mercoledì 18 maggio 2005

Piero Dorazio

L'Unità 18 Maggio 2005
È morto ieri all’età di 77 anni l’artista romano che da tempo abitava in Umbria.
Salito alla notorietà appena ventenne rimase sempre inflessibilmente legato al manifesto dell’astrattismo italiano

La battaglia con Guttuso

Il pittore Piero Dorazio, uno dei padri dell’astrattismo italiano, morto ieri all’ospedale di Perugia, era malato da alcuni anni e negli ultimi mesi le sue condizioni si erano aggravate. Nato a Roma il 29 giugno 1927, dopo gli studi in architettura, Piero Dorazio esordì nell’immediato dopoguerra con opere di ispirazione neofuturista e neocubista. Nel 1947 fu tra i firmatari, assieme a Carla Accardi, Piero Consagra, Ugo Attardi, Achille Perilli e Giampiero Turcato di «Forma Uno», manifesto dell’arte astratta italiana. In diretta polemica con il realismo socialista (impersonato da Renato Guttuso e sostenuto dal Pci di Togliatti) i firmatari si proclamavano «formalisti e marxisti», rivendicando la non inconciliabilità dei due termini. Dopo la mostra all’Art Club di Roma (1948), il radicalizzarsi dei contrasti, determinò lo scioglimento del gruppo. Dopo aver prodotto negli anni ’50 tele monocrome con linee e punti in rilievo, nel 1961 Dorazio è stato uno dei fondatori del gruppo Continuità, dove ha ritrovato molti componenti dell’esperienza di «Forma uno». Negli anni ’60 si è dedicato allo studio dei fenomeni percettivi e degli effetti ottici, impiegando trame reticolari di colori sovrapposti stesi a pennellate lunghe e sottili, utilizzando talvolta solo colori puri e la tecnica del collage. Opere di Piero Dorazio si trovano in importanti collezioni private e pubbliche, come la Tate Gallery di Londra, la Galleria d’Arte Moderna di Torino e il Fine Arts Museum di San Francisco in California.

Dorazio, l’astratto a tutti i costi
di Maurizio Calvesi

Piero Dorazio, mancato nella giornata di ieri, era nato a Roma nel 1927. Oggi, salire alla notorietà a vent’anni, è per un artista pressochè impossibile; ma fu possibile, nel 1947, per Dorazio, quando firmò con Perilli, Turcato, Consagra e Carla Accardi, tra gli altri, il manifesto della pittura astratta italiana del secondo dopoguerra; il raggruppamento prese il nome di «Forma 1», dal primo numero della rivista in cui lo scritto fu pubblicato.
Tutti molto giovani anche gli altri, questi artisti si dichiaravano «formalisti e marxisti», in anni in cui le due dichiarazioni di appartenenza culturale sembravano antitetiche. Si era infatti alle soglie della ben nota battaglia tra astratti e figurativi , o meglio «realisti», e delle famigerate invettive di Palmiro Togliatti contro l’arte non figurativa, in quanto impopolare e inaccessibile alle masse. Gli artisti di «Forma 1» sostenevano invece di voler perseguire il progresso tanto sul piano sociale, con l’adesione al verbo di Marx, quanto sul piano culturale, allineando pittura e scultura alle più avanzate evoluzioni internazionali del linguaggio.
Nel perseguire una ricerca astratta, Dorazio fu uno degli artisti più rigorosi e inflessibilmente legati al proprio credo. Della recente tradizione italiana rifiutava tutto, soprattutto il «Novecento», ma anche quello era stato il più coraggioso movimento d’avanguardia: il Futurismo, di cui Dorazio accettava soltanto la pittura di Giacomo Balla (allora ancora vivente), in quanto non tanto legata alle tematiche dinamiche e macchinistiche del manipolo marinettiano, quanto interessata a pionieristiche ricerche di arte non figurativa.
Da Balla Dorazio ereditò la felicità del colore, in stesure di piani giocati sulla superficie, senza ricerca di profondità spaziale. Contemporaneamente seguiva con grande e allora eccezionale attenzione le vicende dell’arte fuori d’Italia, con particolare interesse verso gli artisti della nuova scuola francese e verso lo svizzero Max Bill.
Nel corso di quasi sessant’anni di attività, Dorazio è rimasto fedele al suo linguaggio fatto di scansioni lineari e coloristiche, con guizzi di fantasia che gli permettevano di trovare soluzioni sempre nuove all’interno di un discorso a senso unico. Verso il 1960 raggiunse uno dei suoi momenti espressivamente più intensi, orchestrando una fitta tessitura pittorica su tonalità tendenti al monocromo e affiancandosi così, sia pure con una diversa sensibilità, alle ricerche messe in atto da una nuova generazione di artisti: i futuri protagonisti della «Scuola di piazza del Popolo» intendevano infatti far ripartire la ricerca da un «azzeramento» (monocromo appunto) della pittura. Ma mentre questi nuovi artisti sfociarono immediatamente in ricerche parallele (nella grande originalità e freschezza) alla nascente Pop Art anericana, Dorazio rimase ostilmente chiuso a questa clamorosa svolta del gusto; e contro di essa polemizzò duramente, con quella aggressiva vivacità che gli era propria e che aveva ereditato proprio dai poco amati futuristi.
In quel momento (appunto agli inizi degli anni Sessanta) Dorazio cercava di fare sbarramento contro tutte le novità della ricerca artistica che la allontanassero dalla meta, ritenuta irrinunciabile, dell’astrattismo. Sono così rimaste famose le sue polemiche anche molto violente, contro un critico che pure che lo aveva seguito e prediletto: Giulio Carlo Argan. Argan infatti in quel momento, pur essendo schierato anche lui con decisione contro la Pop Art, aveva segnalato un’altra direzione di ricerca, quella della cosiddetta «arte programmata» o cinetica, che per il suo carattere scientifico favoriva e anzi esigeva il lavoro di gruppo. Qui l’idealismo romantico di Dorazio si ribellò in difesa dell’individualità dell’artista, e sorse un’altra memorabile stagione di polemiche (dopo il conflitto tra astratti e figurativi) che concorse a rendere così vivi e irripetibilmente coinvolgenti quegli anni di appassionata partecipazione ai problemi dell’arte.
La vis polemica di Dorazio è un tratto che continuò a contraddistinguerlo in tutte le sue numerose battaglie, specie quelle contro l’istituzione della Biennale, monopolizzata a suo avviso da una critica a cui egli avrebbe voluto sostituire il diretto intervento e giudizio degli artisti. Era per lui, la polemica, un modo di manifestare la propria esuberante vitalità, vitalità che la sua pittura rifletteva pienamente, pur nel rigore degli impianti, attraverso l’irruenza e insieme la raffinatezza del colore. Con Dorazio scompare non soltanto un eccellente pittore italiano, ma anche uno dei testimoni più vivi e appassionati di quello che fu un periodo fortunato dell’arte: un periodo in cui sembrava che l’arte potesse davvero, con le sue conquiste di linguaggio, emancipare il mondo e guidarlo sulla via di un consapevole progresso.