mercoledì 4 maggio 2005

i Greci

Corriere della Sera 4.5.05
IL PENSIERO
La nostra coscienza è nell’Ellade L’uso della ragione, l’indagine su Dio, l’avventura del viaggio. E l’idea del bello

Armando Torno

Non è esagerato credere che l’Occidente potrà vivere sino a quando saprà conservare il ricordo della civiltà greca. Senza di essa perderemmo l’uso della ragione che ci ha insegnato Aristotele e l’idea di indagare Dio che ci viene da Platone (il termine «teologia» si trova per la prima volta nel II libro della Repubblica) ; senza la Grecia dovremmo rinunciare alla mistica del numero che regge la matematica (e che fu ideata dai Pitagorici) e non conosceremmo l’avventura del viaggio, modello di ogni nostra creazione letteraria, che è racchiuso nell’ Odisse a. E avremmo difficoltà a credere nell’anima, così come oggi la intendiamo. Sulle scene di Atene e delle città dell’Ellade è stato rappresentato in modo completo, per la prima volta, il dramma del vivere. Qualcuno ha scritto che tutta la tragedia greca altro non fu che l’urlo disperato di un’intelligenza superiore per nascondere i sacrifici umani che l’avevano vista nascere. Sarà anche vero, ma è certo che Eschilo, Sofocle ed Euripide ci insegnano a comprendere il costo che ognuno di noi deve pagare a se stesso e alla natura per abitare nel mondo.
I greci ci hanno insegnato l’idea del bello (che, secondo la celebre equazione platonica, è uguale al vero e al bene); si sono spinti a indagare il sublime, la verità, la resurrezione, e il misterioso motivo per il quale non riusciamo a convivere senza la violenza e perché abbiamo bisogno di pace. A questo popolo dobbiamo la nostra forma di intelligenza, l’idea di tecnica (e il suo contrario), il senso dell’armonia, le forme di governo, le costruzioni geometriche, il gusto dell’arte. Furono loro a creare la politica. Claude Mossé in un saggio dedicato al tema, contenuto nell’opera Il sapere greco , della quale è uscito in edizione italiana il primo volume (Einaudi, pp. 648, euro 78), ricorda che «l’invenzione della politica è inseparabile dalla nascita di quella forma originale di stato che è la città-stato greca». Di contro, questo popolo fu anche maestro di irrazionalità; come pochi altri conobbe l’amore e lo praticò con una libertà a noi sconosciuta, arrivando a comprendere che ognuno deve vivere a suo modo - impossibile fissare regole generali! - la dimensione di questo mistero in cui anima e sensi si abbracciano. I greci ci hanno insegnato cosa significhi ridere e se la satira abbia dei confini, a loro dobbiamo ricorrere quando ci poniamo le grandi questioni della vita. Immanuel Kant compendiò le coordinate del nostro cercare chiedendosi «da dove veniamo?», «chi siamo?», «dove andiamo?»; ma tali domande si possono ritrovare nei pensatori greci, corredate da mille risposte e da altrettanti dubbi.
Pensiamo dunque con una testa greca e nella nostra anima succedono reazioni già note in quel mondo. Le scelte di cui siamo protagonisti sono state fatte sotto l’Acropoli di Atene e i sentimenti che governano la nostra vita passarono tra quelle pietre oltre duemila anni fa. Studiare i greci è come cercare di conoscere noi stessi. Per questo non possiamo ignorarli.