giovedì 12 maggio 2005

brevi dal web

yahoo! Salute 11.5.05
Il Pensiero Scientifico Editore
Depressione: un gene coinvolto

Un gene su cui già grava il sospetto di aumentare il rischio di depressione potrebbe essere responsabile proprio di quei cambiamenti strutturali tipici del cervello di individui depressi. La ricerca, condotta presso il National Institute of Health's (NIH) National Institute of Mental Health (NIMH) da Daniel Weinberger, potrebbe quindi chiudere il cerchio che lega geni, modifiche cerebrali e malattia. La notizia è apparsa sulla rivista Nature Neuroscience.
Da molto tempo si è dimostrato che gli individui depressi hanno modifiche in alcuni circuiti cerebrali ma finora spiegare se ciò fosse una conseguenza o una premessa della loro malattia era impossibile. Inoltre precedenti studi hanno associato ad alto rischio di depressione una mutazione nel gene che controlla i livelli di serotonina nel cervello (5-HTTLPR).
Ora i ricercatori statunitensi hanno associato la stessa mutazione di 5-HTTLPR a difetti strutturali nei circuiti nervosi deputati all’elaborazione e al controllo delle emozioni negative. Questi circuiti appaiono ridotti in termini di materia grigia ed indeboliti in termini di connessioni tra neuroni. Queste due informazioni insieme, ha proposto Weinberger, possono condurre ad una conclusione evidente: il difetto genetico su 5-HTTLPR causa disfunzioni cerebrali che a loro volta rendono l’individuo più incline a sviluppare la malattia.
I protagonisti di questa intrigata storia che potrebbe sciogliersi svelando molti segreti della depressione sono da una parte il gene 5-HTTLPR che codifica per il trasportatore della serotonina il quale regola la quantità di serotonina in azione nel cervello, dall’altra l’amigdala, centro di elaborazione delle paure posto in profondità nel cervello e il cingolato, un centro di elaborazione di stati emotivi negativi e deprimenti posto vicino la zona frontale del cervello.
Precedenti studi condotti dalla stessa équipe avevano dimostrato che la mutazione nel gene 5-HTTLPR raddoppia il rischio di depressione in seguito ad eventi stressanti, iper-attiva l’amigdala in seguito a stimoli paurosi, è legata a temperamenti ansiosi. Adesso i ricercatori pensano di aver compreso il motivo di tutte queste condizioni mutazione-dipendenti.
In esperimenti di imaging con la risonanza magnetica (MRI) su 114 individui sani ma portatori di una copia difettosa del gene 5-HTTLPR il circuito amigdala-cingolato è abnorme, ovvero ha meno materia grigia e connessioni neurali rispetto ad individui sani con entrambe le copie del gene normali. Inoltre eseguendo la scansione con la risonanza magnetica funzionale (fMRI) su 94 individui nell’atto di guardare volti segnati dalla paura è emerso che circa il 30 per cento dei soggetti con un temperamento ansioso e pessimistico ha un ridotto grado di connessione tra amigdala e cingolato.
Questo è dunque il primo studio ad evidenziare l’importanza del livello di connessione tra l’amigdala e il cingolato affinché quest’ultimo tenga a bada la prima, eviti che si “emozioni” troppo facendo perdere la bussola all’individuo di fronte a stimoli paurosi. Se i due circuiti non comunicano bene, quindi, il temperamento che ne risulta è ansioso e pessimista. E se ciò avviene dipende dalla mutazione sul gene per il trasportatore della serotonina, hanno evidenziato i neurologi.
Probabilmente, concludono gli esperti, il gene ha un peso nelle primissime fasi di sviluppo del cervello quando la regolazione dei livelli di serotonina è cruciale. Se a causa della mutazione non si formano le connessioni giuste l’individuo sarà più incline a reazioni eccessive di fronte a stimoli stressanti che di certo gli si presenteranno nel corso della vita e, quindi, alla depressione.

Fonte: Weinberger DR et al. 5-HTTLPR polymorphism impacts human cingulateamygdala interactions: a genetic susceptibility mechanism for depression. Nature Neuroscience advance online publication 2005; doi:10.1038/nn1463

ilgazzettino.it mercoledi 11 maggio 2005
La denuncia di Tirelli
Stanchezza cronica la malattia "ignorata"

Pordenone(ldf) Si chiama Sindrome da stanchezza cronica, (Cfs) ed è una malattia debilitante al punto che i pazienti affetti molto spesso non riescono più ad alzarsi neppure dal letto. «Anche se si calcola che in Italia vi siano circa 200-300 mila casi - spiega il professor Umberto Tirelli che al Cro di Aviano coordina un'unità di cura per i casi di Cfs - sono in molti, tra cui anche parecchi medici, che non conoscono ancora l'esistenza della sindrome». Va subito detto, infatti, che la stanchezza è uno dei sintomi più frequenti per i quali una persona si reca dal medico. Spesso però è dovuta a stress, surmenage psicofisico, depressione, o altre patologie organiche. La Cfs è una diagnosi ad esclusione e chiaramente prima di essere accertata vanno escluse le altre cause. Anche per far conoscere il più possibile la malattia, domani, 12 maggio, è stata indetta la giornata mondiale della Sindrome da stanchezza cronica.
«I pazienti - va ancora avanti Tirelli - sono solitamente giovani e donne, con una età media di insorgenza intorno ai 30 anni. La Cfs è invece rara negli anziani, ma vi è qualche caso pediatrico». Nell'Unità Cfs di Aviano sono stati osservati finora oltre 900 casi ed è attiva un'associazione di pazienti. «Nella nuova classificazione - chiarisce Tirelli - un caso di stanchezza cronica é definito dalla presenza delle seguenti condizioni: una fatica persistente per almeno sei mesi che non é alleviata dal riposo, che si esacerba con piccoli sforzi e che provoca una sostanziale riduzione dei livelli delle attività occupazionali, sociali e personali. Devono inoltre essere presenti quattro o più dei seguenti sintomi: disturbi della memoria e della concentrazione, faringite, dolori delle ghiandole linfonodali cervicali e ascellari, dolori muscolari e delle articolazioni, cefalea di un tipo diverso da quella eventualmente presente in passato, un sonno non ristoratore e debolezza post esercizio fisico che perdura per almeno 24 ore. Purtroppo non vi è alcun farmaco in grado di guarire definitivamente la malattia, anche se spesso i pazienti possono trarre dei benefici da interventi farmacologici e modificando lo stile di vita».
Una stanchezza infinita accompagnata da ridotta capacità di concentrazione, perdita della memoria a breve termine, disturbi del sonno, dolori ai muscoli e alle articolazioni. Da sei anni questi sintomi Maurizia, una signora di 48 anni residente a Padova, li conosce bene tanto da essere stata costretta ad abbandonare il lavoro e a mettersi a riposo per lunghi periodi. La donna soffre della Sindrome da affaticamento cronico, una malattia dalla causa ignota, che generalmente viene diagnosticata per esclusione, eliminando altre patologie dagli effetti simili. «Fino a una certa età sono sempre stata bene poi improvvisamente ho iniziato ad accusare vertigini, capogiri e una grandissima, immotivata stanchezza: non ero in grado di ricordare, di prestare attenzione alle cose che facevo. Qualsiasi sforzo, anche piccolo, per me diventava gigante, insormontabile: impossibile fare le scale, scrivere, telefonare, anche mandare un'e-mail era un'impresa». La diagnosi non è stata semplice. Sottoposta ad un numero incalcolabile di visite neurologiche ed ematologiche, la Sindrome da fatica cronica le è stata diagnosticata a Pavia dove esiste uno dei pochi centri in Italia - gli altri sono Aviano, Roma e Chieti - specializzati in questo tipo di malattia di cui soffrono circa 300 mila persone. Ma la situazione non è migliorata: non esiste una cura specifica e il decorso della malattia è vario. Alcuni pazienti peggiorano progressivamente, altri parzialmente migliorano, altri guariscono. Ma per capirne di più mancano sia i fondi per la ricerca sia il coordinamento tra i centri che se ne occupano: proprio per attirare l'attenzione su questa patologia, a volte scambiata per ipocondria o depressione, domani verrà celebrata la Giornata internazionale della Sindrome da affaticamento cronico.

larena.it mercoledi 11 maggio 2005
Drammatico picco di suicidi negli ultimi mesi nella Bassa specialmente tra i ragazzi
Un giovane male di vivere
Gli esperti: «Non si tollera alcuna frustrazione»

Quel peso del mondo tutto accumulato dentro l’anima. E la «soluzione»: uno sparo contro se stessi, una corda al collo. Nell’arco di pochissimi mesi quattro persone nella Bassa si sono tolte la vita od hanno tentato di farlo. Tra questi eventi il più sconcertante è stato l’omicidio suicidio dei Chiari, padre e figlio. L’ultimo è di ieri mattina: un ventottenne con qualche problema di depressione che improvvisamente ha imbracciato un fucile trovato in casa e si è tolto la vita.
Agli altri, a tutti quelli che restano, rimangono domande quasi sempre senza risposta. E le statistiche, che con la loro scientificità presunta parlano di continuo incremento di suicidi tra i giovani, e tra gli anziani, ed in modo particolare nelle aree del benessere del nord Europa e del nord Italia - Lombardia, Veneto, il Bellunese le zone dove il fenomeno ha maggior incidenza - arrivano fino ad un certo punto. Non spiegano mai fino in fondo. «I tentativi di aggregare le motivazioni», riflette infatti Maurizio D’Agostino, dirigente medico del dipartimento di prevenzione del servizio di Igiene e sanità pubblica dell’Ulss 21, «servono fino ad un certo punto. Ogni caso è a sé».
Il medico, che nel 2003 ha redatto con i colleghi una ricerca sui suicidi nella Bassa, ricorda quello di un anziano che una mattina ha salutato come faceva di solito i nipotini e poi se ne è andato e si è ucciso. Il dolore vero, per altro, è quasi sempre molto silenzioso.
Ma un tentativo di trovare una chiave di lettura del fenomeno lo fa invece il primario di psichiatria dell’Ulss 21, Antonio Campedelli. Dal suo osservatorio «privilegiato» - il reparto dove passano gravi casi di depressioni e di altre patologie collegate - il medico non esita a confermare che i giovani sono sempre più ammalati della malattia dei nostri tempi e poi che una delle cause «va cercata nell’abbassamento sempre più marcato della soglia di tolleranza alle delusioni, alle difficoltà», dice.
«La nostra è la società che ci fa credere di poter avere tutto e di poterlo avere subito. Quando ciò non succede, come è normale che sia e quando le nostre aspettative nei rapporti umani o di affermazione sociale ed economica vengono frustrate, si cade nella depressione». O, peggio, ci si toglie la vita. Via l’esistenza, via il dolore, si potrebbe semplificare.
Ma i suicidi non sono sempre persone meramente incapaci di soffrire. Sono però, forse, meno attrezzate di punti fermi: «Del resto, quali punti fermi ci rimangono?», chiede il primario Campedelli. La domanda è retorica. «Davvero pochi: le famiglie si sfasciano sempre più di frequente», afferma, «la religione non è più vissuta come un tempo. La politica è sempre più contradditoria. Il senso della vita e della morte quasi non esistono».
Fin qui forse tutti abbiamo fatto della psicologia spicciola. Ma ciò che rimane un fatto incontestabile è che se sempre più spesso chi ci vive accanto si toglie la vita, c’è qualcosa che non va.

yahoo! Salute mercoledì 11 maggio 2005
Il Pensiero Scientifico Editore
Attivato il progetto Girasole 2
L'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e la Fondazione Umana Mente insieme contro autismo, violenze su minori e disturbi alimentari

Un nucleo operativo attivo 24 ore su 24 per fronteggiare il fenomeno in costante crescita di tutte le forme di abuso e di violenza, fisica e psicologica, nei confronti dei bambini e degli adolescenti, consumate molte volte tra le mura domestiche. Sono gli esperti del Progetto Girasole 2, nato dall'esperienza pluriennale dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, vero avamposto nella lotta alla prevaricazione nei confronti dei minori, con il supporto della Fondazione Umana Mente del Gruppo RAS.
Tre le nuove linee della fase due del Progetto Girasole nato nel 1999:
Minori testimoni di violenza: rivolto a bambini e ad adolescenti e alle loro famiglie che vivono una realtà di violenza familiare, non solo fisica e verbale, ma anche psicologica, economica e sessuale e sono perciò perennemente esposti a situazioni caratterizzate da pericolo, paura, ansia. Attenzione particolare viene rivolta anche ai genitori che subiscono violenza dai propri figli che spesso risulta correlata a possibili esperienze di clima familiare violento, subìto nell'infanzia dal giovane, che diventa a sua volta violento.
Disturbi del comportamento alimentare: anoressia e bulimia nervosa. Integra il consolidato protocollo seguito per il trattamento di tali disturbi con strumenti e attività innovative quali: gruppi di auto-aiuto per gli adolescenti all'interno dei quali i ragazzi si confrontano anche con persone "riabilitate" che hanno avuto nel passato un disturbo del comportamento alimentare; gruppi di aiuto per i genitori degli adolescenti; "videoconfronting", tecnica terapeutica che utilizza il computer per lavorare sulla possibilità dell'adolescente di riappropriarsi della percezione reale del proprio corpo.
Autismo infantile: che ha come finalità principale il miglioramento della qualità di vita dei bambini autistici e delle loro famiglie, ampliando il servizio di assistenza già offerto dal Bambino Gesù attraverso l'utilizzazione di strumenti innovativi per la diagnosi precoce, l'individuazione di progetti terapeutici personalizzati e il potenziamento del supporto emotivo al bambino e alla famiglia. Tali attività vengono integrate con il "protocollo diagnostico della ricerca delle cause biologiche dello spettro autistico" che l'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù già svolge per compito istituzionale.
Nel primo semestre di attività del Progetto Girasole 2, alla linea 06-68592265 sono arrivate 1.540 chiamate delle quali 753 sono state consulenze relative a situazioni di abuso (368), disagio infantile e adolescenziale (129), bambini testimoni di violenza (94), disturbi del comportamento alimentare (139), autismo infantile (23). Sono stati accolti in valutazione diagnostica 156 casi. E per circa la metà di questi sono stati avviati dei programmi di trattamento.