Corriere della Sera 20.6.05
Appello di 1.800 chirurghi: ha rivoluzionato la cura dei tumori «Premio Nobel a Veronesi»
Proposto all'unanimità da due potenti associazioni scientifiche americane
«Umberto Veronesi merita il premio Nobel». Potrebbe essere l'affermazione di una delle tante donne guarite dall'oncologo milanese. Non meraviglierebbe nessuno. A sostenerlo però è un big della chirurgia americana, Patrick Borgen, capo del dipartimento che si occupa di tumori al seno del più grande centro oncologico americano: il Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York.
Durante un convegno internazionale a Milano Borgen ha sottolineato come venga proprio dagli States un'inattesa candidatura di Veronesi al Nobel 2006 per la medicina. Perché secondo la prassi le candidature devono essere presentate entro il 31 gennaio e la decisione si prende a settembre: salvo colpi di scena quindi il 2005 avrebbe già le nominations. Comunque, 2005 o 2006, a proporre Veronesi alla commissione per i Nobel sono state, all' unanimità, due potenti società scientifiche americane: la Sso (Society of Surgical Oncology, cioè i chirurghi dei tumori) e l'Assbd (American Society for the Study of Breast Diseases, ossia gli specialisti delle malattie del seno). La lettera indirizzata ad Urban Ungerstedt, coordinatore del comitato per il premio alla medicina, è come se fosse firmata da 1.800 chirurghi americani. L'appello pro Veronesi porta la data del 20 marzo. In seguito, a rafforzamento, è stato costituito anche un comitato internazionale di appoggio alla candidatura con un nuovo documento datato 6 maggio e sottoscritto da oncologi del calibro di Franco Cavalli (Svizzera), Martine Piccart (Belgio), Ulrik Ringborg (Svezia), Hiram III S. Cody (Usa). Spiega Borgen: «Veronesi merita questo premio come scienziato e come uomo. Nel 1969 presentò la sua ipotesi all'Organizzazione mondiale della Sanità, partendo da studi di laboratorio (lui è anche anatomopatologo), e ha sfidato un dogma: quello della chirurgia distruttiva e massacrante, consacrata dai "maestri" di allora, come unica speranza contro un tumore. Poi le pubblicazioni scientifiche e la prima pagina del New York Times. Con l'avvio di una nuova filosofia della cura dei tumori».
Borgen ricorda come il giovane Veronesi perse all'epoca molti potenti amici americani: «Ai congressi veniva additato come traditore e diversi Istituti non lo invitarono più perché non gradito». Eppure dall'80 ad oggi ben due milioni di donne americane hanno salvato il seno e sono guarite dal tumore grazie alla quadrantectomia, la tecnica conservativa firmata Veronesi.
Nella lettera al comitato per i Nobel è scritto anche: «Si stima che negli Usa nel 2005 saranno operate così oltre 200 mila donne, l'80 per cento delle colpite da un cancro al seno». Nemo propheta in patria viene da commentare di fronte a questi numeri: in Italia, infatti, solo il 53 per cento degli interventi per il tumore al seno sono stile Veronesi. Mentre il resto d'Europa (Francia, Gran Bretagna, Svezia, Germania, ecc.) lo consacra con oltre il 90 per cento d'interventi conservativi.
Un'obiezione: i Nobel ai chirurghi sono rari. Borgen obietta: «Non si tratta solo di una tecnica chirurgica. Dietro c'è l'intuizione che le metastasi dipendono dal tipo di cellula del tumore, che le cellule neoplastiche si muovono secondo uno schema ben definito (i nuovi studi sul linfonodo sentinella ne sono una prova), che la radioterapia è fondamentale». Eppoi l'idea di guarire senza distruggere la femminilità e la qualità della vita. Una rivoluzione. Nel 1981 quell'articolo sul New York Times destabilizzò un dogma della medicina e Veronesi divenne un simbolo per la donna americana, che cominciò anche a chiedere test per la diagnosi precoce consapevole che un tumore preso in tempo non avrebbe più inciso sulla sua femminilità.
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