venerdì 4 febbraio 2005

Cina

Corriere della Sera 4.2.05
L’ANALISI
Hu Jintao, il cinese che vuole dare una mano agli Usa
Il presidente è tentato dalla possibilità di rivalutare la moneta aiutando così il deficit americano
Danilo Taino


L’idea di salvare il capitalismo, o almeno di dargli una mano in un momento di crisi, attrae molto Hu Jintao, comunista, presidente della Repubblica Popolare Cinese. E oggi, a Londra, gli si apre una finestra di opportunità per farlo: se, come alcuni sostengono, la delegazione di Pechino presente alla riunione del G7 finanziario darà il via a un processo di rivalutazione dello yuan, la Cina si potrà accreditare come il Paese che ha fatto il primo passo verso la soluzione degli squilibri finanziari del mondo. Non sarà un’operazione facile, per Hu: i suoi tecnici gli consigliano prudenza e i rischi sono consistenti. Ma l’occasione politica è attraente. Succede che, dopo essere stati sottoposti a oltre un anno di pressioni internazionali, i cinesi sono ormai convinti di dover rivalutare la loro moneta, oggi agganciata a quella americana con un rapporto di 8,28 yuan per dollaro. Negli ultimi anni, le crescite dell’economia e delle riserve valutarie della Cina sono state impressionanti mentre il tasso di cambio è rimasto fisso: l’associazione delle imprese manifatturiere americane ritiene che, a questo punto, lo yuan (o reminbi, moneta del popolo) sia sottovalutato del 40%, il che darebbe a Pechino una capacità di esportazione micidiale e inaccettabile. Questa percentuale è probabilmente esagerata ma non ci sono dubbi sull’ampia sottovalutazione della moneta cinese. Le stesse imprese europee, italiane in testa, sono fortemente penalizzate dalla concorrenza delle merci cinesi, già molto competitive grazie al basso costo del lavoro e per di più agganciate a un dollaro che si svaluta sui mercati.
Alla riunione del G7 di oggi e domani, dunque, gli occidentali continueranno a fare pressioni su Pechino perché rivaluti o, ancora meglio, lasci fluttuare lo yuan in modo che si apprezzi. Ma ci sono due novità. Il Cancelliere dello Scacchiere britannico Gordon Brown ha invitato alla riunione dei Sette grandi (Usa, Giappone, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia, Canada) anche Cina, India, Russia, Brasile e Sudafrica. E, soprattutto, i cinesi - che saranno presenti con il governatore della banca centrale Zhou Xiaochuan e con il ministro delle Finanze Jin Renqing - sono pronti a discutere della questione: ieri lo ha confermato lo stesso Zhou.
Sui mercati, molti esperti dubitano che tra oggi e domani si annunci la rivalutazione: i tecnici cinesi sostengono di non essere pronti, di temere flussi speculativi fuori dallo yuan e di essere preoccupati per la stabilità del loro fragile sistema bancario. La Casa Bianca, però, sembra convinta che il momento della decisione sia vicinissimo: «Abbiamo visto che sono stati fatti dei passi consistenti - ha detto John Taylor, il sottosegretario al Tesoro che partecipa alla riunione di Londra (il segretario John Snow è malato) assieme al presidente della Fed Alan Greenspan -. I cinesi continuano a enfatizzare di volere arrivare a un cambio flessibile». E’ dunque probabile che Pechino dia ai ministri delle Finanze - anche se non pubblicamente - garanzie sui tempi della rivalutazione, che potrebbe avvenire entro sei mesi.
Il passo sarebbe di importanza fondamentale non solo per i rapporti tra valute e per gli scambi commerciali internazionali ma anche per mettere in via di soluzione gli sbilanci finanziari dell'economia americana e del dollaro. Nel 2004, gli Stati Uniti hanno avuto un deficit commerciale verso la Cina che si stima sui 160 miliardi di dollari (su un deficit complessivo di 600): una rivalutazione dello yuan potrebbe avviare un’ulteriore discesa del dollaro verso il complesso delle altre valute, un riaggiustamento della bilancia commerciale americana e, nel lungo periodo, una riduzione del deficit dei conti correnti.
Con la sua mossa, cioè, Pechino può dare il via alla soluzione di alcuni dei problemi strutturali dell'economia mondiale: proprio come fece in Asia durante la crisi del 1997, solo che questa volta la funzione «benevola» si eserciterebbe su scala globale. Ed è questa la ragione per la quale il presidente Hu vuole dare un segnale forte già al vertice di Londra: Pechino si presenterebbe da protagonista anche nell’assicurare la stabilità finanziaria mondiale e nel mettere il dollaro e l’economia americana sulla strada di risolvere i loro problemi.
La riunione di oggi e domani, dunque, potrebbe segnare una svolta: anche in fatto di valute, la Cina di Hu inizia a mostrare i muscoli.