Il cocktail micidiale di stress e povertà
L'epidemiologo Michael Marmot spiega i meccanismi alla base delle disuguaglianze di salute
di Raffaella Daghini
Trentaquattro anni in Sierra Leone, quasi ottantadue in Giappone. Già solo la differenza nella speranza di vita al momento della nascita può dare un'idea di quanto siano significative le disuguaglianze di salute tra i vari paesi del mondo. Ma anche all'interno dello stesso paese le differenze possono essere notevoli: negli Stati Uniti, per esempio, il divario tra l'aspettativa di vita di chi appartiene alla classe sociale più alta e quella dei più svantaggiati è di circa 20 anni.Oggi il tema del rapporto tra condizione socioeconomica e stato di salute sembra suscitare l'interesse non solo degli studiosi, ma anche delle istituzioni a livello mondiale. La Comunità europea, infatti, ha inserito tra gli obiettivi e i programmi di intervento in sanità pubblica per il periodo 2003-2008 la lotta alle disuguaglianze di salute. E l'Organizzazione mondiale della sanità ha istituito una Commissione indipendente sui determinanti sociali della salute, che nei prossimi 3 anni avrà il compito di approfondire la conoscenza e alimentare il dibattito su questi temi e di trasformare il patrimonio di conoscenza e di esperienza acquisito attraverso le ricerche in strategie politiche efficaci.La relazione tra disuguaglianze socioeconomiche e stato di salute fu analizzata per la prima volta con un approccio scientifico agli inizi degli anni ottanta in Gran Bretagna: fu il rapporto Black a mettere in chiaro il legame tra tasso di mortalità e appartenenza a una determinata classe sociale. Da allora molti studi hanno contribuito a chiarire il fenomeno anche dal punto di vista quantitativo.L'epidemiologo inglese Michael Marmot si interessa al tema delle disuguaglianze di salute e dell'individuazione dei determinanti socioeconomici da più di 20 anni. Il suo è un lungo impegno dedicato alla comprensione di quanto sta dietro al cosiddetto "gradiente sociale nella salute", il fenomeno per cui a una più alta posizione sociale corrisponde una più lunga aspettativa di vita e una più bassa probabilità di ammalarsi. "Inizialmente l'interesse dei ricercatori in questo campo era focalizzato sulla povertà" ha spiegato Marmot in occasione del ricevimento del premio Balzan 2004. "La mancanza di risorse materiali comporta malnutrizione, probabilità elevate di infezioni e bassa resistenza ai loro effetti, esposizione agli elementi naturali e alle sostanze chimiche tossiche. Le disuguaglianze di salute, quindi, comportano alte probabilità di malattia per i più poveri, salute migliore per gli altri".Ma il fenomeno del gradiente di salute non è limitato ai paesi più poveri o alle classi sociali indigenti, come ha dimostrato lo studio dello stesso Marmot sui dipendenti statali inglesi. "Ci siamo chiesti il motivo per cui un dirigente con una formazione universitaria dovrebbe avere una salute peggiore e un più alto rischio di morte di un suo superiore gerarchico, ma uno stato di salute migliore di un suo sottoposto" continua l'epidemiologo inglese. "Tra queste persone, tutti "colletti bianchi" con un impiego sicuro, nessuno era povero secondo il significato comune del termine; tuttavia c'era comunque un gradiente sociale di salute che percorreva la catena gerarchica dall'alto verso il basso".Per capirne la ragione, Marmot e i suoi collaboratori sono partiti dalla convinzione che l'ambiente sociale abbia influenza sui processi psicologici che, a loro volta, hanno influenza su quelli biologici. L'importanza di questo aspetto è stata messa in luce dallo stesso Marmot nei suoi studi sugli immigrati giapponesi negli Stati Uniti. Con l'arrivo nella nuova patria, l'incidenza di malattie cardiache nei primi gruppi di giapponesi immigrati crebbe, mentre diminuì quella delle malattie cerebrovascolari. Questo sottolinea l'importanza dell'ambiente inteso nel senso più ampio del termine, che comprende condizioni sociali e comportamenti" spiega Marmot. "E' come se ci fosse una sorta di relazione dose-risposta tra il grado di "americanizzazione" e l'incidenza di malattie cardiache: i giapponesi che restavano più vicini alle proprie tradizioni, all'interno di un gruppo unito di connazionali risultavano meno soggetti a queste patologie. E, cosa interessante, i tassi di malattia più elevati risultavano indipendenti da caratteristiche come il fumo, la dieta, la pressione o il colesterolo. La nostra ipotesi è che la cultura tradizionale giapponese, che favorisce la coesione sociale, è efficace nel ridurre lo stress".Lo stress, quindi, è un importante fattore psicosociale che può influenzare l'incidenza delle malattie. Una ipotesi che Marmot sostiene anche quando analizza soggetti e contesti del tutto diversi. Il primo studio sui dipendenti statali ha mostrato un gradiente sociale nella mortalità per cause cardiache. "Una risposta comune a questi risultati è che ci sono differenze di comportamento nei confronti della salute tra le varie classi sociali: chi appartiene ai ceti più bassi più facilmente fuma, segue una dieta scorretta ed è più raro che faccia attività fisica regolare" spiega Marmot. "C'è del vero in questo. Ma i risultati di entrambi gli studi Whitehall confermano che i tradizionali fattori di rischio sono in grado di spiegare meno di un terzo del gradiente sociale osservato per le malattie cardiache". Ci devono essere altri fattori che concorrono, e per Marmot l'ipotesi dello stress non è in contraddizione con la prevalenza di queste patologie nei livelli lavorativi inferiori: la questione è cosa si intende per condizioni di lavoro stressanti. I dati raccolti anche da studi sul comportamento animale hanno suggerito che le condizioni di stress si manifestano se manca un controllo sulla propria attività, in presenza di una minaccia al proprio status, in assenza di supporti sociali e di valide alternative.Ma se le gerarchie sono presenti in tutte le società, come si possono eliminare le disuguaglianze di salute che ne derivano? "La presenza di gerarchie nelle società moderne non sembra essere eliminabile, ma le sue conseguenze possono variare" sostiene Marmot. "La propria posizione nella scala sociale diventa importante e ha conseguenze sulla salute solo se la persona è privata di alcune possibilità collegate a bisogni fondamentali per il benessere di ognuno: il controllo sulla propria vita, la possibilità di partecipazione sociale, la possibilità di soddisfare i bisogni fondamentali per la propria salute"