domenica 10 aprile 2005

il saccheggio del tesoro di Bagdad e l'Italia

Liberazione 9.4.05
Senza più limiti la rapina del patrimonio storico
Reperti archeologici iracheni all'asta su eBay
L'Italia, messa a tutela dei beni culturali iracheni dall'Unesco, non riesce a impedire il traffico dei reperti
I carabinieri non fermano il sacco di Babilonia
Lucio Manisco

Il museo nazionale di Baghdad ha scoperto con grande indignazione che alcuni reperti archeologici iracheni, rubati e di piccoli dimensioni, sono stati messi all'asta su internet da "eBay" uno dei principali siti delle compravendite "on line". Non è certo una novità perché "Le Monde" e il "Guardian" avevano documentato e denunciato il traffico illecito sulle grandi reti telematiche sin dal gennaio del 2004. Si tratta peraltro di un ennesima riprova della rapina senza più limiti del patrimonio archeologico dell'antica Mesopotamia, rapina che rimarrà incisa a caratteri di fuoco nella storia dell'umanità anche quando i nomi George Bush e Saddam Hussein diverranno annotazioni a margine nelle cronache senza fine dell'infamia nei tempi moderni.

L'ultimo campionario offerto con dovizia di fotografie da "eBay", aggiornato dopo la denuncia del museo di Baghdad (la licitazione dura poche ore), include un sigillo conico babilonese del 2000 a. C. del diametro di 24 millimetri e squisita fattura: presenta l'immagine della "battaglia celeste" di una divinità alle prese con un demone; sfilano poi le riproduzioni di una tavoletta cuneiforme del periodo sumero al prezzo di base di 699 dollari, di un cono cuneiforme reale (111 dollari), di un monile sumero con le teste congiunte di due gemelli siamesi al prezzo stracciato di 99 centesimi di dollaro e di altri 53 reperti che abbracciano i cinquemila anni della più antica civiltà mediorientale, sopravvissuta alla devastazione mongola ma non a quella dei nuovi crociati bushisti.

Dalla denuncia del museo, che ammonisce sulle sanzioni penali di questi furti, si evince un fatto fin troppo noto a chi abbia visitato l'Iraq dopo i sei giorni di saccheggio indisturbato della capitale dal 7 al 12 aprile del 2003: tutti questi piccoli reperti venivano offerti per pochi dollari da ladruncoli locali ai soldati americani e da questi acquistati e riportati in patria come souvenir di guerra e poi messi in vendita su internet.

A quanto ha dichiarato a Bruxelles il ministro giordano per la cultura, i giornalisti occidentali, compresi molti italiani, hanno contribuito alla razzia: fermati alla frontiera con la Giordania, dalle loro valigie sono uscite dozzine di reperti analoghi, a volte bronzei e di più grande formato. Alla confisca degli oggetti rubati non è seguita la denunzia e tantomeno la divulgazione dei nomi dei reprobi, apparentemente per non creare tensioni diplomatiche con i governi dei paesi di provenienza dei giornalisti.

La commissione e il consiglio europeo, al di là di qualche declamatoria condanna della rapina del secolo, e malgrado le sollecitazioni dell'Unesco, hanno fatto poco o nulla per ostacolarla o per reprimere il traffico illecito nell'Unione. Per ben sei volte, alla commissione cultura del parlamento europeo, abbiamo denunziato l'improvvisa esibizione nelle vetrine degli antiquari del quartiere di Sablon a Bruxelles di cilindri, sigilli sumeri di terracotta e di frammenti di bassorilievi babilonesi. La commissaria alla cultura Viviane Reading, a cui confronto la nostra Vincenza Bono Parrino è figura di eccelsa dottrina, non ha manifestato il minimo interesse per le nostre esternazioni né si è mai degnata di presenziare alle conferenze sul tema indette dall'Unesco, da archeologi insigni, da enti universitari e dalle stesse interpol ed europol. La lobby degli antiquari è indubbiamente molto potente negli ambienti decisionali dell'Unione, soprattutto in Belgio che, grazie a compagnie come la Arthemis, è diventato uno dei centri più importanti, dopo quello svizzero e britannico, nei traffici leciti ed illeciti di opere d'arte. E' altrettanto vero che il grande antiquariato internazionale si occupa solo marginalmente del commercio "minuto" di piccoli anche se importanti reperti archeologici iracheni e comunque non ricorrerebbe mai a pratiche dilettantistiche come le aste della "eBay".

Ben altri sono gli obiettivi delle operazioni varate, direttamente come mandante o indirettamente con l'offerta di munifiche taglie, alle squadre di rapinatori specializzati che con dovizia di scavatrici meccaniche e bulldozers stanno devastando gli strati superiori di diecimila e più siti archeologici alla ricerca di grandi sculture in marmo e bronzo sepolte in profondità.

In una conferenza internazionale indetta dal ministro Giuliano Urbani a Bruxelles durante l'effimero e costoso semestre italiano un ufficiale dei carabinieri ha presentato le immagini fotografiche aeree di alcuni di questi siti, veri e propri paesaggi lunari perforati da buche profonde molti metri.

Delle dimensioni delle opere rubate ed avviate al grande mercato Usa si può avere un'idea leggendo il comunicato dell'Fbi dello scorso anno; annunciava il fermo e la confisca nel porto di Napoli di alcuni containers stracolmi di grandi opere mesopotamiche a bordo di una nave battente bandiera panamense. Certo, l'Fbi si dà un po' da fare per bloccare questi traffici illeciti e per imporre l'osservanza dello "United States National Stolen Property Act" la legge passata dal congresso dopo la spoliazione delle piramidi Maya. E' anche vero che Matthew Bogdanos, colonnello dei marines ma anche uomo di discreta cultura archeologica e forense, ha fatto del suo meglio in Iraq per reprimere le devastazioni e i furti, ma dopo meno di cinque mesi dalla sua nomina è stato richiamato in patria. Le informazioni sul suo caso e sui dettagli di questi infamanti "danni collaterali" inflitti dalla guerra scatenata dagli Stati Uniti sono stati raccolti da Frederick Mario Fales in un saggio di grande valore, Saccheggio in Mesopotamia edito dalla Forum. L'autore dedica anche un capitolo al «ruolo dell'Italia», un ruolo di cui ha fatto gran parlare il ministro dei beni e delle attività culturali Giuliano Urbani, anche in un libro-intervista dal tono autocelebrativo che reca il titolo "Un liberale alla cultura".

Il ministro parla della sua iniziativa volta «al salvataggio dei tesori iracheni in varie parti di quel paese» e poi del riconoscimento dell'Unesco con l'incarico dato all'Italia di assolvere alle funzioni di paese guida in questo e in altri settori a rischio del mondo intero. Esautorato da qualsiasi compito diretto di tutela in Iraq dagli Stati Uniti e in grata memoria della donazione di un milioni di dollari ricevuta l'anno scorso dal governo Berlusconi, l'Unesco ha effettivamente «formalizzato in un apposito memorandum» - come ha scritto l'Urbani - l'onore esteso al nostro paese.

L'onore è stato indubbiamente meritato dai "cinque - carabinieri - cinque" che hanno cercato con gran coraggio e con pochi mezzi di far fronte alle migliaia di rapinatori locali che operano indisturbati nel paese (sequestrati 101 reperti e arrestate 19 persone sospette). Un lascito controverso è stato purtroppo lasciato dall'ambasciatore recentemente deceduto Pietro Cordone che era tornato in Italia dopo un attentato alla sua vita dei soliti marines: il diplomatico nei primi mesi del suo mandato si era dedicato su suggerimento del governatore Usa Paul Bremer, alla "debaathificazione" dei vertici museali e culturali del paese; solo in un secondo tempo si era reso conto dell'entità della catastrofe che aveva colpito una delle più antiche civiltà del pianeta.

Un'assistenza italiana c'è stata, ma non ha riguardato la prevenzione dei saccheggi o la tutela dei beni, bensì gli aiuti di esperti, archeologi e restauratori del nostro paese ora costretti ad abbandonare il campo e a proseguire la loro attività dall'estero. Questi aiuti sono stati magnificati in una inutile quanto lussuosa e dispendiosa pubblicazione a cura del ministero degli Esteri. Insieme a saggi di alcuni studiosi di valore, l'opera è curata dai soliti berluscones, Pialuisa Bianco, Franco Frattini e naturalmente Giuliano Urbani: assente il consenso-assenso del consigliere Salvatore Settis.