martedì 21 giugno 2005

Carlo Flamigni: «le ragioni di una sconfitta»
la disobbedienza civile

L'Unità 21 Giugno 2005
Le ragioni di una sconfitta
Carlo Flamigni

L’impegno che mi sembra più urgente a pochi giorni da questa cocente sconfitta referendaria consiste nell'avviare una seria e onesta analisi critica.
Se saremo in grado di farlo potremo anche lavorare efficacemente per il futuro, sia per le nuove battaglie culturali che, temo, saranno all'ordine del giorno nel nostro paese, che per percorrere tutte le altre strade legittimamente disponibili per arrivare ad una legge sulla procreazione assistita migliore della 40/2004.
Le ragioni di questa sconfitta sono molte, mi sembra che almeno su questo ci sia accordo. C'è anche una classifica dei perdenti: i malati, le coppie sterili, le persone che soffrono e sperano. Anche tra chi si è adoperato per far vincere il sì c'è una sorta di scala di valori: le associazioni dei pazienti, le donne dei democratici di sinistra e dell'ulivo innanzitutto; e poi i radicali, gli esponenti della destra che si sono giocati mezza fortuna politica. Ci sarà da riflettere per tutti.
Adesso, in questo articolo, su questo giornale, voglio ragionare su un problema che mi sembra prevalente: una parte di quel 75% di assenti (dovrò pure sottrarre la quota di assenteismo fisiologico da referendum) ha espresso un parere critico, negativo, sulla ricerca scientifica. Forse ha paura della scienza, forse non ama gli scienziati. A una Festa dell'Unità un compagno mi ha detto: “siete arroganti come i preti”.
Ebbene voglio riflettere sulla mia arroganza e voglio ragionare sulla scienza: cos'è, come dovrebbe essere, come la dovrebbero vedere i cittadini.
La scienza è un grande investimento sociale, forse il più importante di tutti. La società investe nella scienza perché spera di ricavarne vantaggi: per sé, per i suoi figli più deboli e più sofferenti, per tutti. La società vuole che le nuove conoscenze prodotte rendano la vita degli uomini migliore e non può accettare il rischio che i prodotti del sapere possano essere dannosi per l'uomo. Così, lascia libera la scienza di esplorare l'ignoto, perché un occhio che scruta non può fare male a nessuno; chiede invece di poter esercitare un controllo sulle cose che la tecnica produce, perché una mano che fruga può far male, e come.
Ciò significa lasciare ad ogni ricercatore la più ampia sfera di decisioni autonome compatibili con l'interesse dell'umanità. Ciò significa anche che la scienza deve garantire la società in merito alla trasparenza e alla sincerità e per farlo deve darsi una struttura normativa. In questo modo, la scienza diviene un modello di produzione della conoscenza e le sue norme sociali sono inseparabili da quelle che riguardano i principi e il metodo della conoscenza scientifica: non si può separare l'idea che gli scienziati hanno su ciò che dovrebbe essere considerata la verità, dai modi in cui operano per raggiungerla.
I valori e le norme che garantiscono il funzionamento della scienza sono stati descritti da Robert Merton in quattro imperativi istituzionali: il comunitarismo, l'universalismo, il disinteresse e lo scetticismo organizzato.
Altri filosofi della scienza hanno aggiunto l'originalità, la creatività, la cooperazione, la trasparenza.
Queste norme e questi valori dovrebbero consentire ai ricercatori il massimo di una libertà virtuosa, ma è ovvio che - come tutte le attività dell'uomo - anche la scienza ha le sue devianze. Ad esempio le norme che ho descritto valgono per la scienza accademica, quella - solo per fare un esempio - che si svolge nelle università, mentre non si ritrova costantemente nella scienza post-accademica, quella - sempre per fare un esempio - che è promossa da qualsiasi tipo di potere economico. Se cessa il mecenatismo dello stato, se la ricerca accademica non viene adeguatamente sostenuta, può accadere che “l'altra scienza” tracimi e occupi spazi non suoi. È accaduto, accadrà ancora.
Bisogna evitare che accada.
Io credo che della scienza i cittadini si possano fidare, credo in una scienza al servizio dell'uomo. Per far credere l'opposto, sono state dette calunnie, sostenute menzogne, negate verità lapalissiane. Non esiste l'eugenetica che sa fare bambini più belli; nessuno mangia gli embrioni o li spalma sul pane, nemmeno noi comunisti. Se le fecondazioni assistite fossero tutto il male che si è detto di loro, non vedo perché dovremmo sporcarci le mani e tradire il nostro impegno con la società. Sentite cosa mi ha detto il 10 giugno l'onorevole Olimpia Tarzia, vicepresidente del Movimento per la vita, durante la trasmissione radiofonica “Nove in punto” di Radio24: “… il volere andare a produrre più embrioni quando non servono fa venire veramente il dubbio di interessi diversi rispetto a quelli della coppia, ma di avere embrioni disponibili per avere le mani libere su un discorso di ricerca e di sperimentazione c'è dietro una serie di interessi economici che vorrei ricordare tutte le tecniche di clonazione sono coperte da brevetti ….”.
Sono calunnie: sfido l'onorevole Tarzia a dimostrare che una sola parola di quanto ha detto è vera. Se non è in grado di farlo, allora ha mentito.
A questo punto è giusto chiedersi: cosa è successo?
Perché sembra essere passata l'idea che gli scienziati operino in oscure caverne alterando quello che c'è di più sacro nella natura dell'uomo? Perché ha prevalso il timore della clonazione? Perché, soprattutto, così poche persone hanno recepito il messaggio che molti di noi cercavano di inviare alla società, così pochi hanno recepito la richiesta di solidarietà, di compassione nei confronti della sofferenza e della malattia? Perché sono stati ascoltati gli imbonitori che ci spiegavano che una speranza di vita conta più di una, due, molte vite e non chi denudava il proprio dolore davanti alla comunità chiedendo solidarietà e conforto?
Non credo sia stata l'adesione ai principi della morale cattolica a creare questa bizzarria. Credo invece che a dimostrare ostilità nei confronti della scienza sia stata una generale disposizione della coscienza collettiva degli uomini che chiamerò, per semplicità, la morale di senso comune. Questa morale, che si forma per molteplici influenze dentro ognuno di noi, è particolarmente restia ad accettare i cambiamenti e persino le proposte di cambiamenti che la scienza propone, ma ha ugualmente un rapporto utile ed efficace con la scienza perché è sensibile a quelle che vengono definite “le intuizioni delle conoscenze possibili” quando riesce a trovare, in esse, indicazioni chiare sui vantaggi impliciti e tranquillità nei riguardi dei rischi probabili.
È in questa morale che siamo inciampati, è con questa morale che dobbiamo dialogare in avvenire. Dialogare tutti, nessuno escluso. Penso che chi è mancato soprattutto al proprio compito siamo stati noi, medici, biologi e ricercatori, che non abbiamo dedicato il tempo necessario alla comunicazione della conoscenza, alla promozione della cultura, utilizzando le vie consuete e inventandone di nuove. Ed è mancato il mondo politico, soprattutto quello al quale mi riferisco personalmente, che avrebbe dovuto fare del tema del rapporto tra società e scienza uno dei suoi punti di riferimento costanti. Tra l'altro, sono convinto che il rapporto tra morale di senso comune e intuizione delle conoscenze possibili debba essere mantenuto vivo ed efficace da un'etica non dogmatica, laica, capace di adattarsi rapidamente al nuovo, di riconoscere gli elementi di mistificazione e di rischio, di non inchiodare la società a un concetto antistorico di natura, ma di salvaguardare al contempo la dignità di tutti gli esseri umani. Su questa etica laica è stata fatta molta confusione e lo stesso concetto di laicità è stato travisato in modo curioso, fino ad assolverlo nel caso consenta la pacifica espressione dei princìpi religiosi: anche quando questi non sono condivisi, cardinale Ruini? Anche quando si fanno preferire dallo stato ignorando la sofferenza di altre ideologie parimenti dignitose? Tra i princìpi della laicità c'è il rispetto delle convinzioni religiose di tutti, nella consapevolezza, però, che dalla fede - da qualsiasi fede - non possono arrivare prescrizioni e soluzioni, anche e soprattutto in materia di bioetica.
Ho detto che avrei ragionato anche sulla mia arroganza e lo faccio. So dove ho sbagliato e me ne scuso. Mi sono lasciato invischiare in diatribe inutili, ho perso di vista le cose importanti, quelle che avrei dovuto ripetere e ripetere e ripetere: c'è gente che soffre, pensate a loro; c'è gente che vuole la vostra solidarietà, dategliela.
Era purtroppo tardi per fare divulgazione, la promozione di cultura richiede tempo, uomini, mezzi. Forse è bene che smettiamo tutti di scrivere, per un po'. Ragioniamo invece su come si può agire positivamente. Come Maurizio Mori ed io abbiamo sostenuto nel nostro libro, siamo alle soglie di un mutamento di paradigmi.
Questa, in fondo, è stata una scaramuccia.
Ma niente tornerà ad essere come prima.

L'Unità 21.6.05
Fecondazione, gli scienziati scrivono a Ciampi
Appello di 110 ginecologi: «La legge va cambiata oppure faremo disobbedienza civile». La destra insorge

ROMA Chi pensava che l’esito del referendum avesse tappato la bocca al movimento che si è creato per modificare la legge 40 ha fatto male i suoi conti. L’ultima polemica, infatti, è solo di ieri: stavolta il fronte degli astensionisti - dal Comitato Scienza e Vita al ministro Gianni Alemanno - è insorto davanti a una lettera appello al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi firmata da 110 tra professori e ginecologi responsabili dei centri di procreazione con la quale chiedono immediate modifiche alla legge in Parlamento. «Le uniche possibilità alternative - annunciano i firmatari- saranno il ricorso alla magistratura e disobbedienze civili». A renderlo noto nei giorni scorsi è stata l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica. Dure le critiche: Alemanno definisce la lettera un gesto «antidemocratico», mentre il Comitato definisce la disobbedienza «illiberale».
«Oggi sentiamo che il nostro lavoro - scrivono dal canto loro i firmatari - è divenuto pressoché impossibile da svolgere se non pagando un prezzo inaccettabile: tradire il giuramento di Ippocrate e principalmente il buon senso di padre di famiglia». I punti della legge 40 in contrasto con la deontologia medica sono, secondo gli esperti: il divieto di ricorrere alla fecondazione assistita per le coppie fertili anche se portatrici di malattie trasmissibili, come l'aids; l'obbligo di trasferire tutti gli embrioni prodotti in un unico contemporaneo impianto, anche nel caso di rischi di gravidanze trigemine; il divieto di selezionare gli embrioni da impiantare qualora, a seguito di una diagnosi preimpianto, risultassero malati, in presenza della volontà della coppia di ricorrere all'aborto terapeutico in caso d'impianto. «Non vogliamo certo eludere la legge o ingannarla», dicono, ma «sentiamo l'urgenza di affermare, assumendocene in toto la responsabilità, il rispetto di una legge superiore, che riguarda la lettera della Costituzione, i nostri principi deontologici e la nostra coscienza». Pronta la replica del Comitato Scienza e Vita: «Non c'è nulla di liberale nella minaccia di disobbedienza civile contro la legge 40 paventata da 110 esperti, in una lettera inviata al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi». Sarebbe, secondo il Comitato, «l'ennesima sortita del fronte referendario che, pur sonoramente battuto dalle urne, fa finta di non capire il valore effettivo di quel non voto espresso da quasi il 75 per cento degli elettori italiani in tema di procreazione medicalmente assistita».
Secondo il ministro, invece, «la pretesa dei “110 esperti” che hanno scritto al presidente Ciampi per ignorare i clamorosi risultati dei referendum sulla fecondazione assistita, non può non essere giudicata come un gesto di cultura antidemocratica».