Corriere della Sera 19.6.06
Ma, davvero, il «classico» ha un senso nella nostra cultura? ...
Ma, davvero, il «classico» ha un senso nella nostra cultura? Se lo chiede Salvatore Settis in un libro denso e stimolante (Futuro del «classico», Einaudi, pagine 128, 7) che pone un problema: come è stato considerato l’antico e che valore ha oggi proporre questa aspirazione a un modello nel tempo della comunicazione globale e dell’intreccio di tante civiltà? Mentre le lingue classiche, il greco e il latino, sono sempre più ai margini degli studi, il mondo dei beni culturali, un settore che identifica anche precise professioni, rappresenta un modo diverso per riflettere sulla durata e fa scoprire ai giovani le culture del passato, anche ma non solo quelle che studia l’archeologia. Così resta aperto il problema se quel mondo classico, quella civiltà che identificherebbe proprio l’Occidente nei confronti di culture diverse, ad esempio il mondo islamico, ma anche le culture postoccidentali come quelle statunitensi e sudamericane che il mondo antico lo hanno vissuto solo indirettamente o per via dei colonizzatori, quel mondo classico abbia ancora oggi un senso e una efficacia, se sia insomma un progetto.
Dopo una lunga analisi del dibattito storico sul mondo classico greco e romano, Settis ritrova le ragioni di un’attualità del classico seguendo un’acuta affermazione di Claude Levi Strauss che propone il rapporto col mondo antico come struttura per ogni dialogo con ogni passato, sia questo delle civiltà medio o estremo-orientali che centroamericane, ma anche con le altre, quelle predilette dall’antropologo, le primitive. Ecco dunque una possibile risposta, ma una risposta che pone anche dei problemi. Certo, il mondo classico ha avuto molti revival, molte riprese, e dunque è al mondo classico che abbiamo spesso fatto riferimento in Occidente, del resto qualche sparso frammento di tradizione classica si infiltra un poco ovunque; eppure forse noi non ci rendiamo conto che ogni ripresa dell’antico non è copia o calco come nella cultura accademica, ma, semmai, invenzione e progetto di senso.
Leggere un passato per recuperarlo è, prima di tutto, un programma legato a una ideologia: infatti facciamo molta fatica a considerare sullo stesso piano, ad esempio, le riprese augustee o adrianee della classicità dell’epoca fidiaca e la evocazione dell’antico che si propone in epoche diverse, come nel Medioevo, sia in Occidente che in Oriente.
Dunque che cosa ha in comune la ripresa dell’antico della Rinascita Macedone, oppure Comnena, che sono anche esaltazione della figura dopo l’iconoclasmo del secolo VIII a Bisanzio, con la ripresa del mondo antico e la sua trasformazione nell’Occidente cristiano dal IV secolo in avanti? In apparenza le stesse forme, le stesse immagini durano nei secoli, ma siamo di fronte a un sistema di idee, e dunque a ideologie dell’antico, che ne trasformano il senso, anche se singoli elementi iconografici e compositivi sono accolti. E che dire poi, per saltare qualche secolo, del «classico» ritenuto romano-repubblicano, dunque rivoluzionario, dopo la fine della monarchia di Luigi XVI in Francia, oppure del classico inteso come evocazione di un divinizzato paesaggio all’antica nella Roma secentesca dipinta da Poussin e dai suoi? Che cosa ha in comune tutto questo?
L’idea del classico non può legarsi a un sistema di immagini e di citazioni, ma si deve collegare a un insieme di strutture narrative e di senso sempre diverse; forse proprio qui, nelle connessioni fra immagini e funzioni, si trova più evidente il senso del mondo classico, la sua eredità, ben più delle copie, delle citazioni, delle evocazioni per frammenti di architetture o sculture.
Lo avevano scritto Max Horkheimer e Theodor Adorno, il grande mito salvifico dell’Occidente è quello di Odisseo, certo, un mito laico, quello della conoscenza; l’altra struttura narrativa portante della nostra cultura, questa volta cristiana, muove dal Vangelo e quasi millenovecento anni dopo culmina in Delitto e castigo . Insomma, le ideologie trasformano il senso delle forme, non vi sono infatti forme se non portatrici di ideologie, dunque non vi è un antico, ma molti antichi, difficili da confrontare perché inconfrontabili.
Il futuro dell’antico è nelle sue trasformazioni, e, oggi, si sa, la parte di antico che identifica l’Occidente è quello cristiano, non diverso però da un altro antico, che caratterizza il mondo islamico, la cui matrice è sempre nella struttura salvifica del Racconto, biblico o evangelico che sia, ma certo non nell’immagine figurata, proprio come nella Bisanzio dell’iconoclasma.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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