giovedì 12 maggio 2005

Cina

La Stampa 12 Maggio 2005
FIGLI UNICI, VIZIATI E INCAPACI
SONO IN CINA I RAGAZZI PIÙ TRISTI
Francesco Sisci

PECHINO. Sembrano tutti sulla soglia della follia. Due ragazzi cinesi su tre si sentono fortemente stressati, solo il 3,7 per cento dice di essere abbastanza tranquillo e appena 0,3 per cento non ha problemi. E’ il risultato di un recente sondaggio tra giovani con un'età media di 25 anni, nati con la politica del figlio unico, una scelta che oggi pare aver punito la Cina proprio esaudendo i suoi desideri. Alla fine degli Anni Settanta, il figlio unico doveva risolvere il rapporto squilibrato tra la popolazione, che cresceva al galoppo, e l'economia, che non riusciva a starle dietro. Allora le proiezioni per il 2005 erano per 1,6 miliardi di persone con un'economia esangue. Oggi la realtà è che ci sono circa 300 milioni di persone in meno del previsto, un'intera Europa occidentale che non ha bisogno di essere nutrita, mentre l’economia corre al tasso di quasi il 10 per cento l'anno. Bene, anzi malissimo, perché proprio i figli unici stanno male.
Lo stress viene dal lavoro, dagli amici e dalla fidanzata, dicono gli intervistati. Così le risposte rivelano, per assenza, il colpevole vero: le famiglie che sottopongono i loro figli unici a tensioni immani. La famiglia cinese era abituata nei secoli a torme di figli, che si distribuivano gli affetti, le speranze dei genitori. Il figlio unico invece concentra sì tutto l'affetto di due genitori e quattro nonni, ma paga tale affetto con responsabilità enormi. In una società come la cinese senza metafisiche, i figli sono la realizzazione concreta della gloria della famiglia, sono la compensazione o meno delle speranze e delle frustrazioni di padre e madre. I figli unici in questi 25 anni sono cresciuti allora viziati come piccoli imperatori, ma sono stati anche costretti a pensare di diventare effettivamente piccoli imperatori. Sul figlio unico si sono quindi riversate le accuse, che erano una volta distribuite tra tanti, di «non essere filiale», di essere un «lupo dagli occhi bianchi», insomma di non ricambiare con i propri sforzi nella vita le attenzioni ricevute.
Ma in un Paese smisurato e fortemente gerarchizzato coloro che emergono sono per forza pochi. Solo un bambino su dieci riesce ad essere promosso a tutte le classi per arrivare all'esame per l'università, di questi solo uno su due entra poi in un ateneo. Di questi ancora solo uno su 20 entra in una grande università. Solo una minima parte riesce ad avere un buon lavoro e a fare carriera. Sarebbe già terribile di per sé, in più c’è l’assillo della famiglia. Quindi anche i migliori crescono sull'orlo di una crisi di nervi, schiavi di sensi di colpa grandi quanto una casa, la loro. Né è chiaro cosa penseranno e sentiranno tra altri venticinque anni, quando saranno genitori con figli grandi. Non si sa cosa porteranno delle tradizioni distorte con cui sono cresciuti, se le respingeranno, se le filtreranno, se cominceranno collettivamente a psicanalizzarsi per cercare di darsi pace nella propria testa. Di certo sembra arrivato il momento di fare più figli.