domenica 19 giugno 2005

Procida: con Curi, Severino, Rosi, De Oliveira...
«il pensiero filmato e il film pensato»

Il Mattino 19.6.05
FRANCESCO ROSI
«In Spagna, a tu per tu con Orson Welles»
Il regista ricorda l’incontro con l’autore americano e presenta a Procida «Il momento della verità»
Alberto Castellano

Cambi di programma, spostamenti di film, pellicole che mancano e altre che si aggiungono al programma. Sono imprevisti che in un festival in progress come «Il vento del cinema» diretto da Enrico Ghezzi a Procida si possono anche tollerare, diventano quasi sfasature volute dal teorico-praticante del «fuori sincrono», variazioni fisiologiche in una rassegna che si configura come una perpetua «jam session», proprio come s'intitolano gli interessanti incontri pomeridiani nei quali cineasti e filosofi discutono del reale/possibile/probabile rapporto tra «il pensiero filmato e il film pensato». Tra un confronto tra due filosofi come Umberto Curi e Emanuele Severino sull'ontologia delle due discipline e un serrato dibattito tra il regista russo Aleksandr Sokurov e il documentarista lettone Herz Frank sulla persistenza della valenza artistica del cinema, c'è spazio anche per un incontro d'altri tempi tra due maestri come Francesco Rosi e Manoel de Oliveira. Il regista portoghese l'altra sera ha assistito alla proiezione al Procida Hall de «Il momento della verità» girato da Rosi nel '65. Spiega l’autore delle «Mani sulla città»: «Rivedo con piacere questo film dopo otto anni in un contesto come questo. Fu il primo film che girai in un contesto non italiano. Angelo Rizzoli voleva fare un film con me a tutti i costi, era un'occasione da non perdere, ma non avevo un progetto e m'ispirò la copertina di un settimanale illustrato sulla fiera di Pamplona. Andai in Spagna con gli operatori Gianni Di Venanzo e Pasqualino De Santis e girammo del materiale che sottoposi a Rizzoli, gli piacque molto e il film partì. Approfondii la mia conoscenza della tauromachia, ma non volevo raccontare una storia che fosse più in linea con il mio cinema di denuncia, volevo distruggere la mitologia della corrida, non m'interessava l'esaltazione epica di toreri alla Dominguin, che mentre matava un toro fu colpito violentemente ai testicoli, ebbe la forza di uccidere l'animale e poi svenne». Rosi sottolinea il carattere realistico del film: «Il protagonista è un giovane di campagna che per far soldi si trasferisce a Barcellona, ma ha difficoltà a inserirsi nel mondo delle corride, poi riesce a diventare un matador. Lo girai con lo stile dell'inchiesta, senza trucchi e artifici, utilizzai tutti toreri veri. Volevo comunicare al pubblico soprattutto lo scontro tra l'intelligenza umana e la bestialità del toro». Il film fu anche l'occasione per Rosi di conoscere un mito del cinema: «Durante i sopralluoghi in Spagna conobbi a Pamplona Orson Welles che stava lavorando al suo progetto su Don Chisciotte e aveva visto "Le mani sulla città". Ricordo che una sera a cena mentre mangiava con una certa voracità mi guardava sott’occhio, era incuriosito e al tempo stesso diffidente verso di me, quasi sembrava chiedersi che cosa facesse in Spagna uno come me che non la conosceva. Sembrava un personaggio di Balzac. In effetti non sapevo niente della Spagna, se non quello che avevo appreso dalla lettura di Hemingway. Tra me e Welles comunque nacque una forte amicizia e per quegli strani percorsi del cinema io il film lo feci e lui no». Ieri notte, intanto, nell’ambito dei suoi «Fuori orario», Ghezzi ha intervistato i registi Abel Ferrara e Herz Frank, autore di un documentario sulla tradizionale processione procidana di Pasqua. Oggi, per la chiusura, dovrebbero arrivare anche Dario Argento, Philippe Garrel e Luciano Emmer.