MALE PER LA PSICHIATRIA, MALE PER LA GIUSTIZIA
Olga Pozzi Giovanni De Renzis Fausto Petrella*
Il documento che segue, che in pochi giorni ha raccolto moltissime adesioni, era stato pensato come momento di pressione critica nei confronti di quel particolare punto della Riforma della Giustizia che prevede l'uso di test o colloqui psicoattitudinali, per la selezione dei candidati ai concorsi di magistratura. Nel frattempo, con una rapidità che non corrisponde agli standard cui siamo abituati, il Parlamento ha approvato il decreto che contiene tra l'altro l'attivazione di quelle procedure. Secondo una mera logica di tempestività giornalistica, tutta questa iniziativa dovrebbe, a questo punto, venir considerata come ormai "inattuale", essendo di fatto superata dagli eventi.
Ci sembra, al contrario, che essa, se possibile, acquisti ora più chiaro significato e valore: certo nessuno avrebbe potuto credere che un'opposizione, per quanto ampia e qualificata, espressa dalla nostra parte, avrebbe potuto incidere sugli obiettivi delle parti politiche e sui rapporti di forze attualmente esistenti tra di loro. Il senso del messaggio contenuto nel documento deve perciò essere inteso come rivolto innanzitutto alla coscienza critica degli operatori nel mondo psy, più che "immediatamente" a interlocutori politico-istituzionali: ciò che in esso si intende difendere è l'autonomia della nostra cultura professionale, prima ancora che quella della magistratura.
Testo del documento
Sull'art. 2, comma 1, lettera c del Disegno di Legge Castelli. Sappiamo quanto sia stato e continui a essere ampio e aspro il dibattito sul progetto di riforma della Giustizia preconizzato dal ministro Castelli e consegnato nel Disegno di Legge a firma dello stesso Castelli e di Tremonti, che sta per concludere il suo iter parlamentare. Non è ovviamente nostro còmpito esprimere pareri, né tantomeno convinzioni, che pure, come cittadini, soggettivamente abbiamo e personalmente difendiamo, sulla complessità del provvedimento. Sentiamo però l'esigenza e perfino la responsabilità, di dover dichiarare pubblicamente la nostra più decisa contrarietà, disapprovazione e preoccupazione per quanto previsto all'art. 2, comma I, lettera c del succitato Disegno, relativamente all'introduzione, nei concorsi di magistratura, di test o colloqui, propedeutici alle prove orali o nell' ambito delle stesse "di idoneità psicoattitudinale all'esercizio della professione di magistrato, anche in relazione alle specifiche funzioni indicate nella domanda di ammissione".
La nostra critica è "tecnica" prima ancora che "politica", se e per quanto possa ritenersi sensato distinguere questi due livelli a proposito delle enormi questioni di fatto implicate nelle poche righe del DdL sopra riportate. E' noto, non solo agli addetti ai lavori, come Psichiatria e Psicologia da un canto, Giustizia dall'altro rispondano, nel tessuto della vita delle comunità, a esigenze sociali e personali fra le più rilevanti e delicate, e talvolta anche complementari, che impongono interventi necessari ma di difficilissima gestione, fin nelle sfere più intime della soggettività umana. Ma proprio perciò risulta necessario che questi còmpiti, tanto impegnativi e responsabilizzanti, non inducano a pervertire le utili complementarità in pericolose commistioni.
E' ugualmente noto, in particolare nella storia recente del nostro paese, come sia stata necessaria una lunga battaglia di forte spessore etico culturale, e mai davvero definitivamente conclusa, per affrancare da un'impropria sudditanza alla categoria della pericolosità sociale le forme più diverse di sofferenza e disagio psichico: una legge che costringeva gli operatori pubblici della salute mentale ad avvilire il proprio operato in quella funzione di controllo sociale, che Foucault, con una formula ormai celebre, sintetizzò nei termini di "sorvegliare e punire".
Il "disegno di legge" sembra oggi proporre una nuova, ribaltata ma altrettanto impropria, commistione: dovrebbero essere questa volta i magistrati, se venisse approvato questo inquietante punto qui discusso,a dover essere "sorvegliati" (ed eventualmente "puniti") da un controllo demandato a una competenza psicologico-psichiatrica, nella presupposizione di una capacità "scientifica" di discriminare, attraverso test o colloqui, la specifica "idoneità psicoattitudinale" degli aspiranti magistrati, addirittura "in relazione alle specifiche funzioni indicate nella domanda di ammissione". E' doveroso chiarire che nessuno, anche soltanto minimamente competente in materia, saprebbe in coscienza avallare una simile supposizione o presunzione; e questo non per una attuale insufficienza dei nostri strumenti di indagine, ma in ragione di piu cogenti criteri metodologici, che impediscono anche soltanto di "fantasticare" costruzioni di griglie riduttive atte a testare ideali, motivazioni, passioni, interessi come se si trattasse di mere capacità oggettivamente standardizzabili. Ne conseguirebbe che gli "esperti" esaminatori (da chi scelti, secondo quali criteri?), non avendo alcun ancoraggio "scientifico" per validare i propri "giudizi", si troverebbero, nella migliore delle ipotesi, in balia di suggestioni empatiche e intuitive; o, più facilmente, indotti a surrogare la mancanza di appropriati criteri ordinativi nella propria "disciplina" di competenza con un "disciplinato" affidamento, se non proprio con la subordinazione, all'ordinamento politico del momento. La legittimità dell'operato di simili "esperti" correrebbe così il rischio di vedersi risolta nell'adeguamento delle proprie risposte "diagnostiche" all'aspettativa di quella domanda "politica" che li ha cooptati come suoi "funzionari". Il risultato di tutto ciò sarebbe, con tutta evidenza, negativo per la psichiatria, per la psicologia, e altrettanto inopportuno e sfavorevole per la magistratura, per la giustizia, per la cultura e la civiltà del nostro paese.
* Il testo proposto da Olga Pozzi, Giovanni De Renzis, Fausto Petrella ha già raccolto duecento adesioni: i firmatari appartengono alla Società Psicoanalitica italiana; alla Società italiana di Psicoterapia Psicoanalitica; alla Associazione Italiana Psicologia Analitica; alla Associazione Italiana di Psicoanalisi; sono pervenute anche adesioni a titolo personale.