La Stampa 8.7.05
La vacanza...
Claudio Gallo
LA vacanza contiene in sé un'ombra che è il senso di un'assenza. Assenza dal posto di lavoro, certo, ma è troppo superficiale. Grattando un po' con l'unghia questa parola consunta si è disarcionati da un sospetto: che la vacanza sia in fondo un'assenza da se stessi? E chi o che cosa allora va in vacanza? Quel tale che ci assomiglia sulle foto da infliggere al rientro agli amici? Stinge il ricordo, di ritorno dai paradisi tropicali, come le t-shirt comprate a Bangkok. Già a ottobre non è rimasta che qualche immaginetta remota, precipitata nel pozzo dell'inconscio. E noi siamo sempre nel passato a ricordare qualche cosa già accaduta, oppure nel futuro ambiguo delle nostre fantasie, sempre altrove: in vacanza. Se si aprono gli occhi, la vacanza non esiste, le ferie sono uno stato mentale, un rivolo nel torrente di pensieri, sentimenti e sensazioni che pretende di essere noi. Liberiamoci dunque dalla vacanza come da un paio di occhiali impolverati e proviamo a guardare dove ci troviamo. Sorgerà allora la madre di tutte le domande: chi è che guarda?
Una tesi rifritta che potrebbe apparire stravagante: meglio trovare subito qualche precedente. Nel 1787 un giovane tenente savoiardo deve trascorrere 42 giorni recluso nella sua casa di Torino per aver partecipato a un duello. Una vacanza forzata che Xavier de Maistre utilizzerà per guadagnarsi un posto nella storia della letteratura. «Voyage autour de ma chambre», un libro di viaggio nel perimetro incantato del suo appartamento e, per quel gioco di sguardi che si sfilano come un telescopio, attraverso se stesso. Loda l'universalità del suo turismo De Maistre e fa anche lo spiritoso: «Potrei cominciare l'elogio del mio viaggio col dire che non mi è costato neppure una lira». Il letto, la finestra, il comodino diventano foreste, valli e montagne. Pur non essendo un vero libro di introspezione il Voyage ci mostra la condizione di qualunque viaggio consapevole: l'attenzione. «Chi non è attento è come se fosse già morto», dice Buddha nel Dhammapada.
La vacanza, che ci muova o no, è sempre un viaggio, talvolta consapevole, il più delle volte incosciente, un sonno agitato, popolato da sogni indistinti. Come per la conoscenza platonica, il vero viaggio più che una scoperta sembra il ricordo di cose già viste. Che cosa vedono i viaggiatori sonnambuli? Vedono cartoline, e ne sono segretamente desolati. Baudelaire con romantico zelo esaltò il viaggio ma restò ferito dalla sua ambiguità: la brama illimitata del fanciullo che sogna mappe e stampe s'infrange contro la meschinità del ricordo dei luoghi realmente visti. L'ansia di conoscere si smaga nella curiosità, il suo doppio demoniaco, che ci fa girare come trottole, come ingranaggi meccanici. «Amara scienza si ricava dal viaggio! - scrive Baudelaire in «Le Voyage» - Il mondo piccolo, monotono, oggi come ieri e come domani e sempre, ci mostra l'immagine nostra: un'oasi d'orrore posta in mezzo a un deserto di tedio!». Restare, partire: è indifferente. E infatti che si cerchi la «madre perduta» di cui parlò Jung o la «patria originaria» dei sufi, il viaggio non è nello spazio-tempo. «Viaggia dentro te stesso», esorta il sufi iraniano del XIII secolo Shabestari. E Angelo Silesius, mistico cattolico nella Breslavia del XVII secolo ammoniva nel «Viandante cherubico»: «Fermati! Dove corri? Il Cielo l'hai in te», che è un'eco del Vangelo di Luca dove Cristo dice ai discepoli: «il regno di Dio è in mezzo a voi».
Mantenendo eroicamente la propria presenza a se stessi, si potrà evitare la porta del viaggio ipnotico per prendere quella del viaggio cosciente. Attenti però a non pensare che sia un viaggio mentale soltanto: l'attenzione ha uno sguardo sferico che comprende l'insieme del nostro essere. Altrimenti saremmo di nuovo davanti a uno schermo cinematografico per ripiombare nel viaggio a occhi chiusi. Qualsiasi discorso non è più di un segnale stradale, nessuno vedendo il cartello di Roma penserebbe di aver visto Roma. Ma come purificare il nostro sguardo e prendere il passaggio giusto? In un libro geniale, intransigente e dimenticato (forse anche dal suo autore, quando ancora era in vita) «Storia del fantasticare», Elémire Zolla dava un consiglio magistrale: non cedere mai alla corrente impetuosa delle immagini mentali, essere sobrio come una ape e non inquieto e capriccioso come un grillo. «Il fantastico non ha coscienza pura - scrive Zolla - ma ha coscienza di avere coscienza: è compiaciuto». Non tramanda forse Patanjali, negli Aforismi, che lo scopo ultimo dello yoga è di «fermare il flusso mentale».
Sri Aurobindo Goshe, rivoluzionario bengalese al tempo del Raj britannico e poi mistico «evoluzionista» nella francese Pondicherry, cominciò il suo viaggio intorno alla stanza nel 1926 e lo concluse soltanto alla morte nel 1950: voleva regalare all'uomo l'immortalità ma morì di un blocco renale. Su e giù per la camera giorno dopo giorno aveva ruminato per 24 anni la tradizione indiana dai Veda alla Baghavad Gita, scrivendo migliaia di pagine e lettere che ancora oggi illuminano i viandanti dietro di lui. Una bella vacanza. E allora, con le parole di Eliot, «Non addio, ma avanti, viaggiatori».
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»