martedì 3 maggio 2005

rendersi conto
Emanuele Severino

BresciaOggi Martedì 3 Maggio 2005
Il filosofo Emanuele Severino protagonista al Sancarlino
«Così la tecnica sovrana governa tutto il mondo»
«Viviamo un’epoca analoga alla fine dell’impero romano»
Nino Dolfo

Dopo la caduta del Muro di Berlino si era parlato incautamente di fine della Storia. In effetti, dopo quella data è successo ancora di tutto e oggi è più che mai ci troviamo ad interrogarci sul destino dell'Occidente, sul senso della democrazia e della libertà. Un tema davvero nevralgico quello che ieri sera si è discusso nell'ambito dei Lunedì del Sancarlino curati da Roberto Chiarini per la Provincia e intitolati "Nel nome di Alexis De Tocqueville. A duecento anni dalla nascita". Il relatore era Emanuele Severino, uno dei pensatori più lucidi del nostro tempo, che ha riflettuto su "Capitalismo e democrazia", stimolato dalle domande dello stesso Chiarini.
Di fronte ad un uditorio gremito (Severino non smentisce mai il suo magnetismo: è uomo da en plein), il filosofo bresciano ha messo a punto quello che da anni è il fulcro della sua speculazione, una sorta di leit-motiv: il significato della tecnica. Si tende a confondere il capitalismo con la tecnica - ha esordito - ma non sono lo stesso fenomeno, anzi queste due dimensioni si dirigono in direzioni opposte. Per tecnica non si intende solo la "macchina" (per Max Weber lo Stato è una macchina tecnica razionale, che consente di prevedere ciò che accadrà), ma un insieme di sottosistemi (produttivo, giudiziario, militare, educativo coniugati con i vari tipi della concettualità scientifica).
La diversità tra capitalismo e tecnica consiste in questo: il primo è interessato alla perpetuazione delle scarsità delle merci, mentre la seconda vuole gestire la totalità planetaria degli strumenti, è per la eliminazione della scarsità delle merci, è per aumentare la potenza dell'uomo.
«Il capitalismo - ha detto Severino - è brama di profitto, non è certo un'opera di beneficenza o assistenziale». Le sue ascendenze sono nobili, come ha sottolineato sempre Max Weber , perché hanno radici nell'etica protestante e calvinista. In questo senso l'uomo religioso, convinto della predestinazione, ritrova nel successo mondano il sogno della benedizione divina. Ma questo non vuol dire che costui sia ancora un capitalista, perchè il capitalismo si invera solo quando il successo mondano è solo fine a se stesso ed è dunque definito solo dalla volontà di incrementare il profitto.
Oggi - ha rimarcato Severino - il capitalismo è sottoposto a una serie di pressioni che lo spingono a scopi diversi da quelli che lo avevano definito in precedenza. Le ultime encicliche, che hanno tutte una consistenza concettuale rilevante («non a caso c'era dietro Ratzinger») sottolineano che il capitalismo deve porsi come problema il bene comune. È come dire ad un imprenditore di non essere capitalista... La Chiesa si sta mostrando, rispetto al capitalismo, eversiva quanto lo era stato il comunismo».
Il mondo è in continua trasformazione. Cambiano gli scenari, è in crisi anche la figura storica dello Stato, una struttura organizzata che ci ha permesso conquiste di garanzie e di civiltà. Alcuni Stati si sfilacciano, altri invece (gli Usa) sembrano diventare più forti. Quale futuro ci spetta? «Stiamo vivendo un'epoca paragonabile alla fine dell'impero romano», ha commentato Severino. Ogni critica fatta alla tecnica nel nome dei valori della tradizione umanistica è destinata a fallire. La tecnica è imbattibile, anzi essa è diventata lo strumento della grandi forze della tradizione. Anche il cristianesimo ricorre alla tecnica («non è più possibile pensare alla carità privata, ma bisogna ormai pensare alla organizzazione tecnologica della carità»). Lo stesso Islam non è da meno. La tecnica è uno strumento nelle mani di diversi operatori, ognuno dei quali gestisce una frazione dell'apparto tecnico-scientifico. Il passato è dunque destinato al tramonto e l'alternativa sta in un qualcosa che è al di fuori dell'Occidente.
Per quanto riguarda il futuro, secondo il filosofo, è in atto un rovesciamento, riconoscibile soprattutto nel modello americano. Nella fattispecie, qui i mezzi tecnologici invertono la funzione e diventano scopo. Non sono più il capitalismo e la democrazia che si servono della tecnica, ma viceversa. E questo cambia il volto, il significato dell'agire politico. Non solo: oggi filosofia e tecnica concordano. La filosofia del nostro tempo mostra che non ci sono limiti assoluti né per la tecnica né per l'agire dell'uomo. Un asserto questo davvero pesante, perché il limite dei limiti è Dio. La Chiesa, secondo Severino, scambia per relativismo un filosofia che relativista non è.

Il Giornale di Brescia
Emanuele Severino al Sancarlino
LA DEMOCRAZIA IN OSTAGGIO DELLA TECNICA
Alberto Ottaviano

Come cambierà la democrazia in un mondo dominato dalla tecnica? Cosa avverrà del nostro sistema democratico se sarà ridotto a un mezzo a servizio dell’apparato tecnologico? Se lo è chiesto Emanuele Severino al termine di una conversazione tutta dedicata a uno dei punti centrali del suo pensiero: il prevalere della tecnica nella civiltà occidentale. Per il filosofo bresciano siamo di fronte a un rovesciamento straordinario, a un fenomeno terrificante: la tecnica, guidata dalla concettualità della scienza moderna, finora mezzo delle grandi forze protagoniste della tradizione occidentale (dal capitalismo alla democrazia, dal cristianesimo al comunismo), sta diventando lo scopo stesso dell’agire. Non è più, ad esempio, il capitale che si serve della tecnica, ma la tecnica che si serve del capitale. È un dato sconvolgente che dobbiamo guardare in faccia: il padrone sarà il sistema tecnologico. Severino ha ripetuto il monito contenuto in molti suoi libri davanti a un’affollata platea del Sancarlino. L’occasione è stata la ripresa dei «Lunedì» dedicati alle questioni della democrazia nel segno di Tocqueville, di cui ricorre quest’annno il bicentenario della nascita. Roberto Chiarini, curatore del ciclo di incontri e ieri interlocutore di Severino, ha sottolineato le conseguenze concrete della prospettiva emersa dalle parole del filosofo: lo Stato è la cornice che ha finora assicurato una certa libertà, l’indipendenza, l’istruzione di massa, il benessere. È drammaticamente pericolosa - ha affermato - una situazione in cui lo Stato va «in panne», in cui esso viene a mancare. Ma l’analisi di Severino è impietosa. Per quanto riguarda lo Stato - sottolinea - siamo in un’epoca paragonabile alla fine dell’Impero romano. Nella storia della civiltà occidentale è sempre fallita ogni critica alla tecnica fatta in nome dei valori della tradizione (cioè dello Stato o della religione o del capitalismo e così via): siamo di fronte all’inevitabilità del tramonto della tradizione occidentale. Dunque lo Stato ce lo stiamo lasciando alle spalle. Prima di giungere a queste conclusioni, il filosofo chiarisce il concetto di tecnica. È un equivoco da sfatare che tecnica e capitalismo, cioè produzione tecnologica e produzione capitalistica, siano lo stesso fenomeno: in realtà il capitalismo punta alla perpetuazione della scarsità media delle merci per incrementare il profitto, mentre la tecnica punta all’eliminazione della scarsità delle merci aumentando continuamente la potenza a disposizione dell’uomo. Dunque le due cose sono in contraddizione. È sempre il fine che definisce un’azione, sottolinea il filosofo: se cambia il fine, cambia l’azione stessa. Il capitalismo - seppure nato con un’ascendenza religiosa, secondo la classica analisi di Max Weber - si definisce in quanto tale quando l’impresa assume come suo scopo l’incremento del profitto. Oggi il capitalismo è pressato da un insieme di forze che vogliono fargli cambiare il fine dal quale è definito. Così la Chiesa - rileva ancora Severino -, quando con le sue formidabili encicliche dice che il capitalismo deve avere come scopo il bene comune, è eversiva nei confronti del capitalismo stesso: chiede in realtà che esso non sia più tale. È un esempio del conflitto in atto tra le grandi forze della tradizione occidentale. Sono forze (capitalismo, cristianesimo, democrazia, lo stesso Islam...) che si servono della tecnica come strumento, usano ciascuna una frazione dell’apparato tecnologico. Ma per non perdere nel conflitto esse devono inevitabilmente puntare all’aumento della potenza della propria tecnologia. E per questo è necessario che i valori di ciascuna forza non intralcino la crescita della tecnica (come è accaduto al marxismo): lo scopo di ogni forza diventa allora il potenziamento del proprio apparato tecnologico; quello che era il mezzo è diventato il fine. Sta in questo processo - sottolinea Severino - quel formidabile rovesciamento, di cui si diceva all’inizio, che sta portando al dominio della tecnica.