giovedì 12 maggio 2005

anni settanta:
l'arte dei "pazzi" a Napoli

Repubblica Napoli 11 MAGGIO 2005
Errico Ruotolo e Gerardo Di Fiore raccontano la creatività dei Settanta
L´interesse per i cambiamenti e il tentativo di uscire dall´indifferenza
Tutta l'arte era dei pazzi nella Galleria Inesistente
Contestavamo i manicomi: la Biennale del ´76 ci accolse a braccia aperte e l´Europa pure ma la stampa di Napoli ci relegò nella cronaca
Quella volta che restituimmo il pennacchio al Vesuvio Amelio voleva esporci, ma poi fece una mostra che non aveva quadri alle pareti
MARIO FRANCO

Le poetiche del dissenso e la strategia del rifiuto che si imposero anche in Italia negli anni Settanta videro la nascita a Napoli di una serie di iniziative, dal teatro off alla costituzione della Cooperativa del Cinema Indipendente ad una serie di iniziative artistiche che intendevano disegnare il nuovo compito dell´intellettuale e dell´artista: legarsi ad una concreta azione sociale, elaborare una strategia per la battaglia contro l´asservimento dell´uomo ad una società caratterizzata da quella che Marcuse chiamava "tolleranza repressiva", ovvero la finta democrazia delle leggi del mercato e del profitto.
Anche ad un attento ricercatore, la proliferazione di iniziative, manifesti, azioni, riviste ed idee di quegli anni, risulta difficile per la natura effimera degli eventi e la scarsa risonanza sulla stampa locale, sempre pronta ad invischiarsi in dibattiti autoreferenziali (allora si discuteva su napoletanità e napolitudine), ma scarsamente interessata ad un discorso sul cambiamento che andavano subendo le forme del comportamento con l´imporsi di una realtà sociale, economica e politica sulla quale gli individui, e meno che mai gli artisti, non avevano alcun controllo effettivo. Parimenti le iniziative artistiche e culturali di quegli anni si divertivano a proporre ragionamenti ed operazioni "alternative", che risultavano irrealistiche non tanto per il loro carattere utopico, ma perché consapevoli dell´intensità delle forze che avrebbero impedito di tradurle in atto.
La Galleria Inesistente ed i Gruppi di Azione Sociale furono tra le realtà più interessanti di quegli anni. Ne parliamo con due protagonisti, Errico Ruotolo, che, come scriveva il suo compagno e sodàle Nino Daniele, ha sempre unito al rigore della creazione artistica "l´ispirazione alla giustizia, il farsi partecipe del conflitto sociale e civile" e Gerardo Di Fiore, artista che potremmo definire esistenzialista, se al termine togliamo ogni refuso storicamente datato, per indicare invece un habitat mentale in cui convive la poetica della dissoluzione dell´arte e l´improvviso affiorare di dettagli neoclassici come memoria replicante. Errico Ruotolo ricorda con passione gli anni in cui gli artisti aderirono al movimento di contestazione dell´istituzione manicomiale che partiva dalle teorie di Basaglia elaborate a Trieste. La lacerazione psicologica declinata di fronte al mondo dal malato di mente fu vista come parte integrante della coscienza di sé dell´uomo occidentale ed il compito che gli artisti si diedero fu quello di fornire un filo d´Arianna per uscire da un labirinto che coinvolgeva interessi politici indifferenti, feroci connivenze e ignoranze diffuse. «Crispolti ci portò alla Biennale di Venezia del ‘76 e le nostre iniziative trovarono adesioni ed ospitalità in importanti mostre europee. Eppure la stampa napoletana fu avara di notizie, spesso ostile. Ricordo invece una bella trasmissione televisiva, che ancora va in replica su Rai-arte via satellite, con una poesia di un malato psichiatrico recitata da Edmund Aldini. L´ho riascoltata da poco e mi sono venuti i brividi…». Interviene Di Fiore, con la sua aria understanding, da eroe perdente in un film di Peckinpah. Pur consapevole di quanto sia pericoloso per un artista un eccesso di consapevolezza e di autoironia, non rinuncia ad un´analisi disincantata e irriverente: «Possiamo anche dire che le nostre azioni erano un po´ furbette… Il fatto è che avevamo uno sguardo condizionato dal nostro essere artisti. Ad esempio: era il periodo della body art e tra le azioni di un Vito Acconci che si confessava in pubblico su un letto nella galleria di Lucio Amelio e un malato mentale del Frullone non facevamo tanta differenza. Certo, volevamo contestare l´istituzione psichiatrica. Ma sapevamo anche che Napoli non era Trieste. Chiudere i manicomi… e poi? C´erano già tanti pazzi per strada».
Le azioni e le opere che presero vita sotto il nome di Galleria Inesistente furono molteplici. L´iniziativa, da un´idea dell´artista italo-americano Vincent D´Arista, era un´estremizzazione delle teorie "fluxus", predicava l´anonimato dell´autore a vantaggio dell´opera e la sua natura effimera. «Nasceva contro l´idea del mercato, contro l´idea dell´arte come merce estetica. Ed a Napoli, in quel momento, il mercato era rappresentato dalla galleria di Lucio Amelio - dice Di Fiore - ed infatti molte azioni avevano come teatro piazza dei Martiri, poiché là c´era Lucio. Il quale poteva svegliarsi, una bella mattina, e trovare in piazza quattro leoni in più…». «La galleria nacque nel mio studio - precisa Ruotolo - anche se poi io uscii subito dal gruppo. L´anonimato dell´artista, che tanto ci aveva affascinato, naufragò subito sugli scogli della vanità: dopo pochi giorni sui giornali cittadini comparvero nomi, cognomi e curricula, ci mancavano solo i numeri di telefono… Lucio era, come sappiamo, un uomo intelligente. Ci corteggiò per un certo periodo e voleva che esponessimo da lui. Al nostro no, egli organizzò comunque una mostra lasciando vuote le pareti della galleria. Alla Galleria Inesistente oppose una mostra inesistente… Ma anche qui bisogna dire che la stampa cittadina si occupò poco e male degli avvenimenti. Finimmo nelle pagine della cronaca, quando decidemmo di rimettere il pennacchio al Vesuvio incendiando nel cratere una gran quantità di copertoni d´automobile, o quando facemmo piovere delle braccia di plastica sulla città. Ma non ci fu mai una vera analisi critica. A distanza di otto anni Filiberto Menna ne tentò una, non priva di omissioni e imprecisioni. «Eppure - interrompe Di Fiore - la galleria inesistente mi insegnò molto. Per ogni nostra azione discutevamo mesi interi. Quando decidemmo di porre tra piazza Vittoria e la Casina Pompeiana un lungo filo, come un nuovo orizzonte, facemmo centinaia di calcoli, anche di carattere fisico e balistico. Alla fine scartammo l´idea di stendere un filo d´acciaio e decidemmo di mettere un filo di cotone… Di cotone verde. E qui torna l´idea dell´effimero: tutto non durò che una decina di minuti, poiché, dopo tanta fatica, un colpo di vento spezzò il cotone e quindi il nostro orizzonte virtuale, costato mesi di discussioni, finì prima che potessimo almeno fotografarlo. «Non è un caso se ancora oggi nelle sculture di gommapiuma di Di Fiore si ritrovano dei fili di cotone colorato. Le mie sculture, friabili e sottoposte all´azione logorante del tempo come la vita stessa, sono ottenute con ago e filo. La gommapiuma viene plasmata intorno a piccoli sostegni e poi i volumi e le forme vengono ottenute tagliando e cucendo. Ed è un´esperienza interessante, poiché mentre un volto si forma, posso vedere Fidia, Donatello, Picasso e decidere che fisionomia dare alla mia scultura, come se sfogliassi un libro di storia dell´arte o come se rileggessi le parole del piccolo Budda nel Siddharta. In ogni uomo ci sono più uomini: il saggio e lo stolto, lo sfregiato e l´assassino…».
Oggi Ruotolo continua a dipingere ed a rappresentare come atto esperenziale, rapporto empatico con il mondo. I titoli delle sue opere, si riferiscano alla Shoah o alla guerra in Iraq, adottano come prassi creativa lo slogan politico, il titolo cronachistico, e sciolgono la distinzione tra il raffinato e rigoroso valore formale della composizione e il valore virtuale, allusivo della notizia. In una delle sue ultime opere, "Al Jazeera", lo sconfinamento e l´attraversamento della storia, letta attraverso il televisore, si concretizza in una serie di transistor e di schede di circuiti digitali che annullano ogni soluzione di continuità tra il medium, il suo messaggio e la natura tecnologica che è parte integrante del medium stesso. Stranamente anche Di Fiore dissemina di transistor e di circuiti elettrici il pavimento della sua ultima opera, su cui cammina carponi il suo "Ciber baby", giocando tra creazione e rovina. La natura ibrida delle tecnologie di massa, sono già residuo industriale, ricordo obsoleto del nuovo.