martedì 8 marzo 2005

dal Corsera di oggi
Munch

Corriere della Sera 8.3.05
Dipinse l'assurdità del'esistenza
Nato nel 1893, si formò in Norvegia e a Parigi. La sua vita fu segnata dalla malattia e dalla morte dei familiari Dipinse l’assurdità dell’esistenza Ibsen, Strindberg e la filosofia di Nietzsche gli fecero scoprire una nuova dimensione
Arturo Carlo Quintavalle

La vita di Munch è segnata duramente dalla malattia e dalla morte, quella della sorella, quella della madre, quella prematura del padre: la tubercolosi, il male che aveva ucciso tanti dei suoi e che lo stringeva da vicino, lo induce a scegliere fra l'amore e l'arte, fra una vita da Monk-monaco, quasi prefigurata dal suo stesso nome, e una vita come quella di tanti. No, Munch è diverso, dialoga con chi sente simile a lui, prima di tutto con un altro norvegese, Henrich Ibsen, che col suo teatro trasforma il senso del racconto borghese: così in «Spettri» (1881) l'ereditarietà del male chiude angosciosamente la storia del rapporto fra la madre e il figlio; sarà proprio Munch a disegnare le scene per l'opera teatrale. In Germania Munch trova una dimensione nuova del fare arte: lo stimola e gli è amico August Strindberg, lo svedese rivoluzionario che dissolve la realtà del racconto e la continuità di ogni possibile trama e che in «Inferno» (1897) rappresenta l'angoscia di morte, l'ossessione di una lettura del mondo consapevole e distruttiva. Ecco, è questo il nodo per comprendere l'arte di Munch, l'idea che dipingere vuol dire rappresentare non il reale ma l'inconscio, come suggeriva Argan analizzando «Pubertà» (1893), o come risulta evidente nel ciclo più volte ricomposto con dipinti più antichi e intitolato «Il fregio della vita». Il ciclo è stato distinto da Munch stesso in quattro racconti-guida: Nascita dell'amore, Sviluppo e fine dell'amore, Angoscia di vivere, Morte, ed è stato esposto a la Secessione di Berlino nel 1902. Angoscia? Certo, come in «La danza della vita» (1899-1900) che propone un ballo in riva al mare con figure che segnano le fasi della esistenza, fino a una sconsolata, solitaria vecchiaia.
Importantissimo è poi l'incontro con la filosofia di Nietzsche: l'arte di Munch infatti esprime l'assurdità dell'esistere e l'impossibilità del comunicare. Non basta. Il pittore norvegese ha usato fin dagli inizi degli anni '90 la fotografia, non certo per costruire ritratti somiglianti ma per cogliere nella sospensione delle immagini quella essenza delle cose che fa scoprire l'angoscia. La fotografia è dunque scrittura di ombre, lo sfuocato della immagine determina una analoga, sfatta trascrizione pittorica.
Munch dipinge dunque l'angoscia dell'esistere, la crisi del vivere per l'arte in un mondo che l'arte, di fatto, esclude. Scoperta nei drammi di Ibsen la distruzione del senso positivo del vivere borghese, e in Strindberg lo scrivere come pratica schizofrenica, Munch, alla fine della esistenza, vive come ossessione lo scorrere del tempo. Lo prova un quadro importante: «Autoritratto tra l'orologio e il letto» (1943) dove l'artista si presenta solo nella stanza; alla sinistra un orologio a pendolo scuro non ha lancette sul quadrante; a destra un nudo dipinto appare come pittura sul muro; taglia la scena il letto; Munch diritto, al centro, immobile, ci guarda. Il pittore dunque guarda un mondo senza tempo, non sa capire la ragione dell'esistere. Ancora Nietzsche, dunque. Poi la Norvegia viene occupata dai nazisti: Munch morirà solo, ancora senza capire.

Corriere della Sera 8.3.05
Mentre si apre la mostra al Vittoriano, rubati e subito ritrovati altri tre lavori dell’artista in un albergo della Norvegia
Il gigante Munch in cento opere
Esposti anche «Morte nella camera della malata» e una versione della «Madonna»
Lauretta Colonnelli

È considerato il pittore della disperazione eppure è il più amato perfino dai ladri. Mentre si sta per inaugurare una sua mostra a Roma, i giornali tornano a parlare di Edvard Munch per il furto di tre quadri avvenuto nella notte di domenica scorsa (e per fortuna subito ritrovati) in un albergo della Norvegia del sud, che possiede una collezione di circa 400 lavori dell’artista. Si tratta di un acquerello del 1915 intitolato «Vestito blu» e due litografie: un autoritratto e un ritratto del commediografo August Strindberg, al quale Munch era legato da un forte sodalizio artistico dopo averlo conosciuto a Berlino nel 1893. Ma già nell’agosto scorso erano scomparse due importanti opere dell’artista norvegese, il celeberrimo «L’urlo» e l’altrettanto famosa «Madonna», sottratte dal Munch-museet di Oslo da uomini armati di pistola. Ora il museo è chiuso per permettere l’installazione di un nuovo e più sofisticato impianto di sicurezza, ma dei due capolavori è scomparsa ogni traccia. Per fortuna Munch eseguiva sempre più versioni dei suoi soggetti e i visitatori della mostra al Vittoriano potranno ammirare sia la «Madonna», in un olio (dei cinque realizzati) proveniente da una collezione privata, sia «L’urlo», ma in litografia. L’esposizione, che aprirà al pubblico giovedì prossimo, si annuncia tra le più ricche: oltre cento lavori, tra cui una sessantina di olii e una cinquantina di opere grafiche tra acqueforti, litografie e xilografie, oltre a una serie di autoritratti fotografici. Tutti realizzati in un arco di tempo che va dai primi anni del 1880 al 1944, l’anno della morte.
Seguendo il percorso della mostra è quindi possibile ricostruire anche l’intera esistenza dell’artista, che in linea con il suo amico, lo scrittore anarchico e animatore della «bohème di Christiania» (il nome di Oslo fino al 1925), aveva teorizzato di raccontare la propria vita attraverso la pittura. «La mia arte - ha lasciato scritto Munch - è un’autoconfessione. Con essa cerco di chiarire il mio rapporto col mondo. Ciò potrebbe anche essere definito egotismo. Eppure ho sempre pensato e sentito che la mia arte potrebbe essere d’aiuto agli altri per chiarire la loro stessa ricerca di verità».
Tra i suoi quadri-diari si può ammirare «Morte nella camera della malata», in cui è raffigurata la morte per tubercolosi della sorellina Sophie quando lui aveva 14 anni, uno degli episodi che, insieme con la scomparsa prematura dei genitori, spanderanno un’ombra scura sul resto della sua vita e su tutta la sua produzione. È questa infelicità germogliata nell’infanzia che gli farà anche maturare un linguaggio pittorico diverso da quello allora imperante degli impressionisti, che pure aveva frequentato a Parigi e nel sud della Francia. In opere che hanno titoli come «Melanconia», «Disperazione», «Paura», le vibrazioni luminose dell’Impressionismo si trasformano in onde di colore che avvolgono le figure umane come fitte di sofferenza nella carne palpitante. Mettendo insieme le suggestioni dei drammi di Ibsen e Strindberg, la filosofia esistenzialista di Kierkegaard e le teorie di Freud, Munch crea un’arte che abbandona il naturalismo per un viaggio introspettivo nella condizione umana.