Disturbi bipolari: tra farmaci e psicoterapia
di Davide Dèttore *
Nell'ultimo decennio del secolo scorso è iniziata una rinascita d'interesse per i disturbi dell'umore di tipo bipolare (Disturbi Bipolari, DB), cioè costituiti dalla presenza di episodi di elevazione dell'umore, di entità inappropriata, con iperattività, alterazione dell'ideazione, esaltazione di sé, grandiosità, convinzione di potere eseguire vari e complessi progetti contemporaneamente, sensazione di energia elevata e scarso bisogno di sonno; tali episodi possono alternarsi o meno con episodi di tipo depressivo, donde il nome di disturbi bipolari, perché oscillano appunto da un polo all'altro dell'umore. Un tema discusso anche al recente congresso dell'AIAMC (Associazione Italiana di Analisi e Modificazione del Comportamento e Terapia Comportamentale e Cognitiva).
Il rinnovato ed esaltato interesse per questi tipi di disturbi ha portato allo sviluppo di interventi innovativi dal punto di vista farmacologico, che hanno migliorato la qualità di vita delle persone affette, anche se purtroppo tali disturbi rimangono ancora molto disabilitanti. Proprio tali osservazioni hanno fatto porre in risalto l'opportunità di coniugare alla terapia farmacologica dei disturbi bipolari, che continua a rimanere un elemento fondamentale e ineliminabile del trattamento (e deve di solito essere continuata per tutta la vita), anche interventi di tipo psicosociale.
L'aggiunta di approcci psicosociali alla farmacoterapia dei DB è importante perché:
1) fornisce interventi psicoeducativi a proposito dei sintomi;
2) promuove la compliance alla farmacoterapia;
3) affronta le condizioni in comorbilità;
4) tenta di ridurre lo stigma sociale e le conseguenze negative della diagnosi sull'autostima;
5) facilita un maggiore adattamento sociale e lavorativo;
6) giova a ridurre il rischio di suicidio;
7) identifica e diminuisce gli inneschi psicosociali che possono incrementare il rischio di ricaduta.
Esistono nella letteratura scientifica studi controllati e randomizzati che indicano che l'aggiunta della terapia comportamentale-cognitiva alla terapia farmacologica è più efficace della sola terapia farmacologica.
Nella stessa direzione vanno anche diversi altri studi aperti e rassegne retrospettive. Per cui è possibile concludere insieme a Jan Scott, uno dei maggiori esperti di trattamenti psicosociali per i DB: "L'uso della terapia psicologica come aggiunta ai farmaci è probabilmente benefico dal punto di vista clinico ed efficace rispetto alla riduzione dei costi, oltre che in grado di contribuire a un significativo miglioramento nella qualità della vita dei pazienti con DB e, indirettamente, per le altre persone per loro significative. Come tali, le terapie brevi basate sulle evidenze rappresentano una importante componente di una buona pratica clinica nella gestione dei DB"
* Associato di Psicologia Clinica Ateneo di Firenze; Past President AIAMC
Baby depressione convegno a Roma
E proprio ai disturbi bipolari è dedicata domani la seconda giornata del convegno internazionale su "Le sindromi depressive in età evolutiva", oggi e domani a Roma (Sala Protomoteca in Campidoglio dalla ore 9), con una lezione magistrale di Barbara Geller. Oggi invece il tema del convegno sarà la depressione in età prescolare ed evolutiva con una lezione magistrale di Joan Luby.
E proprio ai disturbi bipolari è dedicata domani la seconda giornata del convegno internazionale su "Le sindromi depressive in età evolutiva", oggi e domani a Roma (Sala Protomoteca in Campidoglio dalla ore 9), con una lezione magistrale di Barbara Geller. Oggi invece il tema del convegno sarà la depressione in età prescolare ed evolutiva con una lezione magistrale di Joan Luby.
Lei& Lui
Inganni di coppia, quando serve la terapia a due
di Roberta Giommi *
Fare terapia di coppia occupandosi dei problemi della sessualità richiede un confronto continuo sulla vera domanda. Mentre in terapia individuale le persone hanno una idea soggettiva del loro malessere e cercano un aiuto individuale, nella terapia di coppia si deve valutare oltre i partner una terza identità rappresentata dal rapporto di coppia e questo condiziona fortemente l'azione dello psicoterapeuta. All'inizio del percorso i partner fanno una grande fatica a mettere da parte le loro abitudini, le delusioni contrattuali, le delusioni affettive e sessuali, continuano a esprimere la volontà di regalare la colpa delle loro crisi al partner.
Cosa spinge a consultare
I principali motivi per cui le coppie consultano possono essere diversi:
1) Perché sia amministrata la giustizia, perché il terapeuta dica chi ha ragione e chi ha torto, chi deve cambiare e chi può restare se stesso;
2) Perché uno dei due vuole salvare il rapporto e cerca aiuto per poterlo fare, perché spera di convincere l'altro a impegnarsi nel cambiamento, a prendere atto dei problemi. Nella seduta individuale, che fa parte del metodo di lavoro della psicoterapia di coppia e sessuale, si scoprono a volte tradimenti e interessi diversi, compare la voglia di restare o di farla finita, vengono confidati i malesseri più gravi.
Elemento importante per valutare se la coppia potrà avere prospettive nella soluzione dei problemi è rappresentato dalla positività della storia all'inizio del rapporto, dalla gravità o meno delle delusioni. Per esempio si può avere capito che non ci piace più vivere in un certo modo, che non desideriamo più il corpo dell'altro, che siamo capaci di stare da soli, che abbiamo guadagnato altre risorse, che siamo finalmente più belli e quindi più potenti, o più brutti con un nuovo bisogno di essere confermati dall'esterno. Ci sono dei casi in cui un partner trascina l'altro in terapia per affidarlo al terapeuta. E' come se si svolgesse un atto preparatorio alla separazione, si costruisce un aggancio per lasciare la persona che soffre.
L'altro che potrebbe essere sfinito di dare spiegazioni o vorrebbe poter andare via senza sensi di colpa, attua l'aggancio terapeutico, per trovare soluzioni nuove o per continuare nel proprio movimento senza sentire il laccio delle responsabilità. Il terapeuta deve capire se esiste questa intenzione e valutare se sia pericoloso introdursi nel rapporto. Come regola generale per accettare le persone in psicoterapia di coppia bisogna dichiarare che la terapia coinvolge la responsabilità delle due persone a condividere un obiettivo comune. La lettura della domanda nella prima seduta tende ad appurare che ci sia un intento comune nell'affrontare i problemi con la consapevolezza che ognuno deve fare dei cambiamenti e modificare il punto di vista. A volte sembra che la terapia di coppia tuteli poco la capacità di salvare i rapporti e questo accade se viene usata una tesi troppo forte nel cambiamento, rinforzando spesso solo uno dei soggetti o offrendo alternative di vita che la coppia non è capace di vivere.
Desiderare un futuro
La coppia - come la famiglia - può essere in certe fasi labile aggregazione, le spinte centrifughe sono forti, difficile la capacità di reggere il confronto e costruire. Si può essere spinti e rinforzati nei propri conflitti, senza valutare se la coppia sia in grado di sostituire il proprio precedente modello in modo efficace.
Mario aveva una nuova compagna, una ragazza di 25 anni che aveva lasciato subito il marito per lui, ma questa storia era la sua terza storia importante e non se la sentiva di lasciare Giulia che anni prima aveva lasciato il marito per lui. Così aveva deciso, forse inconsciamente, di portare Giulia in terapia di coppia per poi allontanarsi dichiarando il suo amore per la nuova compagna e affidando la donna alla psicoterapia.
Teresa aveva dichiarato nella seduta individuale che faceva sesso con altri uomini, ma non con il marito, esprimendo una disponibilità a "fare finta di fare terapia" per mantenere la pace in famiglia. Angelo aveva scoperto che la sua compagna non provava l'orgasmo ed essendo sensibile alla sua mancanza di un piacere importante aveva pensato che c'era qualcosa che doveva cambiare. Tre momenti difficili rispetto a stabilire il significato della domanda. Alla base di un buon contratto terapeutico c'è l'eliminazione del concetto di potere, il modello della reciprocità, la capacità di essere coinvolti nel lavoro terapeutico con pari doveri e responsabilità.
Inganni di coppia, quando serve la terapia a due
di Roberta Giommi *
Fare terapia di coppia occupandosi dei problemi della sessualità richiede un confronto continuo sulla vera domanda. Mentre in terapia individuale le persone hanno una idea soggettiva del loro malessere e cercano un aiuto individuale, nella terapia di coppia si deve valutare oltre i partner una terza identità rappresentata dal rapporto di coppia e questo condiziona fortemente l'azione dello psicoterapeuta. All'inizio del percorso i partner fanno una grande fatica a mettere da parte le loro abitudini, le delusioni contrattuali, le delusioni affettive e sessuali, continuano a esprimere la volontà di regalare la colpa delle loro crisi al partner.
Cosa spinge a consultare
I principali motivi per cui le coppie consultano possono essere diversi:
1) Perché sia amministrata la giustizia, perché il terapeuta dica chi ha ragione e chi ha torto, chi deve cambiare e chi può restare se stesso;
2) Perché uno dei due vuole salvare il rapporto e cerca aiuto per poterlo fare, perché spera di convincere l'altro a impegnarsi nel cambiamento, a prendere atto dei problemi. Nella seduta individuale, che fa parte del metodo di lavoro della psicoterapia di coppia e sessuale, si scoprono a volte tradimenti e interessi diversi, compare la voglia di restare o di farla finita, vengono confidati i malesseri più gravi.
Elemento importante per valutare se la coppia potrà avere prospettive nella soluzione dei problemi è rappresentato dalla positività della storia all'inizio del rapporto, dalla gravità o meno delle delusioni. Per esempio si può avere capito che non ci piace più vivere in un certo modo, che non desideriamo più il corpo dell'altro, che siamo capaci di stare da soli, che abbiamo guadagnato altre risorse, che siamo finalmente più belli e quindi più potenti, o più brutti con un nuovo bisogno di essere confermati dall'esterno. Ci sono dei casi in cui un partner trascina l'altro in terapia per affidarlo al terapeuta. E' come se si svolgesse un atto preparatorio alla separazione, si costruisce un aggancio per lasciare la persona che soffre.
L'altro che potrebbe essere sfinito di dare spiegazioni o vorrebbe poter andare via senza sensi di colpa, attua l'aggancio terapeutico, per trovare soluzioni nuove o per continuare nel proprio movimento senza sentire il laccio delle responsabilità. Il terapeuta deve capire se esiste questa intenzione e valutare se sia pericoloso introdursi nel rapporto. Come regola generale per accettare le persone in psicoterapia di coppia bisogna dichiarare che la terapia coinvolge la responsabilità delle due persone a condividere un obiettivo comune. La lettura della domanda nella prima seduta tende ad appurare che ci sia un intento comune nell'affrontare i problemi con la consapevolezza che ognuno deve fare dei cambiamenti e modificare il punto di vista. A volte sembra che la terapia di coppia tuteli poco la capacità di salvare i rapporti e questo accade se viene usata una tesi troppo forte nel cambiamento, rinforzando spesso solo uno dei soggetti o offrendo alternative di vita che la coppia non è capace di vivere.
Desiderare un futuro
La coppia - come la famiglia - può essere in certe fasi labile aggregazione, le spinte centrifughe sono forti, difficile la capacità di reggere il confronto e costruire. Si può essere spinti e rinforzati nei propri conflitti, senza valutare se la coppia sia in grado di sostituire il proprio precedente modello in modo efficace.
Mario aveva una nuova compagna, una ragazza di 25 anni che aveva lasciato subito il marito per lui, ma questa storia era la sua terza storia importante e non se la sentiva di lasciare Giulia che anni prima aveva lasciato il marito per lui. Così aveva deciso, forse inconsciamente, di portare Giulia in terapia di coppia per poi allontanarsi dichiarando il suo amore per la nuova compagna e affidando la donna alla psicoterapia.
Teresa aveva dichiarato nella seduta individuale che faceva sesso con altri uomini, ma non con il marito, esprimendo una disponibilità a "fare finta di fare terapia" per mantenere la pace in famiglia. Angelo aveva scoperto che la sua compagna non provava l'orgasmo ed essendo sensibile alla sua mancanza di un piacere importante aveva pensato che c'era qualcosa che doveva cambiare. Tre momenti difficili rispetto a stabilire il significato della domanda. Alla base di un buon contratto terapeutico c'è l'eliminazione del concetto di potere, il modello della reciprocità, la capacità di essere coinvolti nel lavoro terapeutico con pari doveri e responsabilità.
*Istituto Internazionale di Sessuologia Firenze www.irf-sessuologia.org