giovedì 2 dicembre 2004

week end
Alberto Giacometti a Ravenna

Corriere della Romagna giovedì 2 dicembre 2004
Giacometti, la scultura come negazione della vita
di Enzo Dall’Ara

Il Museo d’Arte della città di Ravenna organizza in collaborazione con la Fondation Maeght di Saint-Paul de Vence e la Fondazione Mazzotta di Milano una grande mostra dedicata ad Alberto Giacometti. Il progetto espositivo, ampio e articolato, darà conto di Giacometti, assoluto protagonista della scultura contemporanea, ma anche straordinario pittore così comefine disegnatore e incisore di rara sensibilità. Si tratta della più vasta mostra mai realizzata prima in Italia dedicata all’artista svizzero, grazie ai numerosi prestiti eccellenti, a partire dal nucleo centrale delle opere della Fondation Maeght, dalla Kunsthaus di Zurigo e a numerosi lavori provenienti da collezioni private. Le oltre cento opere scelte dai curatori permettono di ricostruire il percorso di Giacometti attraverso sculture, dipinti, disegni fornendo un completo quadro dellacomplessa personalità espressiva di un artista che come pochi altri ha suscitato l’interesse di filosofi e scrittori quali Jean-Paul Sarte, Simone de Beavouir, Samuel Beckett.

la mostra delle opere di Alberto Giacometti resterà aperta fino al 20 febbraio 2005
per infomazioni e per la prevendita dei biglietti ci si può collegare al seguente indirizzo:
http://www.museocitta.ra.it/mostre/giacometti.htm


Scorre un filo rosso fra Rodin, Bourdelle e Giacometti: essi formano una trilogia di transizione formativa che, nelle diverse personalità, si svolge su un simbolismo scultoreo dipanato nel segno della memoria. Se Rodin supera il tradizionale concetto di monumento per concentrare l’attenzione sul particolare della statua singola, Bourdelle riprende l’aspirazione monumentale, seguendo una stilizzazione formale evocante gli archetipi arcaici della scultura greca e romana. Giacometti torna a definire una netta avversione per il monumentale, volgendosi alla statuaria primitiva, in una semplificazione estrema, elementare e simbolica della forma. La tensione a ridurre l’opera d’arte alla scarna essenzialità di una lastra, modulata soltanto da accennata concavità e convessità, esprime l’anelato superamento della materia, per rivelare la pura componente intangibile dell’essenza. Per l’artista risulta fondamentale la percezione di uno spazio non astratto, non assoluto, ma determinato dalla presenza umana e quindi dischiuso ad ogni eventualità. Nella sua arte sembra affermarsi la convinzione di Medardo Rosso, secondo cui la statua è avvertita come “espressione della negazione della vita”. La splendida mostra, attualmente dedicata al grande artista svizzero dal Museo d’Arte della Città di Ravenna e puntualmente allestita alla Loggetta Lombardesca, percorre l’intero iter creativo di Giacometti scultore, pittore, disegnatore e incisore. Gli esordi più significativi avvengono secondo esperienze cubiste e astratte, permeate di suggestioni dell’arte africana, in particolare dell'etnia Dogon, o di fascinazioni della civiltà preellenica e, più precisamente, cicladica. Quando, nel 1930, lo scultore si volge all'avanguardia surrealista, le opere si caricano, invece, di visionarie evocazioni dell'inconscio e di sottese ma veementi indicazioni erotiche. La rottura col gruppo dei surrealisti, nel 1934, causa un lungo e critico periodo di isolamento, in cui l'artista realizza alcuni considerevoli dipinti e trova nel disegno, sempre considerato parametro fondamentale nell’opera d’arte, la potenzialità di assegnare forma concreta all’immagine. Alle opere pittoriche e disegnative, incentrate sui ritratti delle persone più care, sul luogo delle origini e sull'interno del suo studio, Giacometti affida valori di intimo colloquio, di confessione affettiva di sentimenti mai sopiti.Anche le opere litografiche di “Paris sans fin”, realizzate dal 1959 in poi, costituiscono una raccolta imperniata sulla narrazione evocativa di zone e ambienti parigini del ricordo, delineati, come di consueto, in un intreccio convulso di linee immediate che s’addensano o si dilatano nell’illusione di vincere con la presenza dell’immagine il senso della finitezza e della mancanza. In ambito scultoreo, già dal 1940 le opere iniziano a essere costrette in dimensioni sempre più ridotte, perfino di pochi centimetri, coagulate in autentiche miniature dell’introspezione e della sparizione iconica. L’artista, con tensione esistenzialista, s’interroga sul significato della vita, sulla condizione umana, che avverte come gabbia del vuoto e del nulla, in una verità scultorea ardua, tesa a coniugare realtà e rappresentazione. A metà del XX secolo, egli giunge, pertanto, a definire, in verticalità filiformi ancorate alla terra, figure ossificate, incorporee, solitarie o in gruppo, quasi scheletri ruvidi di entità morte, ormai immobilizzate in litica sofferenza interiore. Bloccata in uno ieratico e solenne dolore o rappresa in uno spasmodico movimento allucinato, l’entità umana si dibatte nel silenzio di una dimensione escatologica che accomuna tutta l’umanità. Torna il ricordo di un archetipo artistico etrusco, “L’ombra della sera”, insieme a quello di alcune sottili figure femminili di Picasso dei primi anni Trenta. Ma nelle opere di Giacometti la materia subisce continui processi costruttivi e distruttivi, di tortura e di rinascita, per esprimere le ansie, gli affanni e gli incubi dell’esistenza contemporanea. Il rovello del creare s’indirizza, ossessivamente, sull’ineludibile volontà di “scolpire la testa”, perché all’illustre scultore urge l’esclusiva modellazione dell’essenza, dell’entità individuale, speculare di quella collettiva. Ma al riguardo, l’artista afferma di essere “uno scultore mancato”, poiché incapace di raggiungere l’anelata oggettivazione iconica della sua realtà percepita. Non volendo confutare tale convinzione, va comunque rimarcato che egli è stato un artista insostituibile, unico nel riuscire a testimoniare l’opprimente, destabilizzante e macerante verità esistenziale dell'uomo d’oggi. Giacometti, quindi, come Bacon.