venerdì 20 febbraio 2004

letteratura cinese
e giapponese

L'Eco di Bergamo 19.2.04
Giappone e Cina, due grandi letterature ancora tutte da esplorare
di Angelo Z. Gatti


Estremo Oriente: fascino, magia, mistero? Ha senso parlare ancora di esotismo? In epoca di telecomunicazione e di globalizzazione sono tutte espressioni ormai consunte. In più, essendo la terra rotonda, dove finisce l'Occidente e dove incomincia l'Oriente? Ponetevi davanti a una cartina geografica con al centro, per esempio, il Giappone o la Cina: vedrete l'effetto che fa. Paesi lontani in termini di spazio sono raggiungibili, sugli schermi, in tempo reale e, viaggiando, con ben poche ore di volo.
Dieci anni fa per arrivare in Giappone occorrevano diciotto/venti ore, oggi ne bastano dodici. Eppure se si apre anche un solo spiraglio sulle civiltà e sulle culture di Giappone e di Cina, si ha l'impressione di trovarsi dinnanzi a pianeti ancora da esplorare. In specie se si affrontano le opere dei periodi classici.
Uno dei primi documenti scritti della letteratura giapponese è una delicatissima fiaba risalente al X secolo d. C.: la «Storia di un tagliabambù».
Di autore anonimo e pervasa del senso buddhista dell'impermanenza, narra l'avventura terrena di una principessa lunare trovata da un boscaiolo dentro il tronco di bambù. In italiano si trova presso Marsilio, tradotta da Adriana Boscaro.
La grande stagione della narrativa nipponica è dovuta alle scrittrici attive intorno all'anno Mille, che scrivono nella lingua parlata, il volgare, a differenza dei nobili e dei funzionari che usano esclusivamente il cinese.
Sono le dame di corte Murasaki Shikibu, Sei Shonagon, Izumi Shikibu con i loro romanzi e i loro diari. Alla grandissima Murasaki Shikibu si deve il capolavoro della classicità nipponica e il primo romanzo psicologico della letteratura mondiale: la «Storia di Genji» (Einaudi). Sei Shonagon è invece celebre per le «Note del guanciale» (Guanda), arguti appunti quotidiani.
I secoli che vanno dal XIV al XVIII sono il periodo d'oro del teatro classico giapponese: il No, originato dalle danze che si tenevano nei templi shintoisti e buddhisti (recitazione, canto, musica, danza), ieratico e stilizzato; il kabuki, il teatro popolare per eccellenza, di grande effetto per gli allestimenti, per gli intrecci a volte complicati, per i colpi di scena, per i costumi; il bunraku, il suggestivo teatro dei burattini (i manovratori sono in vista sul palcoscenico vestiti di nero) che si ispira alle storie e alle leggende tradizionali.
Per la Cina sono universalmente note le «Trecento poesie T'ang», un'antologia compilata agli inizi del XVIII secolo attingendo alle circa cinquantamila composizioni del periodo dal 618 al 907. Vi figurano Li Po, Tu Fu, Wang Wei, Po Chu-i. È poesia lirica nell'esprimere felicità, tristezza, nostalgia, rimpianto, è poesia descrittiva (stagioni, natura, vita quotidiana), è poesia d'amore.
Durante le dinastie Ming e Ch'ing vengono composti i grandi e lunghi romanzi classici cinesi: «In riva al fiume», di difficile attribuzione, storia delle avventure di una banda di briganti (è conosciuto proprio col titolo «I briganti», da Einaudi), «Il viaggio in Occidente», di Wu Cheng'en (nei Classici Rizzoli), noto anche come «Lo Scimmiotto» perché il protagonista, un monaco che si reca in India per raccogliere i testi sacri buddhisti, è accompagnato da una grossa e simpatica scimmia, e i due capolavori di contenuto erotico il «Chin P'ing-Mei», attribuito a Wang Shih-Chen (Einaudi e Feltrinelli), e «Il Sogno della Camera Rossa», di Ts'ao Hsueh-Ch'in (Utet), le vicende galanti di gaudenti libertini e di donne bellissime, con fini moraleggianti. Da divertirsi.