venerdì 3 giugno 2005

Chiara Saraceno

La Stampa 3.6.05
E chi difende l’embrione quand’è nato?
Chiara Saraceno

L'ENFASI sulla identità - in termini di valore e compiutezza umana - tra embrione e essere umano rischia di produrre corto-circuiti imprevisti. Se, infatti, non è possibile cogliere alcuna distinzione qualitativa tra l'inizio di un processo ed una sua fase così matura da essere espressa in un individuo capace di apprendimento e relazione, non si assimila solo un embrione ad un essere umano. Si assimila indirettamente anche quest'ultimo ad un embrione: che può divenire un individuo o invece non andare oltre le prime fasi di sviluppo. Come accade a migliaia (se non milioni) di embrioni ogni giorno, in tutto il mondo. Perché così funziona quella «natura» avventatamente chiamata in causa per fare viceversa assurgere l'embrione alla dignità dell'essere umano. Ma se gli esseri umani sono come embrioni, appesi alle vicende bio-fisiologiche dei corpi che li contengono e della loro propria fragilità, la collettività può tranquillamente lavarsene le mani, dopo aver loro garantito «la vita», o meglio le chances di fare la loro corsa. La vita degli esseri umani formati rischia di non avere più dignità e più diritti di un embrione. Anzi, la vita della potenziale madre un po' meno: perché il corpo materno contenitore dell'embrione deve fare il suo dovere fino in fondo e purchessia, per dare a questo appunto la chance di provare a diventare un essere umano.
Siamo davvero sicuri che questa difesa ad oltranza degli embrioni come esseri umani giova alla maturazione di un rispetto per la dignità delle persone, per la vita e i diritti degli esseri umani? O non faciliterà piuttosto l'indifferenza, la superficialità, la mancanza di rispetto, proprio per l'incapacità di cogliere le distinzioni e la responsabilità di ciascuno nel creare contesti in cui gli esseri umani possano svilupparsi, crescere e vivere una vita degna di essere vissuta? L'abuso del termine «vita umana», così come quello di «assassinio» (assassine) di embrioni, di genocidio, sterminio e così via rischia di cancellare ogni distinzione tra gli assassini e i genocidi perpetuati sulle persone e le popolazioni e il mancato impianto di un embrione, o anche l'aborto. Davvero non c'è distinzione tra la decisione di non utilizzare un embrione, quella di abortire e quella di uccidere il proprio figlio di cinque mesi? Non c'è differenza tra il piccolo Mirko e un embrione formato da 48 ore? Dalla mancata distinzione tra «strage di embrioni» e «strage di bambini» (e adulti) ruwandesi, o bosniaci, o ebrei, alla indifferenza per la seconda il passo è breve.
E' la stessa logica che ostacola la diffusione della contraccezione nell'Africa devastata dall'AIDS: senza interrogarsi sul fatto che per questo nascono migliaia di bambini destinati all'alternativa tra morire di AIDS o rimanere orfani presto - o ad entrambe le cose. Purché nascano, il rispetto della vita è salvo. Che cosa ne sarà di loro, non riguarda i difensori dell'embrione.