mercoledì 4 maggio 2005

la psicoanalisi freudiana
"non esiste praticamente più"

Repubblica 4.5.05
Cultura
Freud
Il maestro e i suoi allievi, quel che resta di un mito

La psicoanalisi in dieci volumi
Luciana Sica

Giovanni Jervis "Vogliamo restituire il suo pensiero a una lettura più fresca e meno stereotipata, meno evangelica"
Michele Ranchetti "È importante la riflessione teoretica perché tutto non finisca in una cura da quattro soldi"
Il sapere freudiano viene "storicizzato" anche per chiarire il significato che può ancora avere per il mondo di oggi
La nuova iniziativa editoriale sarà presentata sabato prossimo alla Fiera del Libro di Torino che si inaugura domani

TORINO. Scambi di lettere inedite, documenti, carte private, verbali di riunioni, relazioni ai convegni, brevi scritti freudiani mai usciti in italiano - come il testo che qui pubblichiamo: i primi due volumi, su dieci complessivi, dedicati al maestro viennese e ai suoi allievi più stretti, usciranno dopo l´estate con il titolo Scritti di metapsicologia e Sulla storia della psicoanalisi.
A quarant´anni dall´avvio della prima edizione in Italia dell´opera omnia, "il nuovo progetto Freud" - lo chiamano così alla Bollati Boringhieri - avrà il suo lancio ufficiale alla Fiera del libro di Torino, sabato prossimo. Con una citazione dello Schnitzler che tanto ha ossessionato Kubrick, si chiama "Doppio sogno" l´appuntamento torinese: ci saranno Michele Ranchetti, direttore della nuova iniziativa editoriale, Mauro Mancia, Walter Cavini, Riccardo Steiner e - nel ruolo di coordinatore - Giovanni Jervis, da tre anni nel consiglio d´amministrazione della casa editrice.
Sul piano giornalistico, saranno senz´altro gli inediti la principale leccornia di questa gustosa abbuffata freudiana. Ma c´è anche qualcos´altro da dire. Se infatti negli anni Sessanta, la Boringhieri ha avuto il grande merito di rendere Freud accessibile al pubblico italiano, oggi il contesto in cui viene lanciato il "nuovo progetto" è profondamente mutato: non solo perché la psicoanalisi è parte integrante del nostro orizzonte culturale, ma con la sua divulgazione sempre più frettolosa e più cheap rischia un radicale travisamento. A inquietare sono soprattutto gli interrogativi - spesso colti - sull´avvenire della costruzione freudiana e i frequenti attacchi - non sempre volgari - alla sua efficacia e alla sua stessa legittimità teorica.
È in questo contesto generale che va rintracciato il senso di un´avventura editoriale decisamente coraggiosa: non solo perché "storicizza" Freud, lo contestualizza interrogandosi sul suo punto di partenza scientifico, filosofico, e persino politico e religioso, ma soprattutto perché tende a chiarire (e a difendere) il significato che l´invenzione di Freud può continuare ad avere per il mondo di oggi.
L´idea è stata di Michele Ranchetti, che ragiona così: «Freud non è un uomo isolato che inventa la sua teoria in un eremo, è con altri geniali collaboratori che promuove un´indiscutibile rivoluzione culturale. È stato un errore del passato tenere distinte le opere del maestro da quelle dei suoi allievi - come Jung e Ferenczi, Abraham e Lou Andreas Salomé - che hanno direttamente contribuito alla costruzione della psicoanalisi. È solo mettendole insieme che è possibile recuperare il carattere innovativo del movimento psicoanalitico che nel tempo si è via via perduto».
Ranchetti è storico della Chiesa, traduttore di Wittgenstein, tra i massimi curatori di Freud, oltre che poeta e pittore. Vicino alla soglia degli ottant´anni, non ha perso nulla in lucidità e spregiudicatezza intellettuale. Quando dice, ad esempio, senza tanti giri di parole: «L´ambizione del nostro gruppo di lavoro è di ripristinare la necessità della riflessione teoretica perché tutto non finisca in una cura da quattro soldi: oggi quella psicoanalitica è diventata una terapia che ha perso ogni mordente, così può farla chiunque».
Sulla stessa linea, del tutto prevedibilmente, Jervis, che intanto tiene molto a dire: «Questa è un´operazione simbolica, sottolinea infatti la continuità della casa editrice con la sua tradizione e al tempo stesso marca un forte rinnovamento perché la proposta di Ranchetti - che ho appoggiato con molta forza, a ogni livello - è un modo di rileggere in una luce del tutto diversa Freud, ben collocato nel dibattito dell´epoca. Non vogliamo innalzare un ennesimo monumento al fondatore della psicoanalisi, ma recuperarne la freschezza e il pieno significato culturale, prima ancora che scientifico o psicologico... ».
Il dubbio è che si possa trattare di un´operazione rivolta ai soli specialisti, nel segno dell´acribia filologica. Jervis lo nega con decisione: «Al contrario, è un´iniziativa diretta al pubblico colto che rende più semplice e non più complicata la comprensione di alcuni scritti chiave e relativamente brevi: il che permette tra l´altro di andare al cuore dei problemi centrali. Si tratta di restituire Freud a una lettura meno stereotipata, starei per dire meno evangelica...».
Tra le righe, il problema più scottante - per molte ragioni - è capire quali siano i contenuti di Freud che reggono ancora bene a distanza di un secolo. È implicito che cent´anni dopo la nascita della psicoanalisi, attraverso la storicizzazione delle sue origini, venga sollevata la domanda sull´attualità e la specificità del sapere freudiano.
Non da oggi, su questo punto Jervis ha idee molto chiare che puntualmente irritano l´establishment psicoanalitico, anche se ormai solo a dispetto del ridicolo qualcuno potrà ancora sentirsi il depositario di verità rivelate: «Se ci si chiede "quel che resta di Freud", si può rispondere senz´altro: la teoria antropologica e sociale. È la clinica che invece è molto invecchiata: la psicoanalisi come strumento terapeutico è risultata meno efficace di quanto non pensassero Freud e i suoi allievi, e poi si è modificata al punto tale che il trattamento classico non esiste praticamente più».