venerdì 4 febbraio 2005

referendum
il punto di vista de L'Unità

L'Unità 04 Febbraio 2005
L’inganno in nome del sacro embrione
VITTORIA FRANCO, senatrice Ds


Il fronte del no al referendum sulla legge 40 ha già deciso la sua strategia comunicativa, come si capisce dalle numerose prese di posizione degli ultimi giorni: impostare una campagna ideologica che pone al centro l'embrione e i suoi diritti. L'embrione è persona, dicono. È un essere umano fin dal concepimento e come tale va trattato. Dunque, niente congelamento, anche se questo costringe a ripetute stimolazioni ormonali le donne che si sottopongono alla fecondazione assistita; niente diagnosi preimpianto per verificare se l'embrione è affetto da malattie ereditarie in caso di coppie a rischio; obbligo di trasferimento anche per embrioni incapaci di svilupparsi o malati, salvo poi abortire un feto di qualche settimana. Si pretende in questo modo di chiudere con una legge una discussione che dura da secoli senza che sia stato ancora possibile giungere a posizioni condivise. Il fronte del no ha stabilito una posizione di comodo: dà per scontata, assumendola come vera, una convinzione etica che appartiene ad alcuni e non ad altri, e ne fa il perno della discussione trascurando tutte le conseguenze negative di quell'assunzione. Le obiezioni sono diverse; proverò a formularne qualcuna e a rovesciare le priorità del discorso.
1. Si accetta una concezione sacra dell'embrione occultando un dato fondamentale: che si tratta di un'entità in divenire che assume forme e nomi diversi a seconda dello stadio di sviluppo. Ciascuna di queste fasi può essere valutata diversamente sul piano etico, come già accade in molte situazioni. In Inghilterra, ad esempio, la legge parla espressamente di pre-embrione e di embrione a partire dal quattordicesimo giorno dalla fecondazione.
2. Non è necessario riconoscere all'embrione diritti, sostenere che è persona, per elaborare forme di tutela morale. Sin da quando si è cominciato a legiferare su queste materie, sono state anche previste protezioni, proprio perché si tratta dell'inizio di una vita umana possibile e non di un semplice grumo di cellule. Lo faceva già nel 1990 in Inghilterra il Rapporto Warnock, dove si può leggere: "l'embrione umano ha diritto a un grado di rispetto superiore a quello accordato a un embrione di altra specie" e necessita di una qualche forma di tutela legislativa.
Il problema che si è subito posto, però, è se tale tutela possa essere assoluta o non debba invece essere confrontata con la tutela di altri soggetti e di altri diritti. In tutti i recenti documenti europei di bioetica si va affermando il cosiddetto principio del bilanciamento degli interessi, così riassumibile: la protezione dell'embrione va graduata a seconda della fase di sviluppo e bilanciata con la tutela degli interessi di coloro che sono già persone in senso giuridico.
Una prima conseguenza della tutela morale dell'embrione - distinta dal suo riconoscimento come persona titolare di diritti - è che esso non viene posto in cima alla gerarchia dei soggetti coinvolti, ma la sua tutela è ponderata con altri valori e posta a confronto con altri beni, come la sopravvivenza di un essere già nato, la salute della donna o la cura di malattie di cui può beneficiare l'umanità grazie ai progressi della scienza. Diventa allora eticamente legittimo mettere a disposizione della ricerca scientifica embrioni non utilizzati a fini procreativi, per scoprire nuove cure per patologie gravi. Poter curare malattie degenerative di persone già nate, o prevenirle, diventa eticamente altrettanto rilevante della tutela dell'embrione. Salvare la vita di persone altrimenti destinate a una morte precoce da gravissime malattie merita di divenire priorità etica rispetto alla intangibilità di un embrione nella fase iniziale del suo sviluppo e destinato a dissolversi perché non utilizzato.
In sintesi, è legittimo sostenere che riconoscere la tutela dell'embrione corrisponde a un bisogno etico condiviso, ma essa non comporta come automatica conseguenza il riconoscimento giuridico di diritti equiparabili a quelli dei soggetti già nati. In tal modo, non si vengono a creare conflitti fra diritti (ad esempio, fra quelli dell'embrione e quelli della madre che lo deve accogliere nel suo grembo perché esso possa arrivare alla nascita), ma semmai dilemmi etici. Non che i dilemmi etici siano meno drammatici, ma si risolvono con procedure diverse, facendo appello alla coscienza dei singoli e alla elaborazione della comunità interessata.
3. Questa discussione, pur importante, non deve però fare velo alle diverse conseguenze pratiche dell'una o dell'altra posizione. È un fatto che il riconoscimento di diritti all'embrione "sin dal concepimento" produce effetti devastanti per la salute delle donne e il benessere delle coppie che hanno problemi di sterilità. Produce sofferenza. Una legge che dovrebbe favorire i progetti di genitorialità di uomini e donne con problemi non altrimenti risolubili crea invece una serie tale di ostacoli e divieti da mortificarli e renderli irrealizzabili. Se partiamo dai casi concreti di persone che ricorrono alle nuove tecniche di riproduzione per avere un figlio e costruire una famiglia, per dare realtà al desiderio più umano possibile, apparirà certamente assurdo e incomprensibile questo concentrato di divieti che, in nome di un’astratta idea di vita, nega la nascita di una vita nuova.