giovedì 16 giugno 2005

il tempo e la musica

Il Mattino 16.6.05
Un viaggio sul tempo tra astronomia e musica promosso dalla Seconda Università di Napoli:
domani alle 17,30, nell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte, terza tappa del ciclo con l’incontro tra il maestro Roberto De Simone e l’astronomo Massimo Capaccioli.

Massimo Capaccioli

Ci sono serie difficoltà a definire la realtà e le caratteristiche dello spazio e del tempo, sia in assoluto che relativamente al nostro modo di intenderli e di percepirli come contesto di tutte le nostre esperienze. Emblematica è in questo senso la dichiarazione di Agostino d’Ippona sul tempo, che dei due è quello che qui c’interessa. In sintesi, «so cos’è, ma non lo so dire». Ciò testimonia la fatica incontrata dall’uomo nel suo sforzo di oggettivizzare il tempo in una teoria fisica. Più semplice è stato invece misurarlo e numerarlo, assegnando al presente il ruolo di coordinata mobile lungo un asse che, come l’esperienza e la salvaguardia del principio di causa ed effetto paiono in prima istanza suggerire, vada dal passato al futuro. Il miglior soccorso alla misura del tempo, e il più antico, è venuto dai corpi celesti: dalla sfera delle «stelle fisse», che riflette il moto di rotazione diurna della Terra, ma anche dal Sole, dalla Luna e dalle «stelle erranti», i pianeti. Si tratta d’un aiuto coordinato con l’insieme del complesso programma col quale la natura ha realizzato noi e il nostro habitat. È nella capacità di relazionarsi al cosmo grazie all’osservazione, e nella apparente infinità e regolarità dei cicli celesti, che l’umanità ha trovato gli strumenti per materializzare i modelli mentali di eternità e di divinità. Il cielo come cronometro, che bene incarnava per Platone l’idea del tempo, mentre al più concreto Aristotele dava il modo per affrontare, oltre alle alte questioni della conoscenza, quelle altrettanto importanti della fisica. Il cielo come orologio e calendario, che per quadrante ha le stagioni o le fasi lunari dove scorre il ciclo d’un tempo lineare, e che ha secondato, influenzandola, la storia dell’uomo, segnando il sorgere ed il tramontare degli imperi, delle ideologie e delle fedi, consentendo di raccontare glorie e rovine, e regalando ai potenti l’illusione di poterlo governare. Il primo vero tentativo di fare del tempo un ente fisico si deve al genio di Newton che, sulla scia di Galilei, costruisce la sua meccanica postulando la realtà di un tempo «assoluto, vero e matematico». Per Newton spazio e tempo sono il palcoscenico di rappresentazioni, gli eventi, che se ne servono, o lo subiscono, senza poterlo modificare. Nel 1916, Einstein assestò un secondo, micidiale colpo alla fisica di classica, reinterpretando la gravitazione nel contesto della nuova relatività. Le conseguenze di questa teoria generale furono straordinarie soprattutto per comprendere le vicende di chi della gravità fa l’uso maggiore, l’universo. È singolare che l’autore di questa rivoluzione, nell’applicare la sua teoria all’interpretazione del cosmo, abbia scelto di non attribuire un tempo all’universo, immaginandone un modello stazionario, pretendendo pel figlio quell’eternità ch’è propria del padre. Per fare ciò si dispose a pagare un prezzo alto: non solo l’invenzione di una forza repulsiva proporzionale alla distanza, capace di equilibrare ovunque l’attrazione gravitazionale ma soprattutto l’accettazione di un modello instabile soggetto ad una continua «manutenzione straordinaria». Sbagliava, com’egli stesso ammise quando Hubble gli dimostrò che l’universo era vivo e vitale. È comunque sempre grazie ad Einstein che in seguito l’espansione cosmica scoperta da Hubble poté essere modellata. Un percorso nel tempo di cui possiamo oggi tracciare tutte le tappe, galileianamente «riprovando» le diverse previsioni per via dello straordinario progresso della tecnologia delle osservazioni astronomiche da Terra e dallo spazio: tutte le tappe salvo quella iniziale, la più critica. Essa riguarda un intervallo di tempo minuscolo, un’insignificante frazione di secondo subito dopo il Grande Scoppio, detta tempo di Planck, nel quale la nozione di tempo, oltre che di spazio e le leggi fisiche in generale, deve essere riformulata tenendo conto delle acquisizioni di un’altra grande rivoluzione della fisica del ’900, la Meccanica Quantistica.