martedì 8 marzo 2005

citato al Lunedì
Michel Gribinski

Questo è il Gribinski citato al Lunedì, questo articolo era usito domenica

ilmanifesto.it 6 marzo 2005-03-08

L'interpretazione tra la veglia e il sonno
Lo psicoanalista francesce Michel Gribinski ha parlato ieri a Firenze del suo ultimo libro, Le separazioni imperfette, edito da Borla. Tra queste pagine ci propone di seguire l'evoluzione del suo pensiero mentre lavora con i pazienti
ALBERTO LUCHETTI

Si comincia con concessioni sulle parole per finire a poco a poco con concessioni sulle cose. Così ammoniva Freud, nella fattispecie circa l'edulcorare la sessualità cominciando col rinunciare a chiamarla col suo nome. Gli faceva eco Winnicott: «Come gli esseri umani, le parole talvolta devono battersi per affermare e conservare la loro identità». Eppure, per non cedere sulle parole e affinché queste non smarriscano la loro identità, è necessario che le nostre parole cedano un po' e si smarriscano, e noi con esse, accettando di separarcene sia pure imperfettamente. E cedendo e smarrendosi, ritrovino il contatto con le percezioni, con le immagini, con quell'intelligenza segreta del nostro rapporto col mondo da cui le parole sono generate e che al tempo stesso generano, velandolo fino talvolta a nasconderlo. È attraverso questo delicato eppure densissimo varco - con il quale ha, perlatro, qualcosa a che fare la poesia - che ci conduce Michel Gribinski nel suo ultimo libro Le separazioni imperfette, la cui traduzione è da poco uscita in libreria da Borla. Psicoanalista parigino da tempo appassionatamente impegnato in una intensa attività editoriale, Gribinski ha affiancato, nell'ultimo decennio, Jean-Bertrand Pontalis nella avventura della Nouvelle revue de psychanalyse; poi ne ha rilevato il testimone con la rivista Le fait de l'analyse, e ora dirige penser/rêver, sempre alla ricerca di ciò che, pur estraniandolo e disarticolandolo, è tuttavia alla fonte del pensiero: quello dell'essere umano in generale, e quello che si addensa o talvolta si irrigidisce nella teoria psicoanalitica.
Gribinski ci propone di scrutare insieme a lui quel che gli accade quando lavora in analisi. Di seguirlo, più che nei suoi pensieri, nel suo pensare, come nota giustamente nella introduzione Maria Lucia Mascagni che ne ha anche curato la traduzione, «perché Gribinski non sopporta di imprigionarsi in una costruzione teorica rigida e chiusa», mostrandoci come il pensiero attinga ad altri registri ed esiga perciò soglie permeabili. Perciò ci conduce ad osservare con lui fenomeni del lavoro dell'analista meno consueti o meno abitualmente oggetto di attenzione, e talvolta anche di non facile ammissione: immagini improvvise, momenti di sparizione sia nel silenzio che dietro parole inadeguate, complesse costruzioni che risultano inefficaci e banalità che hanno invece effetti sorprendenti in quella lingua intermedia parlata da paziente e analista, nonché nodi problematici della teoria presentati e affrontati in modo originale. Gustando anche le sue letture (oltre quelle psicoanalitiche, il Diario del Pontormo, Il signor Ouine di Bernanos e tante altre) i cui frutti sono sparsi un po' ovunque nella sua scrittura, o attingendo al suo lavoro di traduttore, per di più alle prese con un Winnicott che lottava violentemente contro le parole-tappo e gli slogan, perché «niente è peggio di un linguaggio morto». Lavoro di traduzione che ha qualcosa di quello dell'analista, ci dice, poiché consiste nel «cogliere le relazioni che il tempo presente intrattiene con il tempo passato, cioè separare passato e presente rinunciando a sapere cosa siano questi tempi», dal momento che «portare in sé un passato sul quale non si può più costruire può essere banalmente il motivo di ogni analisi». Infine ci invita a seguirlo anche in quelle che sembra quasi volerci presentare come «briciole» di teoria, ma che in realtà sono parte di una ampia teorizzazione niente affatto «debole». Come nella sua indagine sull'«indovinare» di cui parla Freud e sull'interpretazione in analisi: l'alba dell'interpretazione è nello stato intermedio tra veglia e sonno, nasce da ciò che la coscienza ama di meno, il turbamento dei tempi mescolati, l'alone di oscurità creato regressivamente dall'immagine nel pensiero, scaturisce dal pensiero che, separandosi da sé, si trasforma in una immagine visiva o acustica, che non è inconscia ma immediatamente disponibile alla superficie della coscienza, per poi distaccarsene e tornare a una rappresentazione. Scopriamo così, con Gribinski, che separarsi da sé, dai propri pensieri occupa gran parte del tempo necessario a pensare, ma che senza questa separazione il pensiero degli altri, un pensiero altro, talvolta con qualcosa di nuovo, resterebbe estraneo, irriconosciuto. E che apprendere a parlare, in seduta, è ripartire da un'immagine, prenderle quello che essa impedisce di pensare, giacché non è tanto o non è affatto con la lingua che si ascolta un paziente, ma con il tempo e con le immagini. «La lingua è per dopo».
Michel Gribinski ne ha parlato ieri a Firenze in una giornata dedicata a «Ricordarsi di sé. Le due scene e i due copioni della seduta psicoanalitica», organizzata dalla rivista Psicoterapia psicoanalitica e dall'Azienda sanitaria di Firenze, insieme a Maria Lucia Mascagni e a Antonio Alberto Semi, la cui relazione ha riguardato l'utilità dell'attenzione liberamente fluttuante, ovvero il corrispettivo per l'analista della libera associazione per l'analizzando: le due facce della regola fondamentale nel lavoro analitico. Un modo di pensare e di lasciarsi pensare dell'analista indirizzato verso quella meta realistica che consiste nel capire, nel condividere delle esperienze, nel vivere altre vite.