lunedì 4 aprile 2005

il Paese è in lutto

La Stampa 3 Aprile 2005
GEGÉ, IL GRANDE PERCUSSIONISTA DI CAROSONE

Muore Di Giacomo il re della batteria

NAPOLI. È morto, all'età di 87 anni, Gegè Di Giacomo. Poeta del tamburo, batterista fantasista, nipote del sommo Salvatore, fu al fianco di Renato Carosone negli anni del suo successo internazionale, contribuendo in maniera determinante all'affermazione di uno stile canoro ironico e contaminato, lontano dalla melassa melodica imperante. I suoi sketch, la sua fantasia iconoclasta e il suo urlo di battaglia «canta Napoli» sono entrati nella storia della canzone napoletana ed italiana. I funerali di Di Giacomo sono stati celebrati ieri mattina nella chiesa di San Giacomo degli italiani a Poggioreale tra i presenti con la sorella Giovanna, i nipoti Carlo Alberto e Manrico anche il presidente della Regione Campania Antonio Bassolino e Nunzio Gallo. A Gegè sarà dedicata il 21 settembre 2005 all'Arena Flegrea di Napoli la quarta edizione del Premio Carosone.
Classe 1918, nonno poeta, padre fine dicitore, le sorelle cantanti, Gennaro Di Giacomo inizia a dieci anni a suonare la batteria. Lavora al cinema Sansone, una sala napoletana di quarta categoria, dove era stato ingaggiato nella piccola formazione orchestrale incaricata di eseguire dal vivo, era l'epoca del muto, le colonne sonore dei film proiettati. Qui Gegè imparò l'arte di inventare suoni e rumori da ogni cosa che si potesse percuotere. Il nome di Gegè Di Giacomo è indissolubilmente legato a quello di Renato Carosone.
I tratti del carattere del grande percussionista si possono facilmente evincere proprio nelle parole di Carosone, che racconta (nell'autobiografia «Un Americano a Napoli): «Con Peter Van Wood provavamo all'hotel Miramare, aspettando di conoscere il nostro nuovo compagno di lavoro. Si presentò Gegè Di Giacomo, il padre di tutta la futura stirpe dei percussionisti-poeti della scuola partenopea (da Tullio De Piscopo a Toni Esposito, Toni Cercola, Rosario Jermano, Giovanni Imparato, Arnaldo Vacca, Peppe Sannino, Prince Hobo, Ciccio Merolla, Maurizio Capone...). Io e Peter non capivamo come quel buffo giovanotto con gli occhiali appannati volesse aggiungersi alla nostra jam session: non aveva con sé la batteria, l'aveva portata a cromare, sono sue testuali parole, «perché si era ossidata dopo la stagione estiva, colpa della salsedine», ma tanto lui poteva suonare lo stesso, sosteneva. «E come?», gli chiesi incuriosito della sua pietosa bugia o della clamorosa intempestività di quella sua scelta, squadrandolo dalla testa ai piedi, che non ci voleva molto. Tomo tomo, Gegè andò dietro il bancone del bar, si impossessò di un vassoio, una sedia di legno, tre bicchieri "intonati" diversamente con un po' d'acqua e un paio di forchette e via, bum, bum, bum. Eccolo, il suono che stavo cercando. Gegè davvero non aveva bisogno della batteria, poteva suonare qualsiasi cosa, far suonare qualsiasi cosa».


Il Mattino 2.4.05
Addio a Gegè, poeta dei tamburi di «canta Napoli»
Federico Vacalebre

Napoli. (...) da bambino a Gennaro Di Giacomo toccò dividere la batteria con il fratello (Pino suonava il rullante, lui cassa e piatti) prima di averne una tutta per lui a 10 anni e di essere assunto al cinema Sansone(...): Gegè inventava suoni, rumori e trovate che gli sarebbero presto tornati utili. In locandina c’era «La grande parata», film sulla prima guerra mondiale? Quando sullo schermo appariva un aeroplano lui doveva usare un tamburello con una leva da girare per simularne il rombo, un colpo di cassa imitava lo scoppio di una bomba, il rullante la mitragliatrice, un lungo fischio la sirena dei bombardamenti. Nel finale qualcuno gridava «Viva Savoia» e aerei, mitragliatrici, bombe, sirene, fucili e cannoni dovevano far sentire tutti insieme la propria voce. Avvilito e quasi in lacrime, Gennarino si lamentò con il proprietario del cinema: «Don Luigi, io ’a guerra ’a sulo nun ’a pozzo fa». Poi con un gruppo di scugnizzi del quartiere mise in piedi un irresistibile campionario di spari, rombi ed esplosioni. Bastava che urlasse «Guagliu’ sfugate» perché la sala si ritrovasse in prima fila al fronte. Nasceva così la sua pirotecnica concezione del ritmo, figlia di un’arte dell’arrangiarsi elevata alla massima potenza, di una clownerie antica e irresistibile che il 18 ottobre 1949 incontrò i partner ideali dopo essere stato al servizio delle orchestre di Gino Campese, Nello Segurini, Armando Del Cupola e Gino Conte. (...) Il merito dello straordinario successo internazionale di Carosone va diviso con Gegè e Nisa. Cantautorato di gruppo, si è scritto, sottolineando la spontaneità fulminante di Di Giacomo: le trovate dell’omino piccino picciò sono diventate parte integrante del canzoniere dell’americano di Napoli. Composto un brano, la coppia Carosone-Salerno lo passava nelle mani di Gegé, che lo trasformava in una gag, usando filastrocche, nonsense, oggetti-feticcio (pistole, campanelli, fischietti, clacson), le vocine di «E la barca tornò sola». Gli bastava un nulla per definire un personaggio, farsi macchietta, fungere da io narrante della canzone: una penna da indiano per «’O pellirossa», un turbante per «Caravan petrol». «Una sera, al Caprice di Milano, volevo un’atmosfera speciale per introdurre “La pansé”, florilegio di doppi sensi vietato alla radio nella versione maliziosa di Beniamino Maggio», ricordava ancora Carosone, «e Gegè improvvisamente urlò: “Canta Napoli, Napoli in fiore”. Aveva trovato il suo grido di battaglia, la sigla del nostro sestetto». Canta Napoli, Napoli in farmacia, Napoli matrimoniale, Napoli petrolifera... Uno spettacolo nello spettacolo, nei night il tavolino vicino alla postazione del batterista era il più richiesto, i camerieri si arricchivano con le mance incassate per riservarlo. Dopo il sorprendente addio di Carosone alle scene nel 1959, Di Giacomo si lanciò per un po’ nell’avventura solista, affacciandosi a qualche festival di Napoli (nel ’61 con «Tutt’’a famiglia», terza classificata, e «Pi-rikì-kukì», l’anno dopo con «Chin’’e fuoco» e «’O monumento») e mettendo in piedi un proprio gruppo per continuare a dispensare ritmo e buonumore tra assoli jazz, espedienti demenziali alla Spike Jones e humour sospeso tra Totò e i fratelli Marx. Ma il successo non fu travolgente e decise di ritirarsi anche lui, scendendo dal carrozzone del mondo dello spettacolo per non risalirci più, se si esclude un’apparizione al fianco dell’amico di sempre Renato. «Voglio che la gente mi ricordi al meglio della mia forma, ai tempi del nostro quartetto e del nostro sestetto, quando eravamo davvero due ragazzi irresistibili», spiegava, «sono stato 40 anni a Milano, adesso sono tornato a Napoli perché non sto bene. Abito a Poggioreale... ma fuori». La sua ultima battuta. Nel 2003, già costretto sulla sedia a rotelle, ha ricevuto il Premio Carosone tra le pareti di casa sua e dalle mani del governatore Bassolino e dell’assessore Armato. I funerali si svolgeranno alle 11 nella chiesa di San Giacomo a Poggioreale: il silenzio di cantaNapoli sarà assordante.

Repubblica 3.4.05
IL RICORDO
Il percussionista Tony Esposito
"Un vero genio che ha ispirato la mia carriera"

«Quando lo vidi scendere dallo sgabello della batteria con le bacchette in mano e poi suonarle sui tavoli, sui bicchieri e sul pavimento ricordo di aver pensato: "ecco cosa voglio fare nella vita"!». Così Tony Esposito ricorda Gegè Di Giacomo, come appariva nei tanti show dell'Italia televisiva in bianco e nero. «Ero un bambino ma ne rimasi segnato. Nessuno aveva lo mai fatto prima e nessuno lo ha più fatto dopo. C'era qualche grande batterista jazz come Gene Krupa che giocava acrobaticamente con le bacchette, ma Gegè era molto di più: le sue erano vere e proprie performance, si era ritagliato uno spazio spettacolare tutto suo, con quell'aria buffa che lo faceva somigliare più a un ginecologo che a un musicista. Se io ho sperimentato suonando padelle e altri strumenti poco ortodossi lo devo interamente a lui», prosegue Esposito. «L'ho incontrato più d'una volta: l'ultima è stata una quindicina d'anni fa, in un locale della Costiera dove Di Giacomo si esibiva quasi in incognito. Credo avesse dei problemi alla vista. "Meno male che non sono un pianista", mi disse. "I tamburi sono molto più grandi dei tasti del pianoforte: difficile non vederli". Perché a un certo punto ha dato le spalle alla celebrità? La musica è uno spazio misterioso, posso capire che la si voglia coltivare nell´intimo della propria solitudine».
Gegè non lascia eredi, soltanto qualche allievo. Come Maurizio Capone, anche lui napoletano, che con il suo gruppo Bungt&Bangt ha portato in scena il suono di scatole, lamiere, "scarti post-industriali" come li chiama lui e altri oggetti. «Nel 2003 all'Arena Flegrea, in occasione del Premio Carosone, abbiamo eseguito "E la barca tornò sola" in suo onore. È stato il primo vero percussionista in senso lato, un innovatore sia come strumentista che come uomo di spettacolo: quando Gegè appariva accanto a Carosone lo sguardo cadeva su di lui, era capace di rubare la scena al suo leader. Aveva ironia, dava dei significati forti a quello che faceva: nel suo gioco e nella sua semplicità riusciva a rompere gli schemi, che negli anni Cinquanta erano molto rigidi. E' stato un guastatore, una sorta di punk ante litteram».
(a.t.)

Repubblica ed. di Napoli 2.4.05
La scomparsa a 87 anni di Di Giacomo, alter ego del grande Renato Carosone
Il ritmo perde il suo padrone la musica dà l'addio a Gegè
Ironico ed elegante contribuì alla rivoluzione della batteria. Con lui il suono divenne sperimentazione
La morte di Di Giacomo che con Carosone cambiò la musica italiana
Addio Gegè, signore del ritmo

ANTONIO TRICOMI

Ogni oggetto ha il suono. La musica si può nascondere ovunque: dentro una sedia, un bicchiere, una mattonella. Basta saperlo. Basta essere in grado di tirarla fuori. Gegè Di Giacomo, l'uomo che più di tutti ebbe questa capacità, è morto a 87 anni e ha salutato ieri mattina amici e parenti nella chiesa di San Giacomo degli Italiani a Poggioreale. Era malato da anni. E da anni aveva rinunciato alle luci della ribalta: devoto alla famiglia e ai suoi ricordi di gioventù, legato fraternamente al suo leader Renato Carosone.
E c'è chi giura che Gegè ha cominciato a spegnersi quattro anni fa, quando a lasciare per sempre la scena fu il suo amico di sempre, il genio elegante della canzone napoletana.
Negli anni Cinquanta il mondo sembrava appartenere a loro. Renato e Gegè (ossia Gennaro, nipote di Salvatore Di Giacomo) sono due musicisti ricchi di talento e di successo. L'amicizia e la collaborazione ha inizio nel dopoguerra: Renato, pianista di formazione classica ma anche compositore e cantante, è appena tornato dall'Africa. Nella sua lunga permanenza ha acquisito familiarità con altri ritmi e altre suggestioni: musica del mondo, si direbbe oggi. Ma nella mente e sulla punta della dita corre anche altro: il jazz, la classica, la melodia partenopea.
Tutto è pronto per quella rivoluzione gentile che rivolta l'Italia canora come un guanto, con le armi dell'ironia e dell'irriverenza. Ma Carosone ha bisogno di complici: di una band, si direbbe sempre oggi, per dare l'assalto alla roccaforte della canzone italica ingessata nelle colombe bianche che volano, nei papaveri e nelle papere, nelle mamme che son tutte belle, nelle barche che tornano sole. Gegè si aggiunge per ultimo a Renato il pianista, Peter Van Wood il chitarrista, Nisa il paroliere. Carosone cerca un batterista ma trova molto di più. Un virtuoso capace di suonare, ma suonare davvero, qualunque cosa. Nel bel mezzo di un concerto Gegè è solito alzarsi dalla batteria e con le bacchette percuotere qualunque cosa incontri: l'asta del microfono, i tavoli e le sedie, i piatti e i bicchieri, la testa dei suoi compagni, il pavimento. Tornando poi al suo posto, dietro i tamburi. Senza interrompersi. È quello che ci vuole per dare uno scossone all'impettita musica leggera, ma leggera si fa per dire, di quegli anni Cinquanta in bianco e nero. Musicisti seri che non si prendono sul serio. Con Gegè che ruba regolarmente la scena a Renato per cantare (sua la voce solista in "Caravan Petrol") e non solo. Diventa celebre il richiamo "Canta Napoli" con cui introduce di volta in volta i brani. Ed è la Napoli "petrolifera" per "Caravan Petrol", "in fiore" per "La pansè", "in farmacia" per "Pigliate ‘na pastiglia". Per non dire della feroce messa alla berlina dello stucchevole successo di Gino Latilla "E la barca tornò sola", che la Carosone Band riprende integralmente avvalendosi però dei sarcastici interventi di Gegè, con i tormentoni "e a me che me ne importa" e "mare crudele, mare crudele".
Un´avventura durata dieci anni. Poi Carosone si ritira, nel 1959, al culmine del successo: motivi familiari, un voto o chissà cosa, le voci corrono. Tornerà nel 1976 e intanto è Gegè a essere sparito dalle scene, dopo aver tentato con scarsa fortuna la carriera solista. Negli anni Novanta si ammala e Renato, l'amico di sempre, scrive per lui "Addò sta Gegè" che non sarà mai incisa e verrà alla luce soltanto nel 2003, per merito di Van Wood e del direttore del Premio Carosone, Federico Vacalebre.
«Tu tieni un amico
un buon amico
e chist'amico
'nu juorno te lassa…'E strade se spartono
e ognuno 'e nuje
va p' 'o destino
che sta scritto…Un buon amico
è semp'amico
comme 'nu mutivo antico».
Mentre scrive questi versi, nella sua casa romana, Renato teme per Gegè, che invece gli sopravviverà di quattro anni. «Mi considero un suo adepto», ricorda Renzo Arbore. «È un modello per tutti noi, ci lascia una grande eredità: l'idea che si può fare musica con humour, che l'ironia e la semplicità resistono al tempo e alle mode».
A Gegè Di Giacomo sarà dedicata la quarta edizione del Premio Carosone, che si svolgerà il 21 settembre all'Arena Flegrea.



...intanto sabato sera a Roma, alle 21.37, è morto anche, dopo lunga malattia e all'età d 85 anni, il cittadino polacco Karol Wojtyla, immigrato nella capitale dal 1978. Anche la sua morte ha suscitato alcuni commenti sulla stampa e sulle televisioni.