venerdì 8 luglio 2005

Cina
un nuovo fair play

Corriere della Sera 8.7.05
Cina, il partito cambia stile
sì alle conferenze stampa
Li Jingtian, dirigente del Pcc, risponde alle domande «Anche il compagno Mao era un amico dei giornalisti»
Fabio Cavalera

PECHINO - È nuova «glasnost»? «Gentili signore e signori, il partito comunista è impegnato in una campagna di educazione....».
Così, a sorpresa, come piace fare ai cinesi quando spezzano il loro pedante immobilismo, è vacillato l’ultimo baluardo del vecchio modo di comunicare stereotipato e burocratico della nomenklatura. Tutto fondato sulle veline affidate alla agenzia ufficiale o al Quotidiano del Popolo. Quelle poche righe che in genere cominciavano con «il compagno...» e si esaurivano con un invito a seguire senza indugiare le parole dei vertici. Consuetudini da regime assolutista e autoritario.
Non che oggi si debba sottolineare un cambiamento di chissà quale portata ma che il partito si sia finalmente aperto e abbia deciso, con un dirigente di alto livello della organizzazione e del comitato centrale, di rispondere alle domande dei giornalisti - «gli amici dei media» - e soprattutto di ammettere che qualcosa non funziona o addirittura si è rotto nei suoi meccanismi tentacolari è pur sempre una discreta novità. Quando mai si era visto un pezzo da novanta del Pcc, Li Jingtian, presentarsi in una conferenza stampa e parlare, anzi informare con disinvoltura dei 490 mila iscritti che nel 2004 sono stati presi a calci nel sedere e cacciati per «comportamento inqualificabile»? Oppure ammettere che la corruzione è un vizio ormai un po’ troppo diffuso anche dentro le nascoste camere del partito? È, dunque, un passo da segnalare e comprendere quanto avvenuto nella sala degli incontri riservati ai ministri del Consiglio di Stato, l’esecutivo della Repubblica Popolare. Li Jingtian ha finto di negare a tanta improvvisa trasparenza la definizione di stile nuovo lanciato dai comunisti del miracolo economico e delle riforme capitaliste. E a chi gliene chiedeva ragione ha dato una risposta pescata nell’aneddotica storica, addirittura l’aneddotica dell’era maoista. Ma come? Non è stato proprio Mao a conservare un rapporto strettissimo con il giornalista americano Edgard Snow che nel 1936 lo intervistò per primo a Yan’an, la capitale rossa? E non fu Mao ad avviare attraverso Edgar Snow, che divenne suo grande amico, la distensione nel 1970 e 1971 con gli Usa di Richard Nixon e Henry Kissinger? «Temo che non si possa dire che solo ora il nostro Pcc si stia aprendo».
Spesso le grandi bugie servono a superare il gelo. E di grandi bugie il numero due responsabile della organizzazione del partito ne ha riproposte almeno un paio. Una del tipo: il nostro lavoro non ha misteri. L’altra: le riunioni dell’ufficio politico sono sempre aperte ai giornalisti. Se fosse vero ci ritroveremmo a discutere di una Cina ancora diversa da quella che nel terzo millennio è in fase di decollo verticale. Però, assieme a queste assurde difese d’ufficio di una consolidata pratica di censure e di divieti, vi sono stati segnali che vanno colti in una dimensione positiva. Ad esempio la risposta sulle tensioni sociali delle zone rurali. Fatto che data l’evidenza non può mica essere negato ma che in tempi diversi sarebbe stato allegramente chiuso con un commento lapidario: propaganda antirivoluzionaria.
La domanda è stata secca: in quale maniera il Pcc ha gestito le turbolenze nelle campagne? Li Jingtian ha risposto: «Ringrazio per l’attenzione prestata alla questione delle campagne cinesi». E ha spiegato in tono tranquillo: «Queste cose sono avvenute e noi le chiamiamo "eventi di gruppo" anziché turbolenze. La nostra costruzione della modernità e delle riforme è entrata nel periodo cruciale del passaggio del reddito pro capite da 1000 a 3000 dollari l’anno. Tale periodo qualcuno lo descrive come un periodo d’oro ma pieno di contraddizioni. È probabile che alcuni nostri dirigenti non abbiano una qualità alta e non sappiano gestire le contraddizioni. Ecco che avvengono gli eventi di gruppo». Conclusione sincera: «Noi stiamo istruendo il partito a servire il popolo con tutto il cuore ma la possibilità che quegli eventi non avvengano è comunque bassa perché accompagnano sempre i processi di modernizzazione».
Il partito comunista cinese, vecchio di 84 anni e con 69 milioni di iscritti, è l’asse attorno al quale ruota il regime con le sue articolazioni istituzionali. Partito di massa che non ammette opposizione e associazione segreta che tutto controlla nella società e nello Stato. Oggi è alle prese con un passaggio critico. La sua base è in fase di trasformazione. «Siamo l’avanguardia della classe operaia ma siamo anche l’avanguardia della società», parole pronunciate dal dirigente del Pcc. Il che equivale a sostenere che esso, il partito, deve mediare con interessi nuovi.
Gli interessi «degli imprenditori privati» che sono emersi in questa rivoluzione capitalista. Gli interessi dei colletti bianchi e del ceto medio. È una sfida che rischia di accentuare la crisi dentro al partito comunista cinese nonostante i vertici la neghino, vizio ed eredità del passato. La contrapposizione fra conservatori e riformisti diventa in verità sempre più forte. È la contrapposizione fra i sostenitori di una nuova glasnost informativa e i censori che oscurano su Internet la parola «democrazia» o arrestano i giornalisti scomodi.
La storia
LA FONDAZIONE Il Partito comunista cinese fu fondato a Shanghai da Mao Zedong il primo luglio del 1921. Nel 1949 fu proclamata la Repubblica Popolare con l’obiettivo dichiarato di realizzare «un sistema sociale comunista»
IL CAPO L’attuale segretario generale è Hu Jintao che nel 2002 è succeduto a Jiang Zemin. Il Comitato Centrale è composto da 193 membri. L’ufficio politico, dove sono concentrati i poteri reali, è composto da 7 persone