martedì 11 gennaio 2005

preti e psicoanalisi

SOCIETÀ E COSTUME
Preti, troppa psicanalisi
Parla il teologo Giuseppe Mazzocato, che ha condotto uno studio sull’utilizzo della psicologia nei seminari italiani
Di Riccardo Maccioni


La parola non è solo uno strumento per comunicare. Può essere una carta d'identità, un sintomo di malattia, una cura. In psicanalisi è strumento di guarigione. Per il cristianesimo, quindi scritta con la lettera maiuscola, la Parola è il cuore della fede, che sana e salva. Si tratta di stabilire con chiarezza i confini, di non confondere i campi di intervento. In Malattia della mente o infermità del volere? (Edizioni Glossa), Giuseppe Mazzocato, moralista, preside dello Studio teologico di Treviso, si sofferma sull'uso della psicologia in campo educativo, con particolare attenzione ai Seminari. «La ricerca dei confini tra psicologia e morale - spiega - ha caratterizzato il dibattito teologico degli anni 60 e 70 ma non ha dato risultati soddisfacenti. Il motivo è che si dà per scontato l'oggetto di cui tali discipline si occupano, cioè i vissuti e i fatti psichici. Se è vero che le psicologie moderne hanno prodotto nuove conoscenze sulle dinamiche mentali, emotive, pulsionali, sentimentali e così via, è altrettanto vero che di tali dinamiche non possono vantare la competenza esclusiva. Questo perché il loro motore non è qualcosa di biologico, ma è il senso di cui sono portatrici. Più precisamente è il senso morale. Ecco perché il moralista non può non essere esperto di psicologia e l'assegnazione di una competenza esclusiva alle scienze psicologiche produce quello svuotamento della morale, evidente nella società contemporanea. Così com'è lampante la sproporzione del rilievo assegnato alla figura dello psicologo nei mass media e negli ambienti formativi».Anche i formatori del resto devono occuparsi di inconscio, di animo.«Esattamente. Le questioni oggi demandate allo psicologo, come le dinamiche relazionali e i loro disturbi, la strutturazione della personalità e le persistenti immaturità, l'instaurarsi di stati d'animo depressivi quali l'angoscia o un senso di colpa diffuso o di inferiorità o di negazione di sé e così via, costituis cono i passaggi cruciali di un'esperienza spirituale e di un cammino formativo. Lo psicologo certamente aiuta e talvolta è necessario per fare chiarezza ma il senso che possiedono o debbono possedere tali dinamiche chiama in causa altre figure di riferimento»Quando parla di "senso" e di "senso morale" cosa intende?«L'elemento che "mette in moto" la psiche. Per questo critico la concezione ancora molto diffusa che vede le dinamiche psichiche come una sorta di ambito pre-morale, sottratto alla competenza del moralista e dell'educatore. Al contrario, secondo me il moralista e l'educatore devono scorgere nei moti dell'animo le forme originarie della coscienza morale e la distinzione tra psicologia e morale non può fondarsi su una supposta anteriorità dei vissuti psichici rispetto alla coscienza morale, come insegna la concezione freudiana dell'inconscio».L'approccio psicanalitico si fonda sul valore terapeutico della parola che, si pensi al sacramento della riconciliazione o alla direzione spirituale, è molto importante anche per l'educatore. C'è il rischio che la psicanalisi diventi una specie di religione senza trascendenza?«Quello che io vedo è il rischio di un uomo senza morale. È significativo il fatto che il tema "religione" abbia avuto molto più sviluppo del tema "morale". Infatti malgrado l'interrogativo continui ad affacciarsi sulla scena psicanalitica, non si è mai sviluppata una "psicologia della morale" o una "psicologia morale". Il motivo mi sembra evidente: è più facile tradurre in "costrutti mentali" l'esperienza che non la morale».In altre parole la dimensione pratica dell'esperienza morale sfugge all'analisi psicanalitica.«Certo. Il rilievo indiscusso della parola, ad esempio, ha imbarazzato Freud fin dall'inizio della sua ricerca; imbarazza molto meno i suoi seguaci. Ciò che sfugge sia agli psicologi che ai teologi è la valenza pratica della parola, che prima ancora di essere strumento per l'elaborazione de i vissuti, va intesa come forma dell'agire, come esperienza pratico-morale».C'è la sensazione che la nostra società tenda a rimuovere il concetto stesso di morale.«Si tratta di un tratto evidente. Le teorie psicologiche infatti concordano nel prescindere dai profili morali dell'esperienza umana. Nel momento in cui si propongono come teorie generali dell'umano, concorrono a un'antropologia che prescinde da tale valore. Purtroppo quest'utilizzo delle psicologie è più facilmente presente proprio negli ambienti formativi ed in quelli cattolici, in particolare. C'è poi il fatto che le psicologie hanno introdotto una sorta di medicalizzazione della sofferenza psichica. In questo modo i disagi e le fragilità sono ricondotte a cause o circostante che non dipendono dalla volontà dell'individuo e debbono essere dunque rimosse, grazie ad una specifica competenza, di natura "tecnica". La morale è quindi rimossa sia dalla teoria che dalla relazione umana su cui si riversa quel disagio, quella fragilità. Il libro si propone di portare la riflessione al cuore del problema, all'interpretazione di tali vissuti psichici dolenti o disagiati: si tratta di malattia o di infermità della volontà? Anche nel caso in cui tale disagio vada qualificato come patologia, va pensato in riferimento alla mente oppure al volere?».La questione antropologica è sempre più centrale. In particolare la ricerca scientifica si sta interrogando, sulla funzione del cervello. Inoltre ai concetti tradizionali di ragione e pensiero si sostituisce il termine "mente". La teologia è pronta a un confronto, a un'analisi seria e costruttiva?«Mi sembra di vedere una teologia ancora a rimorchio delle scienze: prima la psicanalisi, poi gli indirizzi più umanistici, quindi quelli cognitivisti e, a seguire quelli psico-sociali o relazionali, ora le neuroscienze. Invece la teologia non deve riflettere sui dati offerti dalle scienze ma, alla luce di quei dati, sull'esperienza umana. Non è il risultato scientifico l'elemento da cui partire ma l'esperienza che accomuna ogni uomo. Prima del rapporto tra le diverse discipline, la teologia deve farsi carico dell'esperienza umana cui si riferiscono».