lunedì 4 aprile 2005

il medioevo

La Gazzetta del Sud 4.4.05
Analizzate le ragioni del successo che quel periodo storico incontra nel mondo contemporaneo
Il fascino discreto del Medioevo
Dalla magia ai Templari, dai giullari alle dame di corte
Salvatore Tramontana

I diversi elementi che stanno alla base dei libri di storia si amalgamano in un prodotto editoriale che non sempre va incontro alla curiosità e alle esigenze di quanti cercano nella storia un fattore di identificazione. Di quanti, cioè, scrive Philippe Ariès, chiedono alla storia anche ciò che hanno «domandato in ogni tempo alla metafisica, e non prima di ieri alle scienze umane»: vogliono appunto una storia che riprenda i temi della riflessione filosofica, ma collocandoli nella durata e nell'ostinato rinascere delle imprese umane. Ogni libro, certo, ha la sua identità e la sua più o meno spiccata capacità di dialogare coi lettori, e in tal senso un testo di storia è tanto più valido quanto più riesce a creare legami col mondo che lo circonda. Nel quale, in questi ultimi tempi, sembra via via accentuarsi la disponibilità verso i problemi del passato specie per quel che si riferisce alla vita di ogni giorno, e innanzitutto alle relazioni fra popolazioni e risorse, fra popolazioni e controllo delle forze e dei processi naturali. Ma anche alle questioni della sessualità, della criminalità, delle devozioni popolari, della mentalità religiosa, vale a dire ai problemi del quotidiano e dell'immaginario, cioè del non cosciente collettivo che, specie nella storia medievale, hanno ormai da tempo ritrovato ampio spazio. Oggi il Medioevo è dappertutto, afferma con enfasi Horst Fuhrmann nel volume pubblicato nel 1995 a Monaco e che ha appunto per titolo «Überall ist Mittelalter». Lo si coglie di continuo in tanti propositi di intimità e di approfondimenti morali, nell'emergere della società di fronte allo Stato, nella sempre più accentuata privatizzazione della guerra e anche della sicurezza e nel moltiplicarsi delle polizie private, nell'ossessione per l'ordine dei Templari, nel richiamo, pure in termini politici, alla dimensione misteriosa e magica dei Celti, nella presenza di bande di giovani che, come nel secolo XIII spinti dal «rifiuto viscerale di una società arroccata nei suoi vizi e nei suoi privilegi», quasi terroristi ante litteram , cercano - scriveva Luigi Malerba in un articolo sul "Corriere della Sera" - una conferma «del proprio disadattamento nell'associazione con altri disadattati». L'onnipresenza del Medioevo, scrive infatti Fuhrmann, comincia nella vita quotidiana dal «buongiorno», dal saluto che nel Medioevo, con l'espressione «Dio ti dia un buongiorno», si era sostituito all'ave o al vale dei romani. Ma si riscontra nel sempre più frequente uso, nei caratteri a stampa di libri e manifesti, di forme grafiche gotiche, onciali, semionciali, nella persistenza del celibato del clero cattolico, nelle ideologie di movimenti politici che riconducono le proprie radici ai simboli rappresentati dallo scontro fra particolarismo della Lega lombarda e potere centrale di Federico Barbarossa, in una diffusa e istintiva paura verso la Germania, che il subconscio di tanti europei considera ancora impegnata nel raggiungimento di una superiorità di diritto sugli altri popoli. Come appunto nel Medioevo, quando il re di Germania diveniva anche imperatore del Sacro romano impero, cioè dell'Occidente cristiano, secondo una prassi che non sembra trovasse riscontro nell'ordinamento del tempo. «Chi ha fatto i tedeschi giudici degli altri popoli?», si chiedeva infatti nel 1160 il cronista inglese Giovanni di Salisbury, e aggiungeva: «Chi ha dato a questi uomini maldestri e feroci una tale influenza che essi nominano a volontà il capo dell'umanità?». Abitudini, richiami più o meno inconsci, paure, desideri, angosce, registrano certo la persistenza di un'eredità ancora viva, anche se disuguale e sfuggente e per certi versi sterile e persino dannosa, ma testimoniano, a un tempo, un'immagine del Medioevo che, più che un problema di cultura, finisce per essere un fenomeno di massa. Cioè un Medioevo della cultura comune, anzi dell'acculturazione, che si riscontra nella letteratura, nel teatro, nel cinema, nei fumetti, nella televisione, nel giornalismo. Un Medioevo appiattito su una dimensione fantastica, e fatto, scrive Franco Cardini, «di molti castelli, pochi monasteri e nessuna città: di molti baroni, cavalieri, malvagi guerrieri e splendide dame, ma di pochi poveri contadini e di quasi nessun banchiere e mercante; di molta magia ma di poca scienza e di una tecnologia ora improbabilmente informatizzata, ora inesistente». Insomma, un Medioevo le cui principali fonti non sono neppure Chrétien de Troyes o Wolfram von Eschenbach bensì Walter Scott, la pittura di William Morris e il romanzo gotico. Un Medioevo che anche la scuola ha, talvolta, contribuito a diffondere attraverso un insegnamento del quale Leonardo Sciascia offre incisiva testimonianza in un suo personale ricordo. Del Medioevo, egli dice, nelle menti dei bambini che con lui frequentarono le elementari, «restavano per sempre un concetto e un nome. Il concetto era quello dell'invasione, fatto terribile e quasi contronatura, violenza e repressione, perdita di identità, terra bruciata, carestia. Il nome era, grazie a Giulio Cesare Croce e al suo Bertoldo, quello di Alboino, re dei longobardi». Certo, l'insegnamento della storia nel primo ciclo non è più quello della scuola elementare frequentata negli anni 1926-30 dallo scrittore siciliano, ma l'immagine che del Medioevo ha la società di oggi continua a essere quella di un modello da esecrare o da rimpiangere. Un modello visto da alcuni come luce, come civiltà, come rigenerazione, da altri come tenebre, oscurità, intolleranza, brutale violenza, barbarie, al cui contesto, secondo il noto volume di Roberto Vacca, saremmo condannati a ritornare a causa del sempre più diffuso inquinamento e del collasso tecnologico. A tal proposito non è superfluo citare Umberto Eco che, in un dibattito con Paolo Flores d'Arcais pubblicato su «Civiltà delle macchine», sottolineava la responsabilità di taluni ambienti progressisti e dei sostenitori della «metafisica ecologica» per aver contribuito, con una certa immagine delle società capitalistiche e dei loro modi di vita, al progressivo radicarsi, nell'animo di molti, di un irreversibile precipitare verso il Medioevo prossimo venturo. Un Medioevo allora «come ricerca di ecologia materiale e spirituale? Come impegno, scrive Vittore Branca, a ritrovare istinti, sentimenti, valori ben schietti e motivi da persona umana e non da società massificata?». Nella rivista «Quaderni medievali», che fin dal primo numero riserva una sezione a L'altro Medioevo, si possono cogliere non solo testimonianze ragionate dell'immagine di un Medioevo offerto, decodificato, volgarizzato, spesso deformato, ma anche risposte persuasive dell'immagine speculare e dei meccanismi di informazione che lo producono. E basti scorrere le pagine della rivista per rendersi conto che il Medioevo è un punto costante di riferimento anche da parte di chi con la medievistica non ha rapporti di studio e di ricerca. Ne offre fra l'altro immediata conferma l'abituale e spontaneo ricordo del giornalismo scritto e televisivo al termine Medioevo e all'aggettivo medievale per esprimere gli aspetti più retrivi, più incivili, più nefasti della nostra società. Un Medioevo dunque triplice nella sua immagine: visto da alcuni come l'espressione del «non moderno», dell'oscuro, dell'apocalittico, della fame, delle malattie, dell'insicurezza; da altri come l'anticipazione di quanto avrebbe avuto compimento nell'età moderna: le città, le università, i parlamenti, le cattedrali, le banche, le cambiali, la prospettiva in pittura, il mondo cortese; da altri ancora come l'epoca in cui disfunzioni e ingiustizie venivano sanate dal cavaliere vitale e forte che usava le saette della santa violenza per risolvere i contrasti e riportare la pace nei cuori. E il cavaliere con la sua epopea è l'affascinante e rassicurante simbolo archetipo di quanti, richiamandosi appunto al Medioevo, considerano questo periodo l'età della cavalleria, della tavola rotonda, della lotta fra bene e male, fra Occidente cristiano come espressione di cultura e civiltà di un'epoca e Oriente islamico come sintesi di forze demoniache e magiche da distruggere e da disperdere o, al più, da rieducare e convertire.