mercoledì 4 maggio 2005

Rodotà: quattro Sì al referendum

L'Unità 4.5.05
Rodotà: «Umiliano il corpo delle donne»
Il professore voterà quattro Sì: «È una legge che fa violenza agli stessi principi fondativi di un Paese civile»
Maria Zegarelli

ROMA «Una brutta legge, ideologica e carica di vizi di costituzionalità». Il professor Stefano Rodotà, membro dell’European Group On Ethics in Science and new Tecnologies non ha dubbi: «Voterò quattro sì convinti il 12 giugno, perché la legge sulla procreazione assistita è un brutto passo indietro del diritto».
Professore, stavolta tra etica e diritto sembra aver vinto la prima.
Ne sono assolutamente convinto: avevo cercato anche di segnalarlo in parlamento, quando sono stato sentito. C’era il rischio di una legislazione di tipo autoritario, che tendesse ad imporre un particolare punto di vista in una materia come questa dove le posizioni sono fortemente differenziate in ragione sia degli orientamenti culturali e religiosi, sia delle valutazioni scientifiche. Dunque, fare appello alla laicità non significava cercare di imporre un punto di vista, ma al contrario sottolineare che in materie come questa il legislatore deve tener conto dei diversi punti di vista, che sono il riflesso di convinzioni personali e sociali diffuse. In questo modo si sarebbe evitato di correre un rischio, che era evidentissimo e che poi si è realizzato: questa è una legge che nel tentativo di imporre un punto di vista, a cominciare da un’idea dell’embrione, ha finito per delegittimare se stessa e il legislatore.
Perché?
Perché è una legge che si è rivelata per molti aspetti inapplicabile, che viene aggirata dal turismo procreativo, che è già socialmente rifiutata, considerando le molte dichiarazioni di parlamentari che oggi dicono “l’abbiamo votata rendendoci conto che andava modificata”. Quindi, partendo dal fatto che il diritto non è un veicolo che può costruire valori condivisi in modo autoritativo arriviamo a una situazione in cui il diritto viene delegittimato.
Dunque, conferma: siamo di fronte all’«ingannevole potenza del diritto»?
Certo, quando il diritto pretende di imporre un comportamento alla donna, prevedendo l’obbligo di impianto contro la sua volontà degli embrioni creati, rivela da una parte la impraticabilità delle via giuridica e dall’altra che una norma di questo genere fa violenza agli stessi principi fondativi di una paese civile e democratico dove, lo dice l’articolo 32 della costituzione, nessun trattamento sanitario può essere imposto in materia di salute violando il rispetto della persona umana.
Ma fino a che punto il diritto può entrare nella sfera delle libertà di scelta degli individui?
Questo è un punto essenziale. In questi anni ci siamo resi conto del fatto che il diritto non può impadronirsi della “nuda vita”, cioè di tutta una serie di scelte che progressivamente sono state riconosciute alle persone e non possono essere sequestrate dalla regola giuridica. Come, ad esempio, il diritto di rifiutare le cure anche a costo della fine della vita. In questi casi, il diritto di fronte a situazioni esistenziali, ha fatto un passo indietro, ha riconosciuto che non si può imporre un’etica. Questo non vuol dire che non ci sia il riconoscimento di un valore. Il valore in questo caso è l’autodeterminazione di ciascuno per quanto riguarda la propria vita. Prima il “dominus” di queste situazioni era il medico che stabiliva quale dovesse essere la cura, anche senza il consenso dell’interessato, poi, da un certo momento in poi si è stabilito che tutto deve avvenire in base al consenso informato della persona, tant’è che qualcuno ha detto che è nato un nuovo soggetto morale.
E adesso un nuovo salto indietro?
La legge 40 sembra che vada esattamente nella direzione opposta: negare, per quanto riguarda le decisioni esistenziali, la libertà e la responsabilità di ciascuno. Ma c’è un secondo elemento in controtendenza: riprendere il controllo del corpo femminile, un corpo che era stato progressivamente liberato, prima dalla contraccezione, poi dalla possibilità di abortire, e infine dalle tecniche di procreazione assistita. Con questa legge si è colta l’occasione per riprenderne il controllo perché, insisto, l’obbligo di impianto di tutti gli embrioni fecondati è una violenza programmata legislativamente che non precedenti nella storia. Si è arrivati alla concezione del corpo femminile come a puro contenitore.
A cui viene vietato di “ospitare” un embrione frutto della fecondazione eterologa.
Ormai siamo di fronte a una prepotente rivincita della biologia sulla biografia. Negli anni passati una delle grandi tendenze che ha retto la riforma dell’adozione e quella del diritto di famiglia, è stata quella di ritenere che la vita delle persone più che essere governata dal puro legame biologico, dalla materialità, è governata dagli affetti. Il modello di famiglia creato dalla riforma si basa sulla forza degli affetti: il peso attribuito all’adozione è stato quello appunto di ritenere più importante un legame affettivo che non la pura costruzione basata sulla biologia. E qui salta fuori un’altra contraddizione della legge 40 quando prevede che la coppia che si sottopone alla fecondazione deve essere informata sull’adozione. Il legislatore che si pone in questo modo non può poi ritenere che tutto sia riducibile al dato rappresentato dalla biologia ricondotta il più possibile alla natura. Il divieto dell’eterologa non tiene conto che la forza degli affetti può essere molto più forte del dato biologico.
Non crede che possa aver influito la Chiesa?
Ne sono assolutamente convinto. Questa è una storia che arriva da lontano. Io stesso sono stato presentatore di una proposta di legge in questa materia, moltissimi anni fa. Ricordo nel dibattito pubblico, che era molto acceso, il peso che esercitava già allora la posizione della Chiesa, la quale era ritenuta così importante da costituire un ostacolo a una legislazione italiana che fosse sul modello di quella degli altri paesi. Un autorevole esponente democristiano con il quale parlai dell’argomento mi spiegò molto chiaramente che pur condividendo alcune mie posizioni non poteva non ascoltare quelle d’Oltretevere.