mercoledì 10 settembre 2003

Michele Serra su Repubblica e Adriana Faranda su indymedia.org

Repubblica 10.9.03
L´AMACA
MICHELE SERRA

LEGGO cronache e commenti sul "caso Bellocchio" tentando (vanamente) di capire come mai il regista abbia tanto patito per il verdetto di Venezia, e come mai la Rai, produttrice del film, abbia goffamente appesantito una situazione già imbarazzante minacciando di disertare le prossime edizioni della Mostra.
Il cinema d´arte, come ben sa Bellocchio e come dovrebbe sapere persino la Rai, è un rischio commerciale e intellettuale. Lo si fa perché si è artisti veri, come Bellocchio, o perché si ha un ruolo istituzionale nella cultura pubblica, come la Rai. I premi, le onorificenze e i titoloni di giornale sono solo un optional, specie quando, come è accaduto al bel film di Bellocchio, si è già premiati dal pubblico e dalla critica, massima gratificazione possibile.
Se capita che una giuria preferisca un altro film, tra l´altro non volgare e non qualunque, non si vede dove stia lo scandalo. Anzi: al tempo che fu (e Bellocchio c´era) dei premi e delle medaglie importava assai poco, e quasi se ne diffidava, con l´orgoglioso e sano snobismo di chi sa di valere indipendentemente dalle occasioni mondane e dalle cerimonie di premiazione.

indymedia.org 10.9.03
Adriana Faranda e caso Moro: "Come è possibile che non ci abbiano arrestato?"
by durden Wednesday September 10, 2003 at 08:10 PM


Adriana Faranda e caso Moro: "Come è possibile che non ci abbiano arrestato?"

AL CINEMA CON L’EX BRIGATISTA ADRIANA FARANDA
“COME E’ POSSIBILE CHE NON SIANO RIUSCITI AD ARRESTARCI?”
“MORO LIBERO AVREBBE FATTO PIU’ DANNI CHE MORO MORTO”


"Forse potevano prenderci. Non posso avere una certezza, ma è una domanda che oggi mi faccio. Come è possibile che non siano riusciti ad arrestarci? Nel movimento, o all'Università di Roma, molti sapevano dove eravamo, chi eravamo. I nostri contatti con la famiglia Moro erano sotto gli occhi di molti, i nostri interlocutori noti agli inquirenti". Adriana Faranda guarda la scena in cui Roberto Herlitska-Aldo Moro scrive le minute delle sue lettere, osserva i giochi di sguardi tra carceriere e prigioniero. Valuta le parole, i tic, i dettagli. E poi quasi sobbalza per la scena in cui la terrorista Maya Sansa-Annalaura Braghetti litiga con un suo amico che le parla del dilemma di una terrorista che arriva a perdere le sue certezze.

Alla fine, quando il film è finito, scuote la testa: "Per me è bellissimo. E' incredibile come Bellocchio sia riuscito a calarsi nella nostra psicologia, nel clima di quel tempo e a scavare una verità più profonda di quella esteriore. Non mi stupisce che uno straniero possa non averlo capito: la sceneggiatura è così immersa dentro il nostro stato d'animo, che in ogni immagine racconta qualcosa, forse più agli ex brigatisti che agli altri. Lo è al punto che spiega anche a noi cose che non avevamo capito, o che abbiamo capito dopo, o che non abbiamo ancora capito nemmeno oggi. Bellocchio ha messo le Br sul lettino dello psicanalista".

Adriana Faranda, venticinque anni dopo via Fani. Adriana Faranda davanti a Buongiono notte, il film che ha infiammato Venezia. Di quella pagina di storia italiana lei è stata protagonista. Dirigente Br di primo piano, unica a dissociarsi - con Valerio Morucci - sulla condanna a morte. Ma non per questo si sente meno in causa, al contrario: si riconosce anche lei nel meccanismo descritto dal regista.

Non è stata facile convincerla a parlare: fino ad oggi aveva schivato tutte le richieste di intervista sul film. La conosco bene da anni, ho lavorato spesso insieme al suo compagno, Gerald Bruneau, francese, uno dei più famosi e fantasiosi fotografi che oggi lavorino in Italia. Malgrado questo, la sua riluttanza a vedere insieme Buongiorno notte era molto forte: "La brigatista in sala per il film sui brigatisti non mi pare una buona idea. E’ una scelta inopportuna". Sono tornato alla carica con una cassetta strappata alla produzione: "E se lo vedessimo a casa tua?". Ma i dubbi restavano: "Temo il clichè della frase rituale, l'ex br racconta…. Accade due o tre volte l'anno e poi ripetiamo sempre le stesse cose: stereotipate, tranquillizzanti per tutti, verità comode anche per noi". Eppure è stato proprio il film di Bellocchio a far sì che questa analisi impietosa non si ripetesse. Sono andato con una collega a Martignano, nella casetta di campagna dove la Faranda lavora discretamente, lontana dai riflettori e da Roma: fa la fotografa, si occupa di un progetto di solidarietà con l'Iraq, ha due cani enormi. Dopo il film abbiamo parlato, fino alle quattro del mattino. Adriana è diversa da molti altri ex br, e tende a raccontare le cose come le ha vissute allora.

Spiega i suoi ragionamenti a distanza di un quarto di secolo, ma documenta sia le cose che si sono rivelate giuste che quelle sbagliate, sia le ipotesi centrate che quelle ormai inverosimili, se non deliranti. Ripercorre le decisioni più drammatiche, la dinamica del sequestro vista da "dentro", distingue l'analisi sul piano "politico", "umano" e "storico": "tre livelli: che - spiega - si sono intrecciati, ma sono sempre rimasti divisi. Non nasconde le sue zone d'ombra, proprio lei che ha fatto 15 anni di carcere senza pentirsi. Dice cose nuove rispetto a quelle che ha scritto nel suo libro, e inizia con una piccola "rivelazione" sul film.

Bellocchio spiega che nel personaggio ispirato alla Braghetti e recitato da Maya Sansa ha messo anche cose di altri protagonisti e di sé. Ma stupisce che l’attrice abbia nel film la linea di opposizione all'esecuzione che fu tua e di Valerio Morucci. E’ una forzatura?

"Tre anni fa Marco venne da me a chiedermi se poteva adoperare il mio libro, “Nell'anno della tigre”, scritto con Silvana Mazzocchi, come palinsesto della sua sceneggiatura, come poi ha fatto con Il prigioniero di Annalaura. Mi poneva solo una condizioni: l'assoluta liberta di scrittura. Avrebbe adoperato la formula "liberamente tratto" e pensava ad un titolo che evocasse direttamente la mia storia".
Chissà, "Adriana F."… Eri onorata e hai risposto sì?

"Ero turbata e ho risposto no".

Come mai?

"Confesso, la richiesta di assoluta libertà creativa mi spaventava: la mia storia è abbastanza drammatica e complessa in sé. E sinceramente non pensavo che potesse fare uno scavo di questo tipo. Oggi ritrovo nella sceneggiatura molti dei problemi di cui abbiamo discusso all'epoca nel lavoro di Marco. E sono colpita dalla forza del film. Tutto è semplificato, ma reso con grande efficacia. Soprattutto il nodo per me più importante".

Quale?

"La metafora della nostra claustrofobia. E' vero: eravamo tutti chiusi in quell'appartamento. Tutte le Br imprigionate con Moro, asfittiche, chiuse e cieche, prive di legami con il modo reale. E’ rappresentato per la prima volta, quel nostro senso di angoscia".

Sono verosimili i dialoghi?

"Non realistici: ma la loro scarnezza evoca bene la povertà di un dibattito chiuso nella camicia di forza dell'ideologia. E’ bellissimo quel gioco di sguardi separati dalla spioncino e imprigionati in un silenzio pregno di emozioni che allude alla ricerca di un dialogo allora impossibile".

Un punto decisivo è il dramma di Maya Sansa-Braghetti, contraria alla condanna ma incapace di opporsi. Ma era verosimile, data la ferrea disciplina interna?

"Nelle Br c'era una sorta di scissione. Per capire quei processi bisogna pensare cos'è la clandestinità. Io nella vita normale posso dirti, "Andiamo a Roma perchè è bello". Ma in quel contesto bisognava motivarlo sul piano di una razionale convenienza e su quello politico-dottrinario. E’ impensabile che Annalaura dicesse: salviamo Moro perchè è un uomo: o si traduceva in una linea politica, oppure era come non dirlo".

E tu come lo dicesti?

"C'erano motivazioni che hanno senso ancora oggi e altre che si rivelarono infondate. Dicevamo che una esecuzione avrebbe autorizzato lo Stato a una rappresaglia sui detenuti, come in Germania. Lo temevo, non accadde. Poi spiegavamo che liberare Moro sarebbe stata la nostra più grande prova di forza. Citavo la convenzione di Ginevra: un conto era assassinare un "bersaglio" in azione di guerriglia, come dicevamo allora, un altro assassinare un prigioniero nutrito, lavato, vestito per due mesi".

Non è una ricostruzione ex-post, troppo edulcorata questa?
"Nel documento con cui siamo usciti dalla Br usiamo per la prima volta la parola "terrorismo": fece scandalo, anche nel movimento, era la parola dei nostri avversari. Ma non voglio nemmeno idealizzarci, far credere che fosse solo una logica umanitaria, la nostra: era anche un problema politico. Dicevo: partivamo per fare la guerra di classe e finiamo sequestratori. Eravamo nati per abbattere lo stato, siamo diventati come lui. Non è facile da spiegare, oggi".

Le Br di Bellocchio vacillano nelle loro certezze dopo il messaggio del Papa, è verosimile?

"Altro che: ricordo un impatto molto forte tra i compagni, un turbamento vero. Fu il momento in cui l'idea della condanna a morte fu maggiormente in discussione".

Ma come? Paolo VI aveva detto: liberatelo senza contropartite, e Bellocchio immagina che fosse una formula suggerita da Andreotti...

"Si, ma anche qui bisogna pesare le parole: il Papa si rivolgeva a noi dicendo: "Uomini" delle Br. Uomini, chiaro? Era un forte ribaltamento del lessico ufficiale, quello per cui eravamo solo assassini. Partiva da quegli stessi valori di umanità da cui ci eravamo mossi noi, prima di diventare una versione in sedicesimo dello Stato-nemico. Sarebbe bastato poco di più per far vacillare un'organizzazione che, come giustamente mostra Bellocchio, era sull'orlo del cedimento per le dinamiche che Moro aveva innescato. Anche il personaggio di Moretti-Lo Cascio ("capo" dei sequestratori, ndr.), pur nella sua feroce determinazione, dubita. E io sono convinto che sia vero, Mario era così. Bastava un gesto, anche slegato dalle nostre richieste, chessò, un cambiamento nelle condizioni di detenzione dei politici... se ci fosse stato, le persone come Annalaura avrebbero avuto la forza di opporsi, invece di vivere solo il dramma interiore che Bellocchio racconta benissimo, con l'associazione simbolica tra lettera di addio di Moro alla moglie Noretta, e le lettere dei condannati a morte della Resistenza".

E’ credibile una brigatista che associa le SS naziste alle sue Br? Due anni dopo la stessa Braghetti che dubita ucciderà Bachelet!

"Sì, io credo al dramma di Annalaura, la conosco. C'è quella frase, nel film, che un amico (Paolo Briguglia), le dice: "Non vuoi uccidere Moro ma non puoi opporti, non puoi chiamare la polizia, puoi solo impazzire... Questa condizione l’ho vissuta: sei un né-né, ti si rompe qualcosa dentro, ma non puoi passare dall'altra parte, tradire i tuoi compagni. Nel film il Moro di Bellocchio dice: "Anche la vostra è una religione". Verissimo, eravamo come una chiesa: e se non abiuri non esci dalla chiesa".

Devo chiederlo in maniera più netta. Avevate pianificato il sequestro, era il vostro atto più importante: le parole di Moro potevano farvi piangere?

"Moro aveva una sua lingua che stupì da subito Moretti. Eravamo partiti per processarlo, e non riuscivamo ad incastrarlo. Moretti ci diceva: "E' elusivo, sfugge il confronto, mi porta in giro...". Questa diversità ci scosse. Ma la lettera di Moro alla moglie fu uno choc: quella lingua bizantina diventasse improvvisamente così diretta, toccante... è una cosa che ti stupisce, e può spaccarti il cuore. Su me, su molti di noi ebbe questo effetto".

Non era fino a poco prima il capo del Sim, il fantomatico Sistema internazionale delle multinazionali caro al brigatese?

"Sì, ma di questo Sim non emerse traccia negli interrogatori, e il fatto ci deluse molto. Saltò fuori Gladio, che non era poca cosa. Ma non era il legame politico economico che era alla base della nostra teoria,. E invece usciva la carica umana di quest'uomo, che noi vedevamo scaricato da tutti i suoi amici, dal sistema in cui aveva creduto. Lo pensavamo l'uomo-chiave del potere, e dopo non potevamo non vederlo come vittima di quello stesso potere. Ecco perchè molto freddamente usavo l'argomentazione - politica, non umanitaria - che a quel sistema Moro libero avrebbe fatto più danni che Moro morto".

Eri nel vertice che decise. Ma chi decise? Pare incredibile che si scelse solo in base dei resoconti di Moretti e dei carcerieri. Quale fu il meccanismo?

"Si sondarono le colonne e seppi che la maggioranza dell'organizzazione era per l'esecuzione: non sapevo quante Annalaura ci fossero, contrarie ma disciplinate. A Roma ci opponemmo solo in due".

Si decise col.... "maggioritario"?

"Se aiuta a capire... a maggioranza sì: il parere delle colonne fu unanime, ma nessuno ha mai saputo in quanti si opposero".
La tua riflessione sul mancato arresto prende spunto da uno dei sogni della brigatista nel film, quello in cui lei e Moro stanno uscendo dalla porta di casa e la trovano piantonata da un plotone di agenti che li bloccano....

"Immagine straordinaria. Marco rappresenta così il paradosso delle forze dell'ordine che non riuscivano trovare Moro, e che per lui non lo volevano trovare. Io oggi sono sicura che persone come Cossiga, si adoperarono al massimo delle loro possibilità. Certo, di lettere di Moro io e Valerio ne abbiamo recapitate decine. Una l'abbiamo messa persino davanti a casa di Giulio Andreotti, a Corso Vittorio Emanuele, perchè giocavano d'azzardo, perchè volevamo... "toccargli il naso". Ma i nostri destinatari erano sorvegliati, erano sempre gli stessi, il segretario di Moro e i suoi collaboratori più stretti. la procedura si ripeteva sempre... ecco, io vedo quella scena del film e penso. Come è possibile che non ci abbiano preso?".

Lo pensavi anche allora?

"No, non lucidamente, ci credevamo invincibili. Certo, quando incontravamo Lanfranco Pace gli facevamo fare cento giri, ma come è possibile che nessuno lo pedinasse? Prima del sequestro fecero irruzione nella mia vecchia casa dove e sapevano che ero nel direttivo, o come si chiamava. Possibile non sapessero chi fossero gli altri? Ad esempio Roberto Seghetti che non era nemmeno latitante? Certo, forse non era automatico arrivare fino a Moro, ma fino a noi sì: eravamo noi l'anello debole della struttura clandestina".

Non ti posso non fare la domanda più importante. Ti pare possibile che Moretti potesse essere un infiltrato?

"No".

Ne sei così sicura? E' incredibile quanto potere ha avuto. Quanto peso ha avuto in quelle scelte...

"Questa storia la sostiene Alberto Franceschini, ed ha una radice chiara: dividere un prima e un dopo. Le Bierre buone dei vecchi tempi e quelle cattive del sequestro. Le Br che non uccidono e quelle che non uccidono... a me pare una sciocchezza . E poi Moretti si sarebbe fatto vent'anni di carcere per custodire questo segreto? Perchè mai? Con quale contropartita? L'avessero messo fuori avrei potuto capire. No, la verità invece è una, e una sola, purtroppo: e la risposta sta nel film".

In che senso?

"Perchè come ti spiega Bellocchio, quel delitto è nato è cresciuto dentro le bierre: sostenuto da una logica ferrea, dentro la nostra visione del modo, il nostro modo di pensare e agire, le nostre scelte. I condizionamenti esterni ci possono essere stati e come vedi sono la prima a non escluderli. Ma nessun infiltrato da solo avrebbe potuto fare tutto questo. Moro lo abbiamo ucciso noi, mica i servizi".

In questi anni hai mantenuto un rapporto stretto con la figlia dell'uomo che hai sequestrato, come è possibile?

"Preferirei non parlarne troppo. Ma Maria Fida ha avuto un coraggio incredibile allacciando questo rapporto con noi quando ancora eravamo in carcere: quando veniva a trovarci subì critiche spietate, soprattutto dai familiari delle vittime della scorta".

E se davvero Moro avesse fatto quella passeggiata da uomo libero, come volevate tu e Morucci?

"Sarebbe stata un'altra storia. La trattativa avrebbe messo in crisi il regime che volevamo abbattere, ma anche le Br. Io di questo oggi resto convinta".

Non ho ancora capito se, per restare nella metafora ecclesiale, Adriana Faranda sia una "convertita" o una "spretata"....

"Spretata perché non ho più e non cerco un'altra chiesa, e quelle che vedo oggi, in giro, non mi paiono meglio. Sono riconvertita alle ragioni del dialogo. Ma sopratutto sono tornata al primato del diritto alla vita. Allora ero accecata dalle certezze, e che ora non vedo più una linea netta di demarcazione tra bene e male, dove io sto dalla parte del bene e gli altri al di là del confine".