venerdì 17 giugno 2005

la disperazione di Rossanda
«le donne non hanno amici»

il manifesto 16.6.05
RITIRARSI È UN ERRORE
Rossana Rossanda

(...)
Le donne non hanno amici. Possono essere appassionatamente amate, inseguite, sposate ma il loro potere sulla riproduzione è invidiato, consciamente o inconsciamente che sia, dall'altro sesso. Di qui l'ossessione ad appropriarsene, ingabbiare il corpo che riproduce o normarlo severamente. Si può capire: l'uomo può spargere seme ma se una donna non ci mette del suo per nove mesi, non avrà un figlio. La donna può farsi fecondare anche transitoriamente e da chi vuole e fare un figlio, l'uomo senza una donna che gli sia stabilmente accanto non può generare. Il nostro corpo è per una ventina di anni potente e sfuggente. Anche da questa invidia derivano certi comportamenti maschili perversi.

La scena pubblica, in cui l'uomo domina, interviene perciò da sempre sul corpo femminile, obbligando, proibendo o limitando. La chiesa, modello di patriarcato, ha sempre agito in questa direzione. Lo ha fatto anche ora e lo farà - ha ragione di temerlo Stefania Prestigiacomo - sulla 194. Atei devoti l'hanno preceduta per una strada su cui grandi teologi esitavano: l'ovulo fecondato sarebbe già persona. Possibilità di venire alla luce per un insieme organico ancora incompleto e persona portatrice di diritti sarebbero lo stesso. Come l'uovo sarebbe la gallina. Quel che una donna fa da sempre, e la scienza da quattro secoli, è che fino alla ventisettesima settimana circa quel che porti in grembo non può vivere perché il suo sistema respiratorio si forma per ultimo, respira per lui la madre, è in senso pieno una parte del corpo materno. Se ne è messo fuori, non c'è tecnica che possa farne un vivente. Ma già, gli adoratori della vita se ne infischiano dei viventi: i già nati che muoiono per fame e le madri per parto non li hanno mai agitati - sono morti naturali, dunque piacevoli alla natura e a Dio.

E' un errore che solo pochissime donne siano intervenute mentre il Parlamento interveniva su di esse. Peggio, una femminista doc come Anna Bravo, tramite un'istituzione doc come la Società delle storiche, ha definito violente e omicide, come tutto degli anni settanta, le donne che allora si sono battute per depenalizzare l'aborto, elucubrando sulla sofferenza del feto, che esse avrebbero ignorato, a prescindere se si possa parlare di sofferenza dove ancora manchi un sistema nervoso.

Insomma per mettere le mani sul nostro corpo se ne sono dette di ogni, e se ne diranno. Ritrarsi dalla scena politica dove si prendono queste decisioni è un errore suicida. Dichiarare che il patriarcato è morto e le donne sono libere e felici, sarebbe come se la classe operaia dichiarasse che, poiché ha preso coscienza di se stessa, il capitalismo è finito e il lavoratore è libero della sua sorte. Mettiamoci bene in testa che siamo in un conflitto antico e acuto, moltiplicato dalle possibilità, prima che dagli arbitri, della scienza. E che una libertà femminile è lontana dall'essere raggiunta. Anche in un paese così civilizzato - tanto che tre italiani su quattro hanno preferito disinteressarsene.