e Ds sono partiti diversi. Adesso, senza l’angoscia che c’era rima delle elezioni si vedono meglio le straordinarie difficoltà approdo riformista”. “Sarà interessante seguire il dibattito interno dei Ds”, conclude con un sorriso sotto i baffi.


Corriere.it 29 aprile 2005
«I conflitti si risolvono con la democrazia. Altrimenti coalizione a rischio»
Bertinotti: sul programma sentire gli elettori

Il segretario del Prc rilancia la proposta di un'assemblea allargata. E sulla leadership dell'Unione dice: «Prodi non è in discussione»
ROMA - Lo aveva detto nell'intervista al Corriere della Sera. E lo ha ribadito per tutta la giornata: per varare il programma con cui l'Unione si presenterà agli elettori alle politiche del prossimo anno è necessaria «una grande assemblea allargata e coordinata da Prodi». Un vertice di tutte le forze politiche e sociali che ruotano attorno al centrosinistra, che tracci una sintesi delle diverse posizioni e delinei la strategia con cui lanciare la sfida alla Casa delle libertà.
Fausto Bertinotti ribadisce la fedeltà al Professore: «Romano Prodi sarà il candidato, la sua leadership è assolutamente fuori discussione». Ma sui contenuti il segretario di Rifondazione comunista fa sapere che non accetterà scorciatoie o impostazioni predefinite. Serve un'impostazione democratica nell'impostazione dei programmi, sottolinea, perché la domanda di partecipazione è alta. «Finora - precisa Bertinotti - la Fabbrica del programma di Prodi si è riempita con la presenza di diverse espressioni sociali: perfetto! Ma questa cosa deve poter incontrare un’elaborazione programmatica e lo può fare solo un’assemblea. Serve un impianto condiviso e che sia la base di una consultazione più ampia».
Tramontata l'idea delle primarie per la scelta del candidato premier, Bertinotti rilancia l'idea di un coinvolgimento degli elettori nella scelta delle linee strategiche del futuro governo. Perché è chiaro che in uno schieramento che va dal Prc all'Udeur delle divergenze ci sono, ma «un buon modo per risolverle sarebbe organizzare forme di partecipazione con regole definite in modo che gli elettori del centrosinistra possano pronunciarsi». Il segretario di Rifondazione su questo punto è fermo e avverte gli alleati: «Se i conflitti dentro un’alleanza così necessariamente larga si producono senza democrazia e partecipazione, si mette a rischio la coalizione». Bertinotti chiarisce meglio con un esempio: «Se io e Fassino ci mettiamo intorno a un tavolo ci sono sicuramente punti su cui non siamo d’accordo, come sull’organizzazione del fisco e sulla legge 30 (la legge Biagi, ndr) che per me è da abrogare. In questi casi si fa una consultazione che decide: siccome il popolo dell'Unione è sovrano, si accetta il suo verdetto».

cambia l'Inghilterra?

Ansa.it 29.4.05
Gb: dilaga tra gli adolescenti la moda delle orge sessuali
Allarme lanciato dagli infermieri scolastici

(ANSA) - LONDRA, 29 APR - Fra gli adolescenti londinesi dilaga la moda delle orge sessuali: a lanciare l'allarme è l'associazione degli infermieri scolastici. La promiscuità sessuale - con le sue conseguenze fisiche come malattie veneree e altre infezioni, ma anche psicologiche - è il problema piu' impellente che si trovano ad affrontare gli infermieri. Le sessioni di sesso di gruppo sono chiamate dai giovani daisy chaining che in informatica indica il collegamento di più periferiche ad una unità centrale.
copyright @ 2005 ANSA


la Dichiarazione sulla Salute mentale
dei Ministri degli Stati europei aderenti all'OMS

www.unasom.it

Organizzazione Mondiale della Sanità

Conferenza Ministeriale europea sulla Salute mentale Helsinki, Finlandia, 12-15 gennaio 2005

Dichiarazione sulla Salute mentale per l'Europa
Affrontare le sfide, creare le soluzioni


Preambolo

1. Noi, i Ministri della Sanità degli Stati membri della Regione europea dell'Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), alla presenza del Commissario europeo per la salute e la difesa dei consumatori, di concerto con il Direttore regionale dell'OMS per l'Europa, riuniti nella Conferenza ministeriale dell'OMS sulla salute mentale tenutasi in Helsinki dal 12 al 15 gennaio 2005, riconosciamo che la salute e il benessere mentale sono fondamentali per la qualità della vita e la produttività degli individui, delle famiglie, delle comunità e delle nazioni, poiché consentono di dare un significato alla vita e di essere cittadini attivi e creativi. Crediamo che la finalità principale delle azioni esplicitate nell'ambito della salute mentale sia quella di migliorare il benessere e la funzionalità delle persone, mettendone in evidenza i punti di forza e le risorse, rafforzandone la resistenza e stimolando i fattori di protezione esterni.

2. Riconosciamo che la promozione della salute mentale, la prevenzione, il trattamento, l'assistenza, la riabilitazione dei problemi mentali sono una priorità per l'OMS e per i suoi Stati membri, per l'Unione europea (UE) e il Consiglio d'Europa, come indicato in numerose risoluzioni dell'Assemblea Mondiale per la Sanità e del Consiglio Esecutivo dell'OMS, del Comitato Regionale dell'OMS per l'Europa e dal Consiglio dell'Unione Europea. In tali risoluzioni si richiede agli Stati membri, all'OMS, all'UE e al Consiglio europeo di intraprendere azioni necessarie per alleviare il carico dei problemi di salute mentale e per migliorare il benessere mentale.

3. Ribadiamo il nostro impegno al rispetto della risoluzione EUR/RC51/R5 relativa alla "Dichiarazione di Atene sulla salute mentale, i disastri originati dall'azione dell'uomo, lo stigma e l'assistenza a livello di comunità" e della risoluzione EUR/RC53/R4 adottata dal Comitato regionale dell'OMS per l'Europa nel settembre del 2003, nelle quali il Comitato esprimeva preoccupazione per il fatto che il peso delle malattie provocate dai disturbi mentali in Europa non va diminuendo e che molte persone con problemi di salute mentale non ricevono il trattamento e l'attenzione di cui hanno bisogno, malgrado l'elaborazione di interventi efficaci. Il Comitato regionale aveva richiesto al Direttore Regionale di:

- accordare un grado elevato di priorità alle questioni relative alla salute mentale nell'implementazione delle attività concernenti l'aggiornamento della politica della "Salute per tutti"; organizzare ad Helsinki, nel gennaio del 2005, una conferenza ministeriale sulla salute mentale in Europa.

4. Prendiamo atto delle risoluzioni che sostengono un programma d'azione sulla salute mentale. La risoluzione EB109.R8, adottata dal Consiglio Esecutivo dell'OMS nel gennaio del 2002, sostenuta dalla risoluzione WHA55.10 dell'Assemblea Mondiale della Sanità del maggio 2002, chiede agli Stati membri dell'OMS di:

- adottare le raccomandazioni contenute nel Rapporto sulla salute nel mondo del 2001; adottare politiche, programmi e una legislazione in materia di salute mentale che tengano conto delle attuali conoscenze e delle considerazioni relative ai diritti umani, da realizzarsi con la consulenza di tutte le parti in causa; aumentare, sia nei singoli paesi che attraverso la cooperazione bilaterale e multilaterale, gli investimenti destinati alla salute mentale, intesa come parte integrante del benessere delle popolazioni.

5. Le risoluzioni del Consiglio dell'Unione Europea, le raccomandazioni del Consiglio d'Europa e le risoluzioni dell'OMS a partire dal 1975, riconoscono il ruolo importante della promozione della salute mentale e del pericoloso legame esistente tra problemi di salute mentale ed emarginazione sociale, disoccupazione, mancanza di fissa dimora, abuso di alcol e di altre sostanze. Riconosciamo l'importanza della "Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali", della "Convenzione sui diritti dell'infanzia", della "Convenzione europea per la prevenzione delle torture e dei trattamenti inumani o umilianti o delle misure punitive" e della "Carta sociale europea", nonché dell'impegno del Consiglio d'Europa verso la protezione e la promozione della salute mentale espresso mediante la Dichiarazione della relativa Conferenza ministeriale sul futuro della salute mentale (Stoccolma, 1985) e mediante tutte le altre raccomandazioni adottate nel settore, in particolare la Raccomandazione R(90)22 sulla salvaguardia della salute mentale di alcuni gruppi vulnerabili della società e la Raccomandazione Rec(2004)10 relativa alla salvaguardia dei diritti umani e della dignità delle persone con disturbi mentali.

Finalità

6. Prendiamo nota del fatto che sia in atto un'evoluzione di molti aspetti delle politiche e dei servizi destinati alla salute mentale nella Regione europea. Le politiche e i servizi stanno cercando di raggiungere l'obiettivo dell'inclusione sociale e dell'equità, attraverso una visione globale dell'equilibrio tra le esigenze e i vantaggi delle diverse attività connesse alla salute mentale e destinate alla popolazione nel suo complesso, ai gruppi a rischio e alle persone affette da disturbi mentali. Le prestazioni vengono fornite in una vasta gamma di servizi di comunità e non più esclusivamente in grandi istituzioni chiuse. Riteniamo che questa sia la giusta e necessaria direzione. Accogliamo favorevolmente il fatto che le politiche e le pratiche relative alla salute mentale si occupino ora degli aspetti indicati di seguito:
i. la promozione del benessere mentale;
ii. la lotta contro lo stigma, la discriminazione e l'esclusione sociale;
iii. la prevenzione dei problemi legati alla salute mentale;
iv. l'assistenza alle persone con problemi di salute mentale, con l'offerta di servizi ed interventi integrati ed efficaci, che prevedano la partecipazione e la possibilità di scelta dei pazienti e dei loro "carers" ;
v. il recupero e il reinserimento nella società di coloro che hanno sofferto di gravi problemi di salute mentale.

Priorità

7. Nella regione europea dell'OMS è necessario costruire sulla piattaforma della riforma e della modernizzazione, apprendere dalle esperienze condivise ed essere consapevoli delle caratteristiche uniche dei singoli paesi. Riteniamo che le priorità principali per il prossimo decennio siano le seguenti:
i. promuovere la consapevolezza dell'importanza del benessere mentale;
ii. lottare collettivamente contro lo stigma, la discriminazione e l'ineguaglianza e responsabilizzare e sostenere le persone con problemi di salute mentale e le loro famiglie, in modo che possano partecipare attivamente a questo processo;
iii. progettare e realizzare sistemi destinati alla salute mentale completi, integrati ed efficienti, che includano la promozione, la prevenzione, il trattamento, la riabilitazione, l'assistenza ed il recupero;
iv. provvedere all'esigenza di disporre di una forza lavoro competente ed efficace in tutte queste aree;
v. riconoscere l'esperienza e le competenze dei pazienti e dei "carers", come base essenziale per la pianificazione e lo sviluppo dei servizi per la salute mentale.
Azioni

8. Sottoscriviamo l'affermazione secondo la quale non c'è salute senza salute mentale. La salute mentale è una delle componenti centrali del capitale umano, sociale ed economico delle nazioni e deve pertanto essere considerata come parte integrante e fondamentale di altre politiche d'interesse pubblico, quali quelle relative ai diritti umani, all'assistenza sociale, all'educazione e all'impiego. Pertanto, noi, i ministri responsabili della salute, conformemente alle responsabilità e alle strutture costituzionali nazionali, ci impegniamo a riconoscere l'esigenza di adottare politiche per la salute mentale basate su esaustive evidenze scientifiche, e a prendere in esame modalità e mezzi di sviluppo, realizzazione e sostegno di tali politiche nei nostri rispettivi paesi. Queste politiche, il cui obiettivo è l'ottenimento del benessere mentale e l'inclusione sociale delle persone con problemi di salute mentale, richiedono azioni nelle aree specificate di seguito:
i. promuovere il benessere mentale della popolazione nel suo complesso con misure che promuovano sensibilizzazione e cambiamenti positivi per gli individui e le famiglie, le comunità e la società civile, gli ambienti di lavoro e di studio, i governi e le istituzioni nazionali;
ii. considerare il potenziale impatto di tutte le politiche di interesse pubblico relative alla salute mentale, con particolare attenzione ai gruppi più vulnerabili, dimostrando la centralità della salute mentale nella costruzione di una società sana, partecipativa e produttiva;
iii. lottare contro lo stigma e la discriminazione, garantire la salvaguardia dei diritti umani e della dignità delle persone e mettere in atto la legislazione necessaria per consentire alle persone a rischio o sofferenti di problemi di salute mentale e di disabilità di partecipare pienamente alla società;
iv. offrire agli individui a rischio un sostegno mirato e interventi adatti ai differenti stadi di vita, in particolare rivolti alla genitorialità e all'educazione dei bambini e dei giovani e all'assistenza delle persone anziane;
v. sviluppare e mettere in atto misure volte a ridurre le cause evitabili dei problemi di salute mentale, patologie correlate e suicidio;
vi. creare le competenze e le capacità dei medici di medicina generale e dei servizi di cure primarie, in rete con servizi di assistenza medica e non-medica specializzata, per offrire, in modo efficace, accesso, identificazione dei problemi e trattamento alle persone con disagio mentale;
vii. offrire alle persone con gravi problemi di salute mentale trattamenti e cure efficaci e integrate in una serie di istituzioni diversificate e con modalità che rispettino le preferenze personali e le protegga da trascuratezza e abuso;
viii. stabilire relazioni di partnership, coordinamento e leadership tra regioni, paesi, settori e agenzie in grado di influire sulla salute mentale e sull'inclusione sociale di individui e famiglie, gruppi e comunità;
ix. disegnare programmi di reclutamento, istruzione e formazione per creare una forza lavoro sufficiente, competente e multidisciplinare;
x. valutare lo stato della salute mentale e i bisogni della popolazione, di gruppi specifici e di individui, secondo modalità che consentano raffronti a livello nazionale e internazionale;
xi. fornire risorse finanziarie eque e adeguate che consentano di raggiungere questi obiettivi;
xii. avviare la ricerca e sostenere la valutazione e la diffusione delle azioni sopra elencate.
9. Riconosciamo l'importanza e l'urgenza di affrontare le sfide e di individuare possibili soluzioni ispirate alle evidenze scientifiche. Aderiamo pertanto al Piano di Azione per la Salute Mentale in Europa e ne sosteniamo l'attuazione nella Regione europea dell'OMS; ogni paese adatterà i contenuti alle proprie esigenze e risorse. Ci impegniamo inoltre a mostrare solidarietà in ogni zona della Regione e a condividere conoscenze, buone pratiche e competenze.

Responsabilità

10. Noi, i Ministri della salute degli Stati membri della Regione europea dell'OMS ci impegniamo a sostenere l'attuazione delle misure di seguito indicate, in conformità alle strutture costituzionali e alle politiche di ogni paese, nonché alle esigenze, circostanze e risorse nazionali e subnazionali:
i. adottare politiche e legislazioni relative alla salute mentale che stabiliscano standard per le attività specifiche e rispettino i diritti umani;
ii. coordinare, nell'ambito dei rispettivi governi, le responsabilità in materia di formulazione, diffusione e attuazione delle politiche e della legislazione pertinenti alla salute mentale;
iii. valutare l'impatto delle azioni dei governi sulla salute mentale;
iv. eliminare lo stigma e la discriminazione e favorire l'inclusione aumentando la generale consapevolezza, consentendo alle persone a rischio di esercitare le proprie responsabilità;
v. offrire alle persone che soffrono di problemi di salute mentale possibilità di scelta e di coinvolgimento nei propri percorsi di cura, ponendo attenzione alle loro esigenze e culture;
vi. rivedere e se necessario introdurre legislazioni a sostegno di pari opportunità o anti discriminazione;
vii. promuovere la salute mentale nel mondo dell'istruzione e del lavoro, nelle comunità e in altri ambiti di rilevanza, favorendo la collaborazione tra le agenzie responsabili della salute e di altri settori pertinenti;
viii. prevenire i fattori di rischio, sostenendo, ad esempio, lo sviluppo di ambienti di lavoro che favoriscano la salute mentale e creando incentivi per offrire supporto presso i luoghi di lavoro e favorire il rientro in breve tempo per coloro che abbiano superato problemi di salute mentale;
ix. operare per la prevenzione del suicidio e delle cause di stress, violenza, depressione, ansia, abuso di alcool e di altre sostanze;
x. riconoscere e rafforzare il ruolo centrale delle cure primarie e dei medici di medicina generale, aumentando la loro capacità di assumersi responsabilità nell'ambito della salute mentale;
xi. sviluppare, per coloro che soffrono di gravi problemi di salute mentale, servizi di comunità sostitutivi dell'assistenza fornita nelle grandi istituzioni chiuse;
xii. applicare misure che pongano fine a trattamenti inumani e degradanti;
xiii. incrementare i partenariati tra le agenzie responsabili dell'assistenza e del sostegno, in settori quali salute, prestazioni sociali, alloggio, istruzione e occupazione;
xiv. includere la salute mentale nei curricula di studio di tutti i professionisti della sanità e progettare programmi di formazione ed aggiornamento professionale continui per gli operatori della salute mentale;
xv. incoraggiare la specializzazione di chi si occupa di salute mentale, per far fronte alle esigenze specifiche di gruppi quali bambini, giovani, anziani e di coloro con problemi di salute mentale cronici e gravi;
xvi. garantire alla salute mentali le risorse sufficienti, tenendo in considerazione il "burden of disease", facendo sì che gli investimenti in salute mentale siano una parte ben identificabile della spesa sanitaria generale, e ottengano la parità con gli investimenti in altre aree della salute;
xvii. sviluppare un sistema di sorveglianza del benessere e della salute mentali, che tenga conto dei fattori di rischio e della domanda di assistenza, e monitorarne l'attuazione;
xviii. commissionare ricerche quando e dove la competenza e la tecnologia non siano sufficienti e diffonderne i risultati.
11. Sosterremo le organizzazioni non governative attive nel settore della salute mentale e stimoleremo la creazione di organizzazioni non governative e di associazioni degli utenti. Saranno particolarmente benvenute le organizzazioni attive nei seguenti campi:
i. organizzazione di pazienti impegnati nello sviluppo delle proprie attività, inclusa la creazione e la gestione di gruppi di auto aiuto e la formazione in merito alle competenze correlate al recupero;
ii. rafforzamento delle capacità delle persone vulnerabili ed emarginate a difesa della loro causa;
iii. offerta di servizi di comunità che coinvolgano i pazienti;
iv. sviluppo delle capacità e delle competenze dei famigliari e dei "carers", e loro coinvolgimento attivo nei programmi di cura;
v. definizione di programmi per migliorare la genitorialità, l'educazione e la tolleranza, intervenendo contro l'abuso di alcol e di altre sostanze, la violenza e la criminalità;
vi. sviluppo di servizi locali destinati alle esigenze dei gruppi emarginati;
vii. gestione di linee telefoniche d'aiuto e di consulenza via Internet per persone in situazioni di crisi, vittime di violenze o a rischio di suicidio;
viii. creazione di opportunità di occupazione per persone con disabilità.
12. Invitiamo la Commissione europea e il Consiglio d'Europa a sostenere l'attuazione di questa Dichiarazione dell'OMS sulla salute mentale per l'Europa alla luce delle rispettive competenze.

13. Chiediamo al Direttore Regionale dell'OMS per l'Europa di intraprendere azioni nelle seguenti aree:
(a) Partenariato
i. incoraggiare la cooperazione in questa area con le organizzazioni intergovernative, inclusa la Commissione Europea e il Consiglio d'Europa.
(b) Informazioni sanitarie
i. sostenere gli Stati membri nello sviluppo di sistemi di sorveglianza sulla salute mentale;
ii. produrre dati comparativi sullo stato e sul progresso della salute mentale e dei relativi servizi negli Stati membri.
(c) Ricerca
i. stabilire una rete di centri collaboratori che si occupano di salute mentale che offra opportunità di partnership internazionali, ricerche di qualità e scambi di ricercatori;
ii. produrre e diffondere le migliori evidenze disponibili sulle buone pratiche, tenendo in considerazione gli aspetti etici della salute mentale.
(d) Sviluppo di politiche e di servizi
i. aiutare i governi offrendo l'expertise necessaria a sostenere riforme in salute mentale mediante politiche efficaci che includano strumenti legislativi, progettazione di servizi, promozione della salute mentale e prevenzione dei problemi ad essa correlati;
ii. creare programmi che prevedano la "formazione dei formatori";
iii. avviare progetti di scambio per programmi sperimentali;
iv. assistere nella formulazione di politiche di ricerca;
v. incoraggiare il cambiamento, creando una rete nazionale di promotori di riforma e di funzionari chiave.
(e) Advocacy
i. formulare e monitorare politiche ed attività che promuovano i diritti umani e l'inclusione delle persone con problemi di salute mentale e ridurre lo stigma e la discriminazione nei loro confronti;
ii. rafforzare le capacità dei pazienti, dei "carers" e delle organizzazioni non governative attraverso informazioni ed attività coordinate nei diversi paesi;
iii. sostenere gli Stati membri nell'elaborazione di una base di informazioni che rafforzi le capacità dei pazienti dei servizi per la salute mentale;
iv. facilitare gli scambi internazionali di esperienze coinvolgendo le principali organizzazioni non governative locali e regionali;
v. fornire ai media, alle organizzazioni non governative e agli altri gruppi e indvidui interessati informazioni obiettive e costruttive.
14. Chiediamo all'Ufficio Regionale dell'OMS per l'Europa di intraprendere i passi necessari per garantire che lo sviluppo delle politiche relative alla salute mentale e la loro attuazione siano pienamente supportate e che siano concesse priorità e risorse adeguate alle attività e ai programmi che soddisfano quanto stabilito in questa Dichiarazione.

15. Ci impegniamo a relazionare all'OMS sui progressi compiuti nell'attuazione della presente Dichiarazione nei nostri rispettivi paesi in occasione di una riunione intergovernativa da tenersi prima del 2010.

Il Ministro della sanità e dei servizi sociali della Finlandia

Il Direttore Regionale dell'OMS per l'Europa

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1) Il termine"carer" viene qui utilizzato per definire un membro della famiglia, della cerchia di amici o altre persone che si prendono cura del malato in modo informale.