mercoledì 10 settembre 2003

Claudio Galeno, 129-200 (ca) d.C. e la melanconia

il manifesto 10.9.03
Sangue e anima della melanconia secondo Galeno
Brillantemente curato e introdotto da Franco Voltaggio, è uscito presso l'editore Nino Aragno il Trattato sulla bile nera del grande medico Claudio Galeno. un prezioso fossile della cultura occidentale, basato sulla considerazione per cui «l'umore melanconico è generato nel corpo dell'uomo», e nessuno ne è immune
di YURIJ CASTELFRANCHI


Sentimento fra i più complessi a descriversi, malattia dell'anima e musa dell'artista, da secoli la melanconia è inquilina della letteratura, dell'arte, del pensiero scientifico occidentale. La salutava Giacomo Leopardi nello Zibaldone come «l'amica della verità, la luce per discoprirla, la meno soggetta a errare». La vedeva sorella della noia, e assieme le dichiarava alleate del pensare e del sentire poetico. Scriveva: «non è propria de' tempi nostri altra poesia che la malinconica». E se la noia leopardiana trovava in Francia un equivalente nell'ennui di Baudelaire, per i romantici inglesi diveniva invece spleen, la milza. Come a chiudere un cerchio sentimentale antichissimo, fra noia e melanconia, radicato nell'immaginario occidentale: perché la milza, secoli prima, era stata per i medici greci prima e romani poi organo di passaggio di quella melàine chole, atra bile, l'umor nero responsabile del misterioso affetto melanconico. Uscito di recente per i tipi di Nino Aragno Editore (pp.126, E.10,00) il Trattato sulla bile nera ci restituisce - arricchito da un'illuminante introduzione del curatore, Franco Voltaggio - il breve testo che Galeno di Pergamo, celeberrimo medico d'epoca imperiale, dedicò a tale bizzarro ospite della milza e dell'anima. Il libro è interessante non solo di per sé ma anche nella sua connotazione di piccolo fossile della cultura occidentale: ci mostra, infatti, parte delle profonde radici dell'immaginario legato alla melanconia.

Claudio Galeno (nato a Pergamo, in Asia Minore, attorno al 129 d.C., morto forse a Roma verso il 200) era stato destinato dagli dei, secondo una leggenda voluta dal padre Nikon (che fu, per inciso, grande architetto) ad essere medico. Fu forse il più celebre del mondo antico dopo Ippocrate, tanto che gli vennero attribuiti - spesso a torto - oltre quattrocento scritti (ne sopravvivono un centinaio). Medico dei gladiatori di Pergamo, si trasferì poi a Roma entrando nelle grazie di Marco Aurelio, grande imperatore melanconico.

Brevissimo trattato, il Perí Melàine Chole (De atra bile nella versione latina) è scritto da Galeno per ricapitolare la propria teoria degli umori (evoluzione di quella di tradizione ippocratica) e attaccare quanti lo avevano frainteso o fatto obiezioni. Voleva l'antica prospettiva tetradica che quattro fossero gli elementi fondamentali (aria, acqua, terra, fuoco), quattro le «qualità» primarie (secco, umido, freddo, caldo). Quattro, di conseguenza - pensò Ippocrate e con lui molti altri - dovevano essere gli «umori» (chymoi), le sostanze base che componevano un organismo: il sangue (che aveva per sito privilegiato il cuore), la bile gialla (contenuta nella cistifellea), la bile nera (che passava attraverso la milza) e il flegma (secrezione biancastra che aveva come sede privilegiata il cervello). Polibo, genero di Ippocrate, spiegò come l'uomo, mirabile miscela di sostanze, era in salute quando i quattro umori si trovavano «ben temperati», miscelati in uno stato di armoniosa krasis. La patologia, al contrario, corrispondeva al dissolversi in parti separate («discrasia») di tale miscela: la separazione o l'eccessiva presenza di uno piuttosto che un altro degli umori corrispondeva a un tipo di malattia anziché un altro.

Galeno riprende e approfondisce tale dottrina e, concentrandosi sulla bile nera, tenta di mostrare come la separazione di questa nel corpo, l'«umor melancolico», possa causare malanni svariati, dalla melanconia all'antrace o l'elefantiasi. Lo fa richiamandosi all'autorità del maestro Ippocrate, cui dedica forse l'omaggio massimo per un greco, l'epiteto, antico di secoli, dei valorosi: anèr kalòs te kai agathòs, uomo «bello e buono», immacolato nel fisico come nella virtù. Ma rivendica anche, con discreta dose di narcisismo, i propri contributi originali, che molti contemporanei avevano messo in discussione definendo Galeno un «medico a parole» (e sottolineando come fosse fuggito da Roma, nel 166, appena giunta la notizia della peste).

Naturalmente, la terminologia, l'etiologia, i metodi di Galeno sono profondamente diversi da quelli tipici della medicina moderna. Considerato da molti, sino a tutto il Medioevo, come il più grande dei medici, Galeno cadde in disgrazia durante il Rinascimento per colpa di un clamoroso errore sulla circolazione del sangue. La rivoluzionaria, orgogliosa rivalutazione dell'agire da «vili mechanici», del saper fare pratico, dello sperimentare con le mani, del dissezionare e ridisegnare tipici del Rinascimento, fecero sì che Vesalio e i suoi seguaci presto scoprissero l'inesistenza dei fori che Galeno aveva detto di vedere nel setto interventricolare e la cui inesistenza sembrava cestinare l'intera teoria galenica della circolazione sanguigna. «Galenismo» passò a significare - scrive Voltaggio nell'introduzione - «medicina incentrata su idee preconcette e sprezzante di ogni genere di validazione empirica». Ma già nell'800 Galeno fu rivalutato come grandissimo fisiologo e pensatore. E il testo curato da Voltaggio dà luce al fascino e all'attualità di alcune idee del medico di Pergamo. Per esempio, la continuità fra uomo e animale, entrambi creati da un demiurgo affinché i loro corpi e il loro metabolismo fossero adatti ai rispettivi climi e usi di vita: studiare l'animale, sembra sottintendere Galeno, permette di osservare caratteristiche che, mutatis mutandis, ci aiutino a capire l'uomo. Non solo: anche se «per la medicina antica» - scrive Voltaggio nell'introduzione - «la melanconia è un male contrassegnato da delirio, spunti ansiosi e una vivace agitazione psico-motoria», mentre per la psichiatria moderna «è una sindrome mentale assai impegnativa», con forti contiguità con la depressione, «caratterizzata da angoscia, perdita dell'autostima ed aura intensamente stuporosa, tale da indurre il soggetto alla totale inazione», in entrambi i mondi culturali tratto peculiare della melanconia è «l'incapacità di accettare e di accettarsi».

E in Galeno come in Leopardi, in Shakespeare come in Pessoa, sembra possibile rintracciare un filo rosso che lega al sentire melanconico una parte importante della creazione artistica e del sentire umano. Galeno difende l'idea che la bile nera sia contenuta, seppure invisibile, anche nei corpi sani. Scrive: «certamente il corpo non possiede alcun organo che contenga la bile nera così come il fegato, in una sua vescica (la cistifellea) contiene la bile gialla, ma cadono nel ridicolo quanti credono che questa sia una prova dell'assoluta mancanza dell'umore melanconico nei corpi perfettamente sani». E altrove: «tutte queste cose attestano che l'umore melanconico è generato nel corpo dell'uomo». Ancora più interessanti i pochi indizi che Galeno lascia trasparire sulla cura della melanconia. Occorre «purgare il sangue» con l'elleboro, dice Galeno raccontando il mito delle figlie di Preto, fatte impazzire da Dioniso per averne osteggiato il culto. Ma, fra le righe, il medico dice assai di più. Perché a curare le pretidi, nota Voltaggio (che traccia una piccola ma puntuale storia della melanconia) fu Melampo. E Melampo era il fondatore di quel culto di Dioniso che le donne non riuscivano a sopportare: «il vero presidio terapeutico delle Pretidi» - sottolinea Voltaggio - «non fu il farmaco, ma la persona medesima di Melampo, in definitiva il culto dionisiaco stesso. Accettarono il culto e ritrovarono la pace delle loro anima [...] la melanconia [...] quale risanatrice di se stessa». Di nuovo, ci par di intravedere il filo rosso dello spleen letterario: innumerevoli autori hanno visto nella creazione poetica e artistica una sorta di cura dell'esistere. Frutto della melanconia, certa letteratura cicatrizza la melanconia.

Impreziosito dal testo a fronte in greco, Sulla bile nera ci pare allora interessante antidoto alle melanconie di fine estate. E ci racconta, fra le righe, il mirabile mistero - descritto da Galeno stesso in un altro, formidabile testo: il De usu partium - di come «in siffatta melma di sangue e di umori [il corpo umano], abiti tuttavia un'intelligenza».