sabato 11 settembre 2004

da Venezia
Antonioni, De Oliveira, Caprara

Corriere della Sera 10.9.04
Finalmente «Eros», ma Antonioni voleva cambiarlo
«Insoddisfatto del finale con le donne nude». La gaffe di un errore tecnico durante la proiezione
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

VENEZIA - Michelangelo Antonioni è un bellissimo vecchio signore del cinema. Sta in carrozzella, non può parlare, ma agita la mano, guarda negli occhi, riceve commosso giuste ovazioni, punta all’Oscar per il meraviglioso documentario sull'altro Michelangelo, lo scultore, che inizierà un tour nelle cattedrali italiane, magari finendo in gloria in San Pietro. In più, appena può, Michelangelo corteggia ragazze, insistendo che è un istintivo, non intellettuale come abbiamo creduto per anni. Quando la Ranieri ha bussato a casa sua, per un caffè le ha chiesto di alzare la sottana. «E’ nato per il cinema e le donne» dice divertita la moglie.
Ieri alla Mostra è stata la sua gran giornata con Eros , e per lui è stato come tornare a casa. Puntata precedente: il maestro ha girato, due anni fa, in una Capalbio magistralmente ripresa da Marco Pontecorvo, l'ultimo dei tre episodi del trittico eretico ed erotico diretto anche da Soderbergh e Wong Kar Wai, che la Fandango manderà in sala il 3 dicembre. Un incidente tecnico surreale ha ieri aggiunto un quarto autore: alla proiezione stampa, accolta con contrasti, nell'episodio di Soderbergh è stato inserito per errore un rullo del film di giovani Stryker tra l'ironia feroce del pubblico.
Il film, passato tra vicissitudini legali e la rinuncia di Almodóvar troppo preso dalla Mala educación , è così in ritardo che Antonioni, cui i suoi film piacciono sempre dopo (pare abbia apprezzato ora in tv Deserto rosso , chiamandosi matto) lo vorrebbe già cambiare. Lo racconta sua moglie: «Lui dice che ha fatto un piccolo film. Avrebbe voluto cambiare il finale, girarlo di nuovo. Ma lui è sempre stato così: difficilmente ha amato subito i suoi film». Avrebbe voluto aggiungere anche l'uomo, complicando le traiettorie sentimentali, nell'incontro finale sulla spiaggia tra le due ragazze ignude, birichine e poeticamente danzanti. Avrebbe voluto, terrorizzando i produttori, inserire, oltre a raffinati effetti speciali fatti da Lucas, l'impaurito Christopher Buchholz (figlio di Horst, eroe dei Magnifici 7 ) tra le disinibite Regina Nemni, nei panni di una moglie che non accetta di essere banale e Luisa Ranieri, famosa per lo spot in cui ha caldo e poi freddo. L'attore è ancora preoccupato del rischio corso: «Ci dovevano essere scene più spinte, Antonioni voleva filmare il mio membro in erezione». Le due ragazze sono invece grate e contente: non si sarebbero spogliate per altri, ma per lui sì.
Certo, ci voleva un regista quasi novantaduenne (li compie il 29 settembre) per fare un po' di sesso: «Il film è come far l'amore con Michelangelo - dice la moglie -: è elegante, discreto, senza nulla di torbido. Ma da quando ha girato Eros è ancora cambiato, ora gode di una grande libertà di esprimersi, specie con la pittura: dipinge 6 ore al giorno». Il maestro ha infatti ancora nelle immagini un segno prepotente che lascia nella storia, interiorizzandola come per incanto: nel film tutto quello che tocca è sensuale, le auto, i volti, i paesaggi. Precisa il poeta e sceneggiatore Tonino Guerra contraddicendo il suo spot del «come si fa a non essere ottimisti»: «In questi tempi brutti mi piace il devoto, tenero omaggio di Antonioni alla natura».
Se l'oggetto sensuale di Antonioni (intestata a lui anche la canzone dell'amico di famiglia Caetano Veloso) è il piede della Ranieri, assaggiato dito per dito dal ghiotto Buchholz, altrettanto indimenticabile è la mano dall'unghia laccata di rosso di Gong Li, che si insinua peccaminosa tra pieghe dei pantaloni del giovane sarto nel magnifico e finalmente torbido, episodio di Wong Kar Wai che riconosce in Antonioni la fonte della sua ispirazione. Che, assente, manda a dire: «Abbiamo lavorato con l'incubo della Sars, a Hong Kong, anche a oltranza per 48 ore di seguito, ogni giorno pulendoci le mani e mettendo le maschere, senza contatti tra noi: è proprio tutto ciò che mi ha ispirato un film sul tatto». Che tatto, Gong Li. Anche l'attore, Chang Chen, arrossisce e ammette: «Prima del film la mia visione del sesso era molto ristretta, ero depresso: ora è cambiato tutto».
Steven Soderbergh, autore di Ocean's eleven e anche del Twelve , il sequel, ha firmato l'episodio centrale freudiano alla Woody Allen, datato al 1955, perché ogni generazione crede di essersi inventata un sesso nuovo: «La proposta era allettante, firmare accanto ad Antonioni un onore, l'ordine degli episodi l'abbiamo stabilito con Michelangelo a casa sua, ma il problema era cosa scegliere in un tema così vasto. Ho voluto il sogno perché solo qui l'attività erotica è onirica e libera, non puoi controllarla».
Maurizio Porro

Repubblica 11.10.04
NUDI E CRUDI
A ciascuno il suo eros
NATALIA ASPESI

COSA è l´eros per Wong Kar-wai? Una imperiosa mano di donna che si insinua tra le gambe nude di un uomo atterrito tra timidezza e piacere. Cosa è l´eros per Soderbergh? Andare a letto con una bellissima e sognare di andare dallo psicanalista a raccontarglielo in forma di sogno. Cosa è l´eros per Antonioni? Una coppia in crisi, una scopata con una sconosciuta, definita "avventura mentale".
I tre episodi del film "Eros" sono un test erotico per gli spettatori. I maschi soprattutto se di fantasia sessuale corrente, stanno certamente con Antonioni che intitola "Il filo pericoloso delle cose" il nudo popputo di due donne, una si masturba, l´altra danza, poi si incontrano. Le donne non hanno dubbi, stanno con il languore romantico cinese, vorrebbero avere gli abiti meravigliosi di Gong Li ed essere amate devotamente dal delicato Chang Chen. "La mano" si intitola l´episodio, e mai si videro mani più disperatamente carezzevoli. Chi ha smesso di desiderare può divertirsi con l´ironia americana, con l´"Equilibrium" di Soderbergh: l´oggetto erotico è un parrucchino sulla testa di Alan Arkin, la simbologia analitica una freccia di carta nel vuoto, la donna da sognare tutta vestita, con cappello, veletta e guanti lunghi.

Repubblica 11.9.04
Leone alla carriera al regista portoghese che presenta fuori concorso "Il quinto impero"
De Oliveira: re Sebastiano tra storia e memoria
Mette in scena un'antica leggenda alle cui origini c´è la vera storia del Portogallo
Ricardo Trepa, nipote del regista, è il giovane re che passa la notte pianificando il suicidio
ROBERTO NEPOTI

VENEZIA - Alla Mostra per ricevere il Leone d´Oro alla carriera, Manoel de Oliveira continua a viaggiare al ritmo di uno-due lungometraggi l´anno. Dopo Il quinto impero, che ha presentato fuori concorso al Lido, il novantaseienne regista portoghese sta già lavorando a un altro paio di progetti. Frattanto, la nuova opera del grande Manoel si è manifestata ai festivalieri in tutta la sua magica, evocativa ieraticità. Adattamento del dramma di José Regio (un autore morto nel 1968, ma capace di scrivere come i drammaturghi del XVI secolo), il film mette in scena un´antica leggenda alle cui origini c´è la vera storia del Portogallo: de Oliveira ce l´aveva già narrata, brevemente, per bocca della protagonista di "Un film parlato". È la vicenda del re Sebastiano, che sognò l´unificazione di tutto il mondo sotto un impero cristiano, condusse l´ultima crociata contro l´Islam, fu sconfitto e morì in battaglia. Secondo il mito (presente anche nella cultura musulmana, dove il re cattolico è sostituito dal dodicesimo Imam), Sebastiano tornerà un giorno a portare la pace, come un´apparizione uscita dalla nebbia.
Nella bella interpretazione di Ricardo Trepa, nipote del regista, il giovane re passa la notte vagheggiando il suo progetto suicida. Congedati consiglieri, cortigiani e buffoni, riceve la visita dei fantasmi delle antiche teste coronate, nonché di un profeta, il Calzolaio Santo (lo interpreta Luis Miguel Cintra, l´attore-feticcio del regista), che gli preconizza il fallimento della sua utopia. All´alba la decisione è presa: l´esercito portoghese marcerà verso la disfatta di Alcacer-Quibir.
Sono due ore di sublime esercizio stilistico, racchiuso in un unico contesto (il castello), tra il calar delle tenebre e il sorgere del sole. Un film in costume, dunque; un film «difficile», dove le preoccupazioni etiche vanno di pari passo con il rigore estetico. Tutt´altro che un film fuori del tempo, però: lo specifica l´eloquente sottotitolo «Ieri come oggi». «Ci sono due cose che rispetto da sempre - dice il regista - e cioè la Storia e la memoria, senza le quali non potremmo capire il presente. All´epoca di Sebastiano, il culmine della gerarchia dei valori era rappresentato da Dio e dal Papa; oggi c´è un nuovo tipo di religione: l´ateismo». Eppure, gli obiettiamo, il fanatismo religioso genera crociate anche ai nostri giorni. «Il mondo musulmano non ha la croce, ma il terrorismo, cui ricorre per la sua inferiorità tecnologica e militare rispetto all´Occidente. Però il terrorismo, irrazionale, è la strada sbagliata, come lo è ogni genere di guerra. Nel film ho voluto mostrarlo con la spada di Sebastiano che, gettata a terra, vibra come un serpente».
Cosa dire, allora, del Presidente americano, che parla della guerra in Iraq come di una crociata contro il Male? «Quello di Sebastiano, il re Annunciato, era il sogno di conquistare il mondo per portare la pace. Folle, ma sorretto da un ideale religioso, da una fede; dal desiderio che Dio lo amasse. L´"ideale" di George Bush è solo d´imporre a tutti la forza e la volontà dell´America». Chiediamo allora a de Oliveira quale sia il ruolo, in tutto ciò, di un film come il suo che, con l´impianto teatrale e le battute declamate, si pone agli antipodi del tipo di denuncia alla Michael Moore. Come spesso accade quando s´incontra il quasi centenario maestro, la risposta è sorprendente. «Ai tempi della tragedia greca, non solo autori e attori erano pagati per rappresentarla, ma anche il pubblico per vederla: perché la tragedia aveva una funzione educativa, da applicare nella vita pratica. Poi fu il pubblico a pagare per assistere agli spettacoli e, da allora, si è scesi sempre più in basso».

Il Mattino 11.9.04
FUORI CONCORSO
Cortometraggi d’autore nel segno del manierismo
DALL'INVIATO
VALERIO CAPRARA

Venezia. In dirittura finale il concorso si fa leggero leggero, è il momento di divertirsi col TotoLeoni. Riflettori puntati, dunque, sugli invitati d'onore, tra cui spiccava l'atteso trittico «Eros» scandito dai cortometraggi di tre big dell'erotismo d'autore. Come spesso succede, però, alle operazioni troppo premeditate, il film non è risultato all'altezza delle ambizioni e in assenza di un filo conduttore creativo o espressivo toccherà al lanternino personale d'ogni spettatore farsene una ragione: se gli infiniti risvolti dell'argomento non potevano certo esaurirsi nell'occasione, è certo che gli esploratori dell'enigma amoroso saranno ancora più disorientati al termine della proiezione.
Ne «La mano» il maestro cinese Wong Kar Wai rimette in scena le sue preziose e apprezzate visioni: nella Shanghai del 1963 l'apprendista sarto Xiao (Chang Chen) è sedotto dalle misure del corpo di Miss Hua (Gong Li), altera e conturbante prostituta d'alto bordo... Passeranno gli anni, ma la feticistica dedizione dell'uomo resta inalterata anche quando il destino cinico e baro ha deciso di chiudere i conti con la traviata dagli occhi a mandorla e dalle mises da urlo. Wong Kar Wai è come al solito insuperabile nell'attorniare gli amanti sfortunati di luci ambigue, piogge opprimenti, echi di canzoni strazianti, ma questa volta lo stile impressionistico arriva a «mangiarsi l'anima» del racconto, a renderlo simile a un'auto-citazione d'impeccabile manierismo.
«Equilibrium» di Steven Soderbergh è ancora meno significativo, uno sketch grottesco che contrappone il pubblicitario Robert Downey Jr. ossessionato dal sogno di una bella sconosciuta al suo psicanalista Alan Arkin che, durante la seduta d'analisi, invece di ascoltarlo si dedica a spiare dalla finestra dello studio qualcosa di travolgente. Michelangelo Antonioni - a cui è dedicata la canzone originale di Caetano Veloso che scorre sui disegni di Lorenzo Mattotti che fungono da raccordo degli episodi - ritorna con «Il filo pericoloso delle cose» alla scomposizione poetica delle immagini. Una coppia di quarantenni in crisi si rinfaccia ogni male deambulando tra le dune e il retroterra di Capalbio, quando, all'improvviso, l'uomo viene attratto dall'apparizione di una ragazza. Interpretata con slancio voluttuoso dall'emergente Luisa Ranieri, la messaggera di un erotismo libero e innocente rivitalizza concretamente il fortunato; ma, quando sarà partito e ormai lontano, le due donne intrecciano nude sulla spiaggia un balletto dalle tonalità metafisiche e rituali. Peccato che la sequenza, oltre a dover subire il discutibile timbro dello sceneggiatore Tonino Guerra, finisca col suggellare l'intero film in chiave di forzature estetizzanti e pretestuoso poeticismo.
Ci perdonino gli intellettuali in servizio permanente, ma ben altra euforia ha comunicato l'anteprima mondiale di «Shark Tale», il lungometraggio d'animazione in 3D con cui la Dreamworks di Spielberg risponde all'exploit di «Nemo». Magari l'ambientazione sottomarina suggerisce sospetti, ma al di là del plagio industriale i registi Jenson & Bergeron e gli sceneggiatori Letterman & Wilson hanno avuto la mano felice nello sciorinare fantasia eccentrica e ritmo travolgente. Grazie anche alle voci originali (i doppiatori vanno da De Niro a Scorsese, da Will Smith a Jack Black, dalla Zellweger alla Jolie), il film non si limita a fare il verso al gangster-movie, ma s'inventa una commedia che trasforma le avventure della barriera corallina nella spassosa e intelligente parodia di vizi e virtù di una metropoli occidentale postmoderna.