venerdì 17 settembre 2004

IV Festivalfilosofia
...dal 2000

Corriere della Sera 17.9.04
I filosofi tornano a invadere le strade di Modena, Carpi e ...

I filosofi tornano a invadere le strade di Modena, Carpi e Sassuolo. Si apre oggi il IV Festival della filosofia, dedicato quest’anno al tema «il mondo». In tre giorni - la manifestazione si concluderà domenica 19 - sono previsti oltre 150 incontri, 40 lezioni magistrali e dibattiti, 16 mostre. Agli appuntamenti in piazza o alle «conversazioni da panchina» con gente comune e appassionati, alcuni studiosi di fama mondiale: dall’antropologo Marc Augé all’africanista Jean-Loup Arselle, dal regista Peter Greenaway a Jonathan Friedman. Numerosi anche gli interventi dei pensatori italiani come Massimo Cacciari, Emanuele Severino, Remo Bodei e Gianni Vattimo. La manifestazione, che nel 2003 ha fatto registrare 75mila presenze, è diventata «un momento d’identità per le nostre città, grazie alla sua impronta molto originale, un momento vissuto collettivamente» - ha sottolineato Giorgio Pighi, sindaco di Modena.

La Stampa 17.9.04
INCONTRI, IDEE, SPETTACOLI: SI APRE IL FESTIVAL DI FILOSOFIA
Da che mondo non è più mondo
In Occidente ha vinto l’arroganza del realismo
ma possiamo ritrovare la libertà di sogni e utopie
Ermanno Bencivenga

CHE cosa si dice quando si dice «mondo»? Quando, per esempio, uomini e donne «di mondo» spiegano come va il mondo e come si sta al mondo; quando chi non è al passo con la loro concezione «realistica» dei fatti è accusato di colpevole ignoranza e di infantile idealismo; quando per confutare «favole» e «sogni» si evoca l'immagine rigorosa e impietosa della «scienza»?
Sullo sfondo di queste arroganti dichiarazioni ci sono quattro presupposti filosofici (di stampo realista) che hanno dominato il campo per l'intero corso della civiltà occidentale, violando e tacitando ogni voce alternativa. Primo, tutto ciò che esiste ha una struttura e proprietà definite, è quel che è e non un'altra cosa, e rispecchiarne fedelmente proprietà e struttura è il compito della conoscenza. Secondo, il mondo è unico, è un universo. Quando parliamo di altri mondi possibili, parliamo di ipotesi, finzioni o idee nella mente di Dio; poi sarà meglio tornare con i piedi per terra e fare i conti con la sola vera realtà. Terzo, il mondo è regolato da leggi deterministiche, che sanciscono l'inflessibile procedere degli eventi e consentono a chi ne è al corrente di prevedere con assoluta certezza il futuro. Quarto, il mondo ha una natura materiale e chi non le mostra sufficiente rispetto si farà male, perché la materia è dura e impenetrabile e se ci sbatti contro ti provoca lividi e ferite.
I presupposti del realismo hanno avuto profonde conseguenze politiche: di quella politica dell'esperienza e della comunicazione di cui gli stanchi riti della politica istituzionale non sono che risapute, volgari drammatizzazioni. Una volta installatisi nell'immaginario popolare, essi hanno chiuso il discorso sul mondo, riducendolo a un ambiente inerte ed estraneo, sordo ai nostri richiami, inaccessibile al dialogo, sensibile solo all'esercizio brutale del potere. In tale ambiente, la nostra stessa umanità è stata costretta a una condizione sempre più precaria e arrischiata: anche noi siamo parte del mondo, quindi in un mondo di oggetti privi di vita anche noi facciamo fatica a non diventare entità inanimate, a difendere la credibilità di un nostro presunto stato eccezionale. Non solo rocce e fiumi sono manipolabili a piacere, ma lo sono in misura crescente anche le cellule vegetali e animali, i nostri organi di percezione, le nostre preferenze e le nostre emozioni, i nostri vizi e le nostre virtù. Presto non sapremo più distinguerci da un robot ben congegnato.
La versione più recente del realismo ha avuto origine non più di quattro secoli fa. Negli anni '80 del Cinquecento Giordano Bruno stava ancora elaborando l'ultima grande cosmologia animista, in cui culminava un periodo (quello rinascimentale) che aveva visto un ribollire di proposte audaci e fantasiose, attacchi furibondi a ogni autorità, il crollo delle vecchie categorie e il lampeggiare vigoroso di infinite, sorprendenti possibilità. Il Seicento si apre, significativamente, con il rogo di Bruno, e di lì a poco comincia a costituirsi, intorno alla "nuova scienza", una nuova struttura di potere. Bacone consiglia di torturare la natura per estrarne i segreti; Galileo la "legge" come un modello geometrico; Cartesio, Spinoza e Leibniz l'assimilano sempre più a un orologio, ai giochi d'acqua di una fontana, a una marionetta. E da scienziati e filosofi questa visione meccanicistica filtra nei discorsi e nelle aspettative dei profani, convalidando la spocchia con cui vengono irrise le «ideologie», messi in fuga gli «utopisti».
Si tratta, però, di una visione che fa acqua da tutte le parti, e a suggerirlo non sono mistici di retroguardia o santoni new age; i segnali vengono dal cuore stesso di quella scienza che del realismo rappresenta la giustificazione (o l'alibi) più frequente. Vengono dalla meccanica quantistica, che da un secolo ormai è la teoria fisica fondamentale. Ogni corpo, afferma la dottrina dei quanti, è in ogni momento non in un singolo stato ma in una sovrapposizione di stati distinti, ciascuno dotato di un suo valore (o coefficiente). Un elettrone, per esempio, non ha velocità x e posizione y; ha invece (diciamo) 3/8 di velocità x1, 1/8 di velocità x2, ... e 1/3 di posizione y1, 1/3 di posizione y2, ... Quindi, primo, tutti i corpi esistenti al mondo, e il mondo nel suo complesso, non sono strutture definite: sono quel che sono e anche un’altra cosa - indefinite altre cose, tutte contemporaneamente. Secondo, il mondo non è unico: il possibile ne fa parte, è presente e attivo, anzi ha un preciso coefficiente di presenza e di attività. Il mondo è fatto non di oggetti inerti ma di mondi, di opzioni diverse che non cessano mai di esercitare il loro positivo influsso.
E non è finita. Quando un corpo viene osservato, recita sempre la meccanica quantistica, esso immediatamente "collassa" da una sovrapposizione di stati a uno stato definito, in modo non deterministico ma casuale. Quando viene osservato da chi? Da una mente umana? Da un topo (l'esempio è di Einstein)? Da un altro corpo qualsiasi? La teoria non risponde; non esiste per ora nessuna soluzione per questo "paradosso della misura". Il quale però, mentre nega il determinismo, invita anche a pensare (e alcuni fisici ci hanno effettivamente pensato - fra loro David Bohm) a un mondo in cui circola costantemente informazione, in cui le particelle e i loro composti comunicano costantemente, in cui l'anima non è isolata nella riserva indiana di un qualche regno dei cieli. Un mondo che, infine, ha ben poco di materiale, perché le componenti ultime della materia sono «oggetti» privi di massa, distinti l'uno dall'altro solo in base alla loro organizzazione formale. Diceva Werner Heisenberg che «gli atomi non sono cose». Non lo sono, cioè, nel modo in cui il realismo intende le cose. Sono vivi, attivi, non cessano mai di riqualificarsi e ridefinirsi.
L'esito del realismo è quello di limitare la nostra libertà. Se quando «veniamo al mondo» i giochi sono già tutti fatti e dobbiamo solo prenderne atto, se dappertutto troviamo i paletti di una realtà fissa e precostituita, allora conviene piegarsi a tale realtà e magari cercare di trarne un piccolo profitto personale. Ma questa è solo propaganda: il mondo viene al mondo in ogni istante, nasce in ogni istante da scelte e interazioni libere che a un occhio determinista non possono che apparire casuali. Ciò vale per le particelle elementari e, dovremmo rendercene conto, anche per la nostra esistenza individuale e sociale. E dovremmo renderci conto che a farci male non è un'ottusa materia ma la nostra incapacità di comunicare fra noi, e con tutto il resto dell'essere.